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Cos’è un sistema impermeabile?

Ogni qual volta dobbiamo pensare ad un sistema impermeabile dobbiamo lottare con domande e risposte che troppo spesso non esistono, o peggio, dobbiamo inventare: cos’è un sistema impermeabile, cosa vuol dire impermeabilizzare, cosa vuol dire sigillare.

Inutile che cerchiate in rete… non c’è nulla! (ci ho già guardato)

Sarebbe opportuno che queste domande avessero risposta in modo da poterle dare ai clienti o committenti.

Cominciamo dall’inizio: cosa intendiamo per impermeabile! L’unica risposta che ho trovato, degna di essere citata, è quella del dizionario enciclopedico Treccani: “Non permeabile, di corpo che non lascia passare un liquido attraverso le sue porosità” Si può notare che non è una definizione ma la negazione di un’altra. Non è cosa da poco! Questo vuol dire che di base non esiste una vera e propria esplicitazione del suo significato.

Di conseguenza sappiamo che stiamo facendo qualcosa di impedente. Bene, infatti non dobbiamo far passare l’acqua. Ma basta limitarsi a pensare all’acqua? In fondo quando progettiamo o montiamo un sistema impermeabile coibentato parliamo anche di vapore acqueo… che è sempre acqua ma in uno stato diverso, talvolta più subdolo e ancora meno comprensibile. Quindi quando applichiamo una barriera al vapore o una barriera al Radon continuiamo ad essere nel campo delle impermeabilizzazioni o stiamo varcando un confine che nessuno dichiara?

Sinceramente penso che si rientri nei limiti naturali delle impermeabilizzazioni. Il problema di base, però, rimane: la definizione non esiste e quindi possiamo trovarci a risolvere questioni che non ci competono o a prenderci delle responsabilità di cui non eravamo a conoscenza.

Urge che si cominci a discutere seriamente di questo e che lo si faccia sia nelle sedi competenti (UNI) sia nei più ampi spazi dei social networks, fra i professionisti del settore.

E’ questo lo scopo di questo articolo: sollecitare una presa di coscienza su una questione formale che porta con sé una serie di coinvolgimenti e grattacapi anche legali sul nostro lavoro; pensate ad un progettista che inserisce un sistema impermeabile in un capitolato senza specificarne i materiali di corollario per eseguire le sigillature in punti complicati. In questo caso è l’applicatore che si sostituisce al progettista arrogandosi il diritto di scelta e sobbarcandosi la responsabilità di averlo fatto!

Concludo spingendovi a discutere della questione nel modo più ampio e condiviso. Arriviamo alla soluzione e usiamola correttamente.

Perciò, cosa significa “Sistema Impermeabile”? A voi le risposte

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Primer o non primer, questo è il problema

In un video pubblicato qualche giorno fa, decisi di parlare della preparazione dei supporti, di come dovrebbero essere fatti e di come andrebbero pretesi. Quello che ha colpito tutti coloro che l’hanno visto, invece, è il fatto che l’operatore applicava una guaina bituminosa senza primer.

SCANDALOOOOOOOOO

Riprendiamo, allora, il discorso dei primer non solo nei sistemi bituminosi ma in tutti i sistemi monolitici.

Innanzitutto la parola monolitico. Questi sistemi NECESSITANO DELL’USO DEL PRIMER senza se e senza ma!

Appunto, nei sistemi monolitici. E negli altri? No, non serve, anzi è deleterio.

Ma allora perchè nel filmato si sta posando una guaina senza primer e il video viene preso ad esempio di una perfetta preparazione del fondo. Per alcuni motivi: il primo è che la posa del sistema impermeabile che si vede è una barriera al vapore e che, quindi, ha una sua stratigrafia superiore che con il suo peso manterrà l’intero sistema ben ancorato a terra; secondo motivo è che chi ha progettato quel sistema crede nella posa in semi-indipendenza (Geom. Piccinini) ed è stato posato da operatori che vivono la guaina come una religione.

Il punto è questo: se il supporto viene preparato in modo da accogliere perfettamente una membrana bituminosa, piuttosto che un sistema poliuretanico e le regole di asciugatura, temperatura dell’aria, umidità dell’aria, temperatura della superficie etc. vengono rispettate, allora il primer non serve! (affermazione corraggiosa). Anzi no… manca un elemento: la posa! Esatto, il posatore deve essere perfetto! Non può mancare in nulla!

Se avete tutti questi parametri, potete non usare il primer per posare i sistemi impermeabilizzanti.

Dovete anche avere una buona quantità di pelo sullo stomaco, perchè ogni azienda produttrice di impermeabilizzanti richiede che venga usato lo specifico primer; in alcuni casi, vedi le resine, ci sono addirittura primer per specifici utilizzi. Se non lo si fa ci si prende la responsabilità della scelta, nel bene e nel male.

Se parliamo di resine poliuretaniche, ad esempio, è necessario che vengano usati i primer per i più disparati motivi, tra cui i principali sono: incompatibilità con il supporto (resine/guaina bituminosa), umidità residua nel supporto (formazione di bolle nel manto finito), polverosità del supporto. Nel caso di un’impermeabilizzazione bituminosa, invece, è necessario per un motivo molto più importante e, troppo spesso, neanche preso in considerazione: il sistema di tenuta della membrana.

Come ben sapete una guaina bituminosa viene posata facendo fondere (nei sistemi a fiamma) una parte della membrana con un cannello a gas in modo che possa penetrare nelle porosità del supporto ed agganciarsi in modo saldo ad esso. Ma cosa succede se il supporto è ad una temperatura che preveda che la mescola sia solida e non fluida? (ossia sempre!!!) molto semplice, la parte della membrana fluida, a contatto con la superficie più fredda, si solidifica all’istante evitando di penetrare nel supporto. In questo caso si parla di “incollaggio della membrana”. Sistema decisamente più debole di quanto ci si aspetti da uno strato impermeabile monolitico.

Se usiamo il primer andiamo a saturare le porosità del supporto con uno strato minimo di bitume che penetra grazie al solvente che lo mantiene liquido; successivamente andremo ad agganciare la membrana, non più al supporto, alla superficie primerizzata mediante la posa a caldo. Facendo così “vulcanizziamo” la membrana alla superficie bituminosa data dal primer! Ecco che avremo una tenuta decisamente più forte.

Perchè, allora, i produttori non ci spiegano queste cose? Beh, perchè a noi non interessa, in quanto loro lo fanno!; se l’ho imparato io vuol dire che qualcuno me l’ha insegnato.

Quindi dobbiamo fare tutti un’azione di modestia pura: fare un passo indietro e cercare di ascoltare chi è preparato per spiegarci come si eseguono le impermeabilizzazioni, sia esso un tecnico specializzato o il responsabile di un produttore. Non tiriamoci mai indietro e facciamo domande, non accontentiamoci di sentirci dire “si deve fare così” ma chiediamo spiegazioni in modo da comprendere appieno il motivo per cui operiamo, posiamo, progettiamo un sistema impermeabile.

Poi, se volete, cominceremo a discutere se sia meglio la monoliticità o la semi-indipendenza; avremo però ben presente quali siano le regole del gioco, i pregi ed i difetti di ogni tipo di sistema; anzi di questo dicuteremo nel prossimo articolo! Quindi affilate le armi e preparatevi a discutere, anche animatamente, sempre con lo scopo di far crescere tutto il settore!

Articoli relativi lo stesso argomento:

Keep calm e metti il primer

 

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Il carotaggio ci rivela informazioni fondamentali

Questa volta l’articolo non l’ho scritto io, mi sono limitato a tradurlo. Mi ha colpito in modo particolare il fatto che sia in Italia sia negli Stati Uniti si parli delle stesse cose. Come fare una buona copertura, come realizzarla con i migliori materiali. Ma soprattutto è interessante il fatto che l’analisi di una copertura si fa esattamente nello stesso modo.

Ringrazio il sig. Michael Shultz della Jurin Roofing (Pennsylvania – USA) per avermi dato la possibilità di ripubblicare il suo articolo.

<< Fare coperture può sembrare piuttosto semplice. Intendo dire che non è astrofisica nucleare. Basta presentarsi, caricare il vostro materiale, cominciare il lavoro, vero? Che difficoltà c’è?

Non così veloci. Ci sono molte variabili che determinano come progettare e preventivare il ripristino della copertura. Ma come trovare queste variabili? Uno dei passi più critici che aiutano un impermeabilizzatore o un progettista specializzato a sviluppare un progetto di copertura è il carotaggio.

Che cos’è il carotaggio della copertura?

Il carotaggio è quando un’impresa o un progettista taglia una piccola sezione all’esterno della copertura per determinare la completa composizione della stessa.

Ma un carotaggio della copertura può sembrare una cattiva idea. Solitamente si evita di fare buchi sulla copertura. Ma, al pari di un medico, noi esperti sappiamo come eseguire un intervento chirurgico e suturare il paziente senza creare alcun danno.

I coperturisti usano speciali metodologie per estrarre una piccola area della copertura dal solaio del tetto. Una volta che la carota è stata estratta il risultato viene documentato. Poi questa viene rimessa al suo posto e il buco viene riparato.

Cosa ci dice il carotaggio della copertura?

Il campione del carotaggio è analizzato sulla copertura per:

  • Spessore Quanto è spesso l’attuale sistema di copertura?
  • Strati – Quanti strati di impermeabilizzazione ci sono in situ?
  • Composizione – Quali differenti strati ci sono e quali i loro pesi?
  • Pendenza – La pendenza della copertura è nell’isolamento o nella struttura?
  • Materiali pericolosi – Ci sono materiali potenzialmente pericolosi (amianto), nella stratigrafia, che richiedano maggiori test?
  • Struttura del tetto – Qual’è la struttura portante che sostiene la copertura?
  • Umidità – C’è acqua intrappolata nella stratigrafia del tetto?

Allora perchè sono importanti questi fattori?

Ok, quindi gli impermeabilizzatori professionisti e i progettisti specializzati raccolgono questi dati. Ma è veramente importante?”

Questi fattori sono quelli che determinano il prezzo finale del progetto della copertura. Senza questi fattori, un prezzo accurato della sostituzione del sistema tetto non può esistere.

Alcuni di questi fattori influenzano il prezzo come segue:

 

  • Regole di costruzione – Le costruzioni che hanno più di due sistemi di copertura nello stesso luogo, normalmente richiedono la rimozione dal tetto fino al solaio come da codice delle costruzioni (negli USA come in Italia vi sono normative legate alle coperture. Nel nostro caso sono legate principalmente al risparmio energetico). Inoltre l’unico modo per determinare se il sistema tetto è a più strati è fare un carotaggio completo.
  • Lunghezza dei fissaggi – Ogni fissaggio usato in una copertura deve penetrare nel tetto per una specifica profondità. E’ fondamentale conoscerne la struttura totale per poter ordinare la giusta lunghezza degli stessi. I fissaggi troppo lunghi possono, oltre ad incrementare il costo del progetto della copertura, causare danni all’intradosso del tetto (esempio bucare gli impianti)
  • Costi di Smaltimento – Le coperture con più strati sono composte da materiali diversi. Inoltre gli stessi materiali possono avere diversi pesi. Come risultato, il costo complessivo dello smaltimento della sistema di copertura che deve essere rimossa, sarà influenzato dalla composizione del tetto. Il carotaggio rivelerà il peso totale della stratigrafia del tetto e, quindi, il prezzo dello smaltimento.
  • Smaltimento dei materiali pericolosi  – La presenza di amianto o altri materiali nella stratigrafia influenzano il processo di rimozione e smaltimento. L’amianto, per esempio, ha speficiche procedure per la movimentazione e lo smaltimento. I costi associati a questo devono essere incorporati nel prezzo della ricostruzione della copertura.
  • Pendenza Molte norme sulle costruzioni e regole di progettazione richiedono un drenaggio positivo per la costruzione della copertura Il drenaggio positivo può essere eseguito o mediante la pendenza della copertura o con l’uso di coibenti intagliati ad hoc (pendenziati). La carota spesso ci dice se la pendenza è nella struttura della costruzione o se è stata creata con i pannelli isolanti. La progettazione e i costi circa il rifacimento della copertura sono particolarmente impattati da questo fattore.
  • Coibentazione con determinata Resistenza Termica richiesta – Il carotaggio ci dice anche quale sia la resistenza termica del pacchetto di copertura. In determinate situazioni potrebbe essere richiesto di integrare l’isolamento termico dalle norme costruttive (anche da noi, in Italia, è necessario che i valori termici delle coperture vengano integrati se si fa un rifacimento di copertura). Quindi il carotaggio è anche richiesto per determinare il tipo di materiale e la sua Resistenza Termica da inserire nella stratigrafia.
  • Tipo di copertura – Il tipo di copertura potrebbe essere rivelato da un’ispezione dell’intradosso. In altri casi la vista del solaio dal di sotto è ostruita da coperture di vario tipo (intonaco, cartongesso, etc.). Conoscere il tipo di struttura del tetto è fondamentale per la scelta del metodo di fissaggio dell’intera nuova stratigrafia. Senza questo fattore critico, il sistema tetto non può essere debitamente progettato.

L’analisi del carotaggio è un passo importantissimo per la progettazione del sistema di copertura Senza un’accurata progettazione l’impermeabilizzatore professionista non può fare un’offerta dettagliata. Basando il prezzo su assunti senza la conferma di specifiche informazioni raccolte, lascia l’impresa e il cliente aperti a progetti dove un contraente può tagliare i costi per rimanere nel prezzo o chiedere aggiunte allo stesso per le differenze di lavorazione all’atro.

Se i proprietari e gli acquirenti degli edifici sono alla ricerca di un prezzo certo per un progetto di copertura, è nel loro stesso interesse insistere che il contraente completi i passi necessari e che l’analisi del carotaggio porti sufficienti informazioni per la corretta progettazione e lo sviluppo del giusto prezzo.

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Ma davvero ti rivolgeresti ad un farmacista?

Hai mai pensato che i lavori fatti in casa tua non funzionino perchè hai scelto il metodo sbagliato? Non intendo dire che i materiali siano per forza sbagliati o che lo sia il posatore o che lo siano entrambi… ma tu normalmente ti fai consigliare dal venditore per le cose importanti?

Ti faccio un esempio pratico. Fai un esame clinico e scopri (speriamo di no) che hai un tumore alla prostata (per una volta colpiamo solo i maschietti). Cosa fai? Molto semplice, vai dal farmacista e chiedi quale sia il medicinale migliore per curare il brutto male che ti è stato diagnosticato!

No, non sono pazzo, tu fai proprio così!

Un altro esempio? Hai il tetto, o il terrazzo, che perde e chiami un impermeabilizzatore per farti dire cosa devi FARGLI fare.

Eh, già, sono la stessa situazione. Per un caso grave che riguardi il tuo corpo, nella realtà, andrai a cercare il miglior specialista (sentendo il medico di base e le migliaia di amici, parenti, conoscenti, che ti consiglieranno un nome da contattare) e, dopo aver preso appuntamento e pagato una lauta parcella (ma si tratta della vita… non c’è cifra che tenga), ti farai prescrivere una serie di indagini diagnostiche nuove (che pagherai senza fiatare), una serie di incontri con lo stesso specialista (che pagherai senza fiatare) ed infine la risoluzione con un intervento o altra terapia (che pagherai senza fiatare).

Allora perchè quando vedi una perdita di acqua dal tetto chiami l’impermeabilizzatore (il contraltare del farmacista) e non un progettista specializzato (il contraltare del medico specialista)? Perchè sai, come il tuo corpo, anche il corpo della casa (detto involucro) si ammala; ma si può anche curare, a patto che vengano somministrate le giuste cure.

Un amico ha chiamato la sua attività “il medico della casa”, un altro “chirurgia impermabilizzativa”. Perchè questo se non per il fatto che gli interventi che vengono eseguiti su una struttura sono importanti esattamente come le cure che riservi al tuo corpo?

Bene, la prossima volta che qualcuno (come il sottoscritto) chiederà una cifra per redigere relazioni tecniche o fare sopralluoghi, ricorda che ti sei rivolto ad un professionista, esattamente come un medico nel suo lavoro, che studia, partecipa a seminari, discute con colleghi in simposi ed altro. Non sempre spendere poco è la soluzione; la miglior spesa è quella perfettamente proporzionata al problema ed alla soluzione “su misura”.

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Impermeabilizzazioni: La scelta

Nel mondo delle impermeabilizzazioni vi sono innumerevoli materiali e svariate tecniche di posa. Il problema di base oggigiorno in questo settore è proprio questo: in assenza di norme chiare non vi è nulla che determini quale sia il corretto sistema di posa da adottare. A causa di queste mancanze i materiali si sono moltiplicati facendo precipitare inevitabilmente la qualità dei prodotti verso il basso. Il fatto che questi prodotti siano marchiati CE non è certo un’automatica garanzia di adeguatezza del prodotto. In fondo, per apporre questo marchio ad un prodotto, è necessario solo che questo risponda ad alcune normative tecniche generiche (norme tecniche volontarie).

Tra i tecnici si è aperta, ormai da molto tempo, una battaglia filosofica su chi sia il responsabile di questa situazione e sul come agire per poter uscire da questa “palude”. Possiamo identificare due correnti di pensiero prevalenti tra gli operatori del mondo della protezione dall’acqua: chi cerca di usare al meglio quello che il mercato dei prodotti gli fornisce e chi invece pretende materiali performanti e basta.

Quelli che appartengono al primo gruppo sostengono che, per eseguire una buona impermeabilizzazione, è necessario adottare tutte le tecniche adeguate per risolvere all’origine le problematiche dovute alle deficienze dei materiali. Un esempio tipico è la “memoria elastica” delle membrane bituminose: si tratta di un ritiro dovuto allo stiramento dell’armatura della guaina che è stato fatto in fase di produzione per permettere una maggior produzione oraria. Da quest’azione nascono diversi problemi quali: instabilità dimensionale, reptazione, mancanza di rettilineità, ritiri, etc. Per ovviare questi problemi il posatore deve adottare la posa in totale aderenza con, spesso e volentieri, l’aggiunta di zavorre localizzate nei punti di maggior estrazione al vento

Gli appartenenti al secondo gruppo, non ammettendo che vi siano materiali con carenze dovute a scelte economiche fatte durante la produzione, addossano le problematiche che ne scaturiscono ai produttori: se un’armatura di scarsa qualità può creare problemi, perché non usarne una che garantisca migliori prestazioni seppur più costosa? Quindi vanno alla ricerca dei materiali più performanti andando a richiedere specifici criteri di fabbricazione del materiale al produttore.

Se volessimo tastare con mano queste due filosofie di pensiero ci basterebbe fare da spettatori ad una delle tante discussioni sull’argomento tra l’arch. Broccolino e il geom. Piccinini, due emeriti rappresentanti di queste filosofie di pensiero: Broccolino per l’adattabilità a quanto presente sul mercato, Piccinini per la qualità totale.

Il punto nevralgico di queste discussioni è sempre lo stesso: giustificare o no i produttori di materiali per le impermeabilizzazioni. Chi scrive, pur rispettando l’esperienza e la cultura tecnica di Broccolino, è schieratissimo con Piccinini.

La questione è che i produttori di materiali hanno come scopo primario quello di produrre un utile (esattamente come tutte le aziende esistenti), attraverso la vendita di prodotti, mentre sono poco interessati al come si devono eseguire perfette impermeabilizzazioni. I posatori, che dovrebbero avere a cuore quest’argomento, sono però purtroppo sommersi da una “giungla” di prodotti dove, senza un’adeguata formazione obbiettiva, faticano ad orientarsi. Spesso si orientano su prodotti di scarsa qualità per poi lanciarsi in acrobazie tecniche per risolvere i problemi congeniti che da questi prodotti inevitabilmente arrivano.

Purtroppo il mercato, nel nostro settore, è ancora gestito dai produttori e dai rivenditori di materiali edili che, per produrre reddito, cercano continuamente di abbassare i costi produttivi (abbassando inevitabilmente la qualità del prodotto) in modo da poter vendere il maggior numero di pezzi. A chi verranno venduti questi prodotti, e quali prestazioni avranno effettivamente, poco gli importa… e proprio qui sta l’inghippo!

Fin quando il mercato del settore impermeabilizzativo verrà gestito da chi produce o vende i materiali, questi verranno ceduti a chiunque ne faccia richiesta, senza se e senza ma. Certo è che anche se questo mercato venisse affidato ai posatori si rischierebbe di cadere ancora più in basso. E’ vero che il posatore professionista dovrebbe mirare all’ottenimento del miglior risultato possibile ma sempre più spesso in questo settore i posatori sono “improvvisati” e mirano al solo principio di economicità del lavoro, cercando di ottenere un maggior rapporto tra costi e ricavi aumentando il più possibile l’utile del lavoro. Essendo inoltre così facile l’accesso a questi materiali, diventa altrettanto facile poter entrare nel mondo degli applicatori aumentando la concorrenza non qualificata e, conseguentemente, diminuendo i prezzi (legge della domanda e dell’offerta). Ma diminuire i prezzi non vuol dire, per forza, diminuire l’utile d’impresa: per mantenere costante il valore della posa si cercherà di diminuire il costo del materiale acquistato; se il produttore non abbasserà il prezzo del materiale che solitamente usano, sceglieranno il materiale di qualità inferiore. Così gli applicatori seri continueranno a ricercare i materiali migliori per realizzare opere perfette e durature, mentre gli altri (non è detto che non siano seri, magari sono solo ignoranti) cercheranno di combattere la concorrenza con il prezzo basso.

Ma allora chi dovrebbe gestire il mercato dei materiali impermeabilizzanti? A mio avviso rimangono solo i progettisti, ossia coloro che, pur essendo in parte interessati al costo delle opere d’impermeabilizzazione, dovrebbero avere come interesse primario le garanzie reali che i prodotti e la loro applicazione daranno nel tempo.

E come un cane che si morde la coda ecco che tutto torna in mano ai produttori, gli unici che fanno corsi di aggiornamento per i progettisti. Gli ordini professionali inoltre, che in questa vicenda dovrebbero essere garanti ed imparziali, sono purtroppo sempre più spesso complici. A loro poco importa chi tiene il corso e quali concetti vengono divulgati, l’importante è che qualcuno paghi per poterlo fare. In questo sistema solo i produttori sono disposti a pagare un ordine professionale affinché possa spiegare ai loro iscritti come e cosa fare….. ed essendo loro a farlo, appare ovvio che spingeranno i loro prodotti a prescindere dalla qualità e dalle prestazioni.

Urge una riforma di questo sistema! Una riforma che deve passare inevitabilmente attraverso professionisti intellettualmente onesti e, perché no, intransigenti. Solo così si potrà iniziare un percorso virtuoso che possa avere come traguardo la perfetta esecuzione delle opere impermeabili.

Così facendo gli applicatori saranno obbligati a dare delle vere garanzie, garantendo soprattutto di esistere per il tempo necessario (almeno 10 anni) per poter eseguire le eventuali manutenzioni sui lavori eseguiti. I produttori in questo scenario futuribile si dovranno arrendere e dedicare le loro energie a produrre solo materiali di alta qualità che corrispondano alle specifiche tecniche necessarie per la realizzazione di opere impermeabilizzative durevoli.

In attesa che si possa realizzare questo scenario la cosa migliore è quella che progettisti ed applicatori “qualitativi” si riuniscano in un progetto di operatività ad alto livello e che venga istituita la figura del tecnico delle impermeabilizzazioni che possa eseguire i giusti collaudi in corso d’opera. In questa strategia un passaggio fondamentale potrebbe essere quello di coinvolgere gli stessi produttori (quelli che ovviamente siano intenzionati a credere nella qualità totale del prodotto) inducendoli ad usufruire di questi professionisti per i collaudi in corso d’opera delle lavorazioni per cui concederanno la polizza postuma.

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Il collaudo in corso d’opera nelle impermeabilizzazioni

Abbiamo spesso discusso di come fare per controllare il processo di realizzazione di un’opera impermeabilizzativa. Abbiamo detto che è fondamentale che vi sia la giusta scelta del materiale, la giusta scelta del posatore e la giusta scelta del progettista. Certo, senza questi tre ingredienti è impossibile avere un sistema a tenuta veramente funzionante nel tempo.
E’ ora di cominciare ad entrare più nel dettaglio nel funzionamento di questi processi decisionali che portano una copertura ad non subire infiltrazioni d’acqua.

Le scelte del progettista non servono solo a creare un capitolato, ma devono anche essere durature nel tempo e portare dei benefici ben oltre le garanzie richieste dalla legge. Se un’impermeabilizzazione deve essere garantita 10 anni, non vuol dire che non ne possa durare 100. A questo servono i mesi passati dai professionisti a ricercare, studiare e testare i materiali che verranno posati nelle coperture.

Troppo spesso questa scelta viene delegata all’ufficio tecnico del produttore di impermeabilizzanti, o peggio all’agente commerciale. Nulla da dire su queste figure ma il loro scopo non è quello di realizzare il miglior strato impermeabilizzante possibile ma quello di posare il miglior prodotto fatto nella tal fabbrica, per il primo, o vendere il più redditizio per il secondo. Se siamo fortunati le scelte, filosoficamente diverse, coincidono, altrimenti ci troviamo ad aver buttato via del denaro inutilmente.

Per questo è importantissimo che la scelta delle tecnologie da applicare venga riportato in progettazione e messa in mano all’architetto o all’ingegnere o al geometra di turno.

Purtroppo abbiamo visto che la vastità del panorama dei prodotti in commercio potrebbe solo far perdere l’orientamento al progettista che, trovandosi decisamente confuso, ricadrebbe nell’errore iniziale di delegare al produttore di fiducia le sue scelte; ma se ne prenderebbe le responsabilità.

Per questo si rende necessario introdurre delle figure altamente specialistiche che abbiano la funzione principale di eseguire le scelte in nome e per conto del progettista, coadiuvandolo nelle scelte e guidandolo nei percorsi intricati dei corridoi del mondo delle impermeabilizzazioni.

Questi consulenti (effettivamente non esiste una figura tipica che faccia questo mestiere) devono essere altamente specializzati e conoscere tutte le tecnologie a disposizione, non solo per aiutare nella progettazione, ma anche per poter seguire le fasi di posa.

Il codice degli appalti, attualmente in vigore, ci dice che nei lavori pubblici (e noi lo mutuiamo anche per quelli privati) è necessario che le operazioni di realizzazione dell’opera edile siano seguiti da una figura detta Direzione Lavori. Questi deve essere un professionista iscritto all’albo di appartenenza.

Ora, per semplificare le cose, faremo finta che sia una normativa unica nazionale e, quindi, unica via da percorrere. In questo caso ci troveremmo con dei progettisti che, per quanto bravi e preparati, non sono in grado di seguire ogni tipologia di lavorazione. Per questo vi è la possibilità di introdurre degli aiuti: i collaudatori in corso d’opera. L’articolo 215, al comma 4 ci dice che il collaudo in corso d’opera è necessario in un determinato tipo di situazione; in particolare anche quando <<b) in caso di lavoro di particolare complessità di cui all’articolo 236>>, ossia i lavori di particolare difficoltà tecnica.

Sicuramente qualcuno potrebbe obiettare che le impermeabilizzazioni lo siano, anzi, sono sicuro che la maggior parte di coloro che leggeranno questo articolo lo penseranno. Alcuni lo faranno in quanto professionisti specializzati, che fanno solo questo di mestiere; altri per arroganza, altri semplicemente per sentito dire. Rimane che le impermeabilizzazioni sono una delle parti fondamentali di un edificio. Senza questa protezione fondamentale, tutti i calcoli ingegneristici che vengono eseguiti per far lavorare correttamente una struttura, scemeranno in un cumulo di macerie dopo pochi anni dalla sua realizzazione.

Quindi, tornando a noi, la legge già prevede che ci sia una figura professionale che possa coadiuvare la D.L. Nel controllo della realizzazione delle opere impermeabili.

Occorre a questo punto definire in maniera chiara e precisa alcuni concetti che saranno poi fondamentali per l’elaborazione e per il rispetto dei protocolli di posa e di verifica dei lavori.

Una piccola premessa è a questo punto necessaria, e ci sarà utile tenerla a mente anche in futuro, per capire meglio le difficoltà che si dovranno man mano affrontare.

Dieci anni di garanzia, perché?

Il concetto, quasi sempre mal interpretato, che le opere di protezione e di impermeabilizzazione debbano durare dieci anni è fondamentalmente sbagliato, sia dal punto di vista teorico che pratico.
Se andiamo a comprare una Ferrari nuova fiammante, il produttore della vettura (che dal punto di vista tecnologico è ben più complessa di un’opera impermeabilizzativa) ci garantisce il bene venduto per due anni dalla data di acquisto. Ciò non significa che la vettura Ferrari per la quale abbiamo speso cifre molto consistenti, dopo due anni può tranquillamente cadere a pezzi o esplodere perché “tanto la garanzia è scaduta”.
No. Il significato di garanzia è ben diverso.
Garanzia significa che il bene acquistato è funzionale all’impiego previsto e che nel periodo di tempo programmato non deve manifestare danni o difetti che ne possano pregiudicare l’utilizzo.
Si assume perciò il concetto (sia per la Ferrari che per l’opera di impermeabilizzazione), che il bene acquistato debba durare molto, ma molto più a lungo del termine di garanzia, e che entro questo periodo tutti le incombenze derivanti da danni o difetti siano a carico del produttore (vedi Ferrari) o di chi ha realizzato l’opera (vedi lavoro in opera).
È legittimo aspettarsi che un lavoro di impermeabilizzazione correttamente realizzato possa, anzi debba, tranquillamente durare quarant’anni e più, e non solo dieci anni e un giorno. Anche perché le opere edili sono progettate e costruite per garantire la propria funzionalità per tempi variabili dai quaranta ai duecento anni e oltre.

Ora che abbiamo dato un piccolo cenno all’importanza dei lavori che si andranno a realizzare, si dovranno definire in maniera precisa alcuni criteri di riferimento per le future considerazioni e conclusioni.

Prestazione di un’opera
Il concetto è molto spesso poco o per nulla compreso. Le domande sono: a quali sollecitazioni (fisiche, chimiche e biologiche) deve resistere? Una copertura piana di 10.000 mq completamente esposta avrà necessariamente delle richieste di prestazione diverse rispetto a un balcone.

Sicurezza dell’opera
Che cosa devo proteggere? Se l’edificio contiene delle opere d’arte di valore inestimabile, come ad esempio un museo, i criteri di progettazione e di realizzazione dei lavori saranno diversi rispetto a quelli che si adottano per un tetto di un box auto.

Possibilità o meno di manutenzione
Alcune opere sono manutenzionabili, come ad esempio una copertura a vista, altre no, come quelle interrate o ricoperte con massetti e pavimenti. Ovviamente (ma mica tanto), andranno studiate e affrontate in maniera completamente diversa.

Durabilità
Quanto tempo deve verosimilmente passare prima che l’opera sia “esaurita”? Ovvero qual è il tempo per il quale realisticamente posso considerare che l’opera assolva al suo compito prima della sua ricostruzione? Ad esempio, secondo una vecchia ma ancora valida regola della SAE (Society of Automotive Engineers) i motori automobilistici vengono progettati per durare 150.000 miglia, ovvero circa 240.000 km. Ma questo non significa che tutti i motori durano almeno o soltanto ciò che è stato previsto in progetto.

Il collaudo in corso d’opera è un’attività ispettiva di lavori particolarmente importanti o complessi che richiede il controllo continuativo o comunque molto frequente dei lavori, da parte di un soggetto avente esperienza in quel determinato settore.

Quando avevo la mia impresa di lavori in opera, ho svolto degli interventi di notevole complessità e difficoltà in ambienti dove un semplice errore avrebbe comportato dei danni enormi, come ad esempio quando nel 2001 abbiamo realizzato l’impermeabilizzazione della piscina sospesa del Yacht Club Porto Cervo, per conto del Principe Karim Aga Khan.
In quelle occasioni il Committente affidava ad un suo incaricato il controllo a vista continuativo dell’intero intervento, dall’inizio alla fine.
Successivamente, avendo valutato quanto tale attività fosse vantaggiosa, perché con questa modalità di controllo e verifica le possibilità di errore diventavano bassissime o nulle, ho iniziato a proporlo ai clienti come servizio.
Dopo alcune sperimentazioni su lavori di piccola entità, ho strutturato meglio il tipo di servizio offerto.

Il primo lavoro importante di collaudo in corso d’opera che ho svolto personalmente è stato quello della riqualificazione strutturale della torre di controllo dell’aeroporto di Olbia sotto sorveglianza ENAV, in occasione della sua sopraelevazione dalla quota di m 30,50 a quella di m 46,50. Vi era la necessità di aumentare la resistenza di otto travi in ca esistenti tramite inserimento di nuove armature e ispessimento con malte ad alta resistenza.
Tutto si è svolto secondo programma, con ampia soddisfazione del Committente, della DL e dell’Impresa, nonché del sottoscritto, infatti il mese dopo mi affidarono lo stesso incarico per un lavoro analogo alla torre di controllo dell’aeroporto di Alghero.

Si tratta di un servizio di verifica e controllo, comprendente la compilazione di alcuni report sia cartacei che fotografici, raccolti poi in un fascicolo, dove tutti gli elementi utili dell’opera vengono fissati e memorizzati per il futuro. È un’attività che in molti casi può essere svolta anche da tecnici non esperti, sotto la supervisione di uno più qualificato.

 

Marco Argiolas

Arcangelo Guastafierro

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Le malte cementizie elastiche – l’estinzione

Sono giorni che sto provando in ogni modo a trovare un sistema per salvare le malte cementizie elastiche. Studio di schede tecniche, dialoghi con tecnici ed operatori, ristudio delle schede e di sicurezza ma non riesco a trovare una via d’uscita. Mi sento di affermare che le malte cementizie elastiche sono un prodotto più dannoso che altro.

Partiamo con calma e seguitemi nel ragionamento: le malte cementizie elastiche sono un prodotto bicomponente o monocomponente formato da una matrice cementizia e da una resina di origine ignota (Acrilica o vinilica, di solito), non perchè non abbia un’origine, ma perchè nessuno lo specifica da nessuna parte.

Primo distinguo: non sono elastiche, sono plastiche.

Ci sono tantissimi operatori che giurano e spergiurano che i loro lavori sono perfetti, che i terrazzi fatti con la malta cementizia elastica non hanno problemi e che nessuno si MAI lamentato. Sapendo che i muratori sono parenti molto stretti dei pescatori, ovviamente prendo queste affermazioni con le pinze e ritengo che in fondo, ma molto in fondo, qualche cenno di verità ci sia. Per questo posso affermare che deve esistere un sistema per impermeabilizzare un balcone con la malta cementizia elastica e far sì che duri 10 anni.

Analizziamo le criticità del materiale. Per fare questo passaggio dobbiamo cercare i punti in comune di tutti i prodotti simili che ci sono sul mercato. Innanzitutto la preparazione del supporto: questo deve essere liscio, planare, coerente, con la giusta pendenza, pulito e, soprattutto, ASCIUTTO.

  • Liscio: vuol dire che non deve avere grosse asperità (concessa la fuga della mattonella) e se non è così devo prendere una malta che mi permetta di colmare le asperità fino a rendere liscio il supporto… ovviamente liscio vuol dire liscio, non vuol dire con le onde ed il surfista che le cavalca….
  • Planare: il piano da impermeabilizzare deve essere tutto sullo stesso piano, quindi nessun gradino tra un punto e un altro, non ci devono essere riseghe o buchi o canali etc.;
  • Coerente: beh sembra facile, ma coerente vuol dire che rimane compatto. Non che si sbriciola dopo due giorni, che il supporto rimane aggrappato a sé stesso!!!!!
  • Con la giusta pendenza: la pendenza è fondamentale. Se non è perfetta prima o poi l’acqua ristagna. Ma cosa vuol dire avere la giusta pendenza per 10 anni? Ovviamente avere uno strato perfettamente liscio che porti l’acqua fino ad un punto predeterminato. Ma i massetti, le maltine, i pavimenti, le caldane (insomma, tutto quello che dobbiamo impermabilizzare) subisce dei ritiri, subisce delle sollecitazioni e dei deterioramenti. Immaginatevi un bel piano perfetto, liscio come un biliardo, con una pendenza del 2,5% perfettamente costruita dove il proprietario decide di mettere un vaso in cemento da 2 metri cubi e un baobab dentro… secondo voi la pendenza rimane costante nel tempo?

    Quindi la pendenza deve rimanere integra e costante nel tempo.

  • Pulito: il supporto da trattare deve essere esente da grassi, sporco, distaccanti vari, solventi, coloranti e chi più ne ha più ne metta, cioè da tutto ciò che può creare un distacco fisico o un’alterazione chimica del manto impermeabile. Se alcuni di questi rimangono… beh non è stato pulito a dovere. A volte pulire può voler dire agire meccanicamente raschiando la superficie fino a togliere le zone troppo sporche per essere pulite chimicamente (fino all’estremo di togliere e rifare il supporto).

    Attenzione: bisogna pulire anche dai residui di agenti chimici usati per pulire….. è un cane che si morde la coda, ma se uso degli acidi…. ovviamente questi continueranno ad agire fino a fare dei danni su qualsiasi cosa ci metta sopra in aderenza.

  • ASCIUTTO: qui casca l’asino. Troppo spesso, anzi direi quasi sempre, le schede tecniche dicono che il supporto deve essere asciutto. Ma asciutto cosa vuol dire visto che non è specificato? Non più del 4% di umidità al cuore del supporto. Questo vuol dire che dovrete prendere un igrometro, fare un buco nel supporto e misurare l’umidità nel suo punto più bagnato. Eh già! Non avete altro modo per farlo!

Di seguito bisogna valutare le tecniche di posa. C’è chi dice che non si possono posare più di 2mm alla volta, c’è chi dice che non si possono posare meno di 2mm alla volta, c’è chi non dice nulla, c’è chi dice che serve l’armatura, chi dice che non serve, chi ne vuole una fucsia, chi una rete, chi un tnt…. insomma in questo punto vi è la fumosità totale e un posatore non fa altro che supporre che quello che fa lui possa andare bene.

Attenzione: spesso i corsi tecnici fatti dalle aziende dicono una cosa, i manuali altre…. ci si può fidare solo dei manuali e schede tecniche (Scripta manent)

Come dovrebbe essere posata una malta cementizia elastica? Uno solo è corretto: in modo uniforme, senza bolle e su tutta la superficie; maggiore importanza deve essere data dallo studio e la cura dei dettagli! Bisognerà ricordarsi che una buona impermeabilizzazione deve essere posta al di sotto dell’intonaco o del rivestimento verticale. Nel caso non lo vogliate fare potete impermeabilizzare tutto il muretto fino a risvoltarvi all’estradosso del pavimento (non scherzo……. l’acqua può penetrare anche da sotto). Facendo così avete coperto ogni punto in cui può esservi un’infiltrazione, ma non è detto che esteticamente sia ottimale; inoltre avrete posto il manto impermeabile cementizio a vista e, quindi, a contatto con gli agenti atmosferici di ogni tipo.

Altra buona norma è quella di andare a sostituire il materiale cementizio con altri idonei nei punti critici: angoli, giunti, bocchettoni, etc. In questi casi ci sono dei supporti appositi che vanno usati. Il problema nasce quando questi supporti non sono in totale aderenza con il manto cementizio, ma vi è un punto di disgiunzione. Le sollecitazioni meccaniche verranno sicuramente rette dall’ausilio, ma creeranno le stesse criticità al manto cementizio stressandolo.

Uno di questi ausili, che nel tempo è stato lentamente sostituito, è la banda formata da un centro elastico in gomma EPDM ed una rete di vetro (o poliestere o altro) sui lati; la banda elastica si agganciava al sistema impermeabile nella sua parte retinata e non nella sua parte in gomma. Lo scopo era quello di resistere ai movimenti dei supporti dove era richiesta elasticità. Purtroppo la rete di aggancio era più debole della parte elastica e si snervava prima che la parte centrale si allungasse…. con conseguenti infiltrazioni date dalle crepe formatesi sulla malta cementizia. Da un po’ di tempo (e qui mi prendo un bel po’ di merito nella scelta del materiale… che a casa mia ho usato 13 anni fa quando i produttori mi diedero del cretino) si è sostituita questa bandella particolare con un nastro in butile autoadesivo ricoperto da un tessuto non tessuto. Sicuramente è uno stratagemma migliore e risolve moltissimi punti a sfavore del precedente ausilio, se non fosse che nessuno spiega quali sono le criticità del butile: non è elastico ma plastico; fin quando si parla di piccole dilatazioni (ordine di millimetri, 1 o 2) non ci sono problemi, ma quando i movimenti supportati possono agire con dilatazioni maggiori, anche il butile si snerva. Inoltre, per la legge sulla conservazione della massa, se un corpo si allunga in una dimensione deve per forza accorciarsi nell’altra dimensione … e cosa succede se lo si stressa troppo? una parte si stira fino a diventare troppo sottile e… la malta elastica crepa e crea infiltrazioni

Le soglie sono sempre e comunque il punto più critico da trattare. La tipologia di soglia con le sue naturali dilatazioni, la tipologia di ausili utilizzati che spesso rifiutano le malte cementizie le pongono in particolare come la maggiore criticità per un sistema cementizio elastico.

Questo elenco che ho fatto è frutto di tanta esperienza e dialoghi fatti con gli studi tecnici delle aziende che producono tali materiali. Ma quanti impermeabilizzatori sanno o hanno mai chiesto qualcosa riguardo questi punti nevralgici?

Tutti coloro che posano malte cementizie elastiche, e non sono impermeabilizzatori, hanno mai preso in considerazione la loro scheda tecnica nella sua interezza? Hanno mai preparato il supporto come va fatto? Sanno che si prepara il supporto?

Scusatemi se posso sembrare esagerato, ma la mia risposta è NO. O meglio, quelli che lo fanno sono talmente pochi da non fare statistica. Del resto non viene neanche riconosciuto a nessuno il quid necessario a svolgere le operazioni di preparazione, quindi …. beh, tanto sono materiali miracolosi!!!

Questione commerciale: le malte cementizie elastiche sono un materiale che è stato messo in mano a chiunque, con una distribuzione particolarmente polverizzata ed una concorrenza spaventosa che ha portato all’impoverimento del prodotto, all’ignoranza totale degli operatori che sono convinti che il materiale faccia il lavoro da sè. Il massimo degli obrobri è stata l’introduzione delle magiche malte cementizie elastiche monocomponenti.

Inutile che diciate che funzionano perchè non è vero! E sapete che voi che le posate vi candidate a pagare una valanga di danni senza averne la più pallida idea né di quanto né di quando?

Eccovi la motivazione principale che dovrebbe farvi scappare via davanti a questo prodotto: tutti i dati che andate a leggere sulle schede tecniche sono stati rilevati con una miscela precisa al centilitro di acqua (non con il tubo in cantiere) e con acqua distillata (sempre non con il tubo in cantiere). Quindi il prodotto che andate a posare è diverso da quello che pensate di posare e da quello che leggete in scheda tecnica!

Quanto conta l’acqua in un impasto cementizio? Tutto! Se nell’acqua ci sono inquinanti di qualsiasi natura (dal calcare tipico, al ferro, al manganese, al potassio, al petrolio, alle scorie radioattive etc.) la malta cambia le sue prestazioni in modo radicale. Questo nella scheda tecnica non lo trovate scritto quindi, se avete qualche soldino da parte, cominciate a contattare un buon avvocato ed un buon perito chimico che vi preparino le cause che andrete ad affrontare.

Insomma, in ultima analisi: le malte cementizie elastiche hanno avuto uno scopo (a dire il vero quello originario ancora ce l’hanno) ma il mercato le ha talmente snervate e buttate nella mischia, che oggi è quasi impossibile trovare un prodotto di buona qualità che abbia la minima speranza di durare i 10 anni che la legge impone inoltre le operazioni preliminari necessarie sono impossibili da realizzare in cantiere se non a costi decisamente esagerati.

Il punto è sempre quello: se avete una malattia andate dal medico, perchè se dovete impermeabilizzare chiamate un imbianchino?

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E’ la copertura che sceglie la guaina, non il posatore.


Leggere i preventivi di due o tre applicatori, come al solito i migliori… amici degli amici degli amici, è fantastico! Se sei fortunato ti scrivono che posano una guaina; non ti dicono quale, non ti dicono come, né se ci sono prescrizioni particolari (verticali, soglie, angoli, etc.). Quando si è meno fortunati (e non sono ironico) troviamo scritto che mettono un materiale con una particolare flessibilità a freddo. Di solito inseriscono dei -15 o -20, come se fosse il dato più importante della scheda tecnica. Beh, sappiatelo, è il meno importante! Se poi ci mettono un nome siamo alla frutta.

Perchè questo mio cambio di direzione dal momento che sono anni che predico di scrivere nome e cognome del prodotto? Beh, non è un cambio di direzione, ma un incubo per chi legge il preventivo.

Innanzitutto partiamo da un motto: E’ la copertura che sceglie la guaina, non il posatore.

Facciamo chiarezza con le guaine bituminose innanzitutto. Le norme tecniche si sprecano; sono dettagliate, sono puntuali e non è facile sbagliarsi…. a meno che non sappiamo nulla di queste e non vi siete letti i miei articoli sulla lettura della scheda tecnica.

Una guaina bituminosa è costruita per rispondere a determinate esigenze tecniche e viene detto che ha una “Destinazione d’Uso”, ossia risponde a quesiti tecnici di montaggio, durata e prestazioni che devono essere standardizzate in un prodotto.

Innanzitutto ricordiamo che una guaina bituminosa è formata da molti strati di materiali diversi che collaborano per creare un prodotto che possa impermeabilizzare una superficie:
1) compound bituminoso (bitume, polimeri, filler)
2) armatura (Poliestere, velo di vetro, alluminio)
3) finitura superiore (ardesia, tnt, laminato, film plastico)
4) finitura inferiore (talco, sabbia, film plastico, film monosiliconato)

Questi sono sempre gli stessi strati, ma con una ricetta particolare del compound o una spostamento dell’armatura verso l’alto o il basso, un’armatura più o meno performante, creano un prodotto diverso dall’altro! Per questo non si può dire che si monta una guaina, perchè ogni produttore ne crea, come minimo, una trentina tutte diverse con finalità diverse.

A questo punto andiamo a chiamare la copertura per capire quali sono le sue esigenze in termini di prestazioni. Ovviamente la copertura non ci risponderà… così dovremo avvalerci di qualcuno che la sa capire ed interpretare.

Cominciamo con il dividere due macrocategorie: monostrato e doppio strato. Sono due sistemi quasi sempre concorrenti, ossia possiamo sostituire uno con l’altro! E’ una questione di filosofia di posa e di abitudini tecniche; ma può anche essere un’esigenza imprescindibile.

Che sia il primo o il secondo avremo altre due posizioni da scegliere: senza protezione pesante e sotto protezione pesante. Sia chiaro che la seconda è qualsiasi situazione su cui viene posato un peso continuo o puntuale (anche per macchinari appoggiati su strati di separazione) sopra l’impermeabilizzazione; il massetto è il principale sistema di protezione pesante! Pertanto se dovete utilizzare una guaina bituminosa in un terrazzo con massetto dovrete usarne una per la protezione pesante.

Per i monostrati si parla anche di Monostrato a vista. La differenza con il multistrato, che ha una definizione molto più generica, sta nel fatto che in un sistema con molti strati quello a tenuta è quello più vicino alla zona da impermeabilizzare e quelli superiori sono di protezione. Quindi quando vi propongono un multistrato e vi dicono che mettono un prodotto più performate sopra sappiate che stanno sbagliando! Il doppio strato, salvo autorizzazione del produttore o specifica progettazione, dovrebbe essere sempre formato dallo stesso tipo di mescola per avere la massima compatibilità tra gli elementi.

Rimanendo sulle coperture dobbiamo citare la famosissima guaina antiradice. E’ una guaina con un additivo particolare (Preventol della Bayer) che funge da repellente per le radici che non si dovrebbero andare a infilare oltre lo strato a tenuta. Questa si usa, come è facile immaginare, nei sistemi impermeabili bituminosi nei giardini pensili; ma è consigliata ogni qual volta vi è una possibilità di attecchimento di piante sulla copertura.

Altra specifica guaina è quella sottotegola. E’ la più povera, la più bistrattata e la più economica e, come al solito, la meno progettata…. tanto che se si sbaglia materiale si fanno dei danni. La guaina da sottotegola ha una specifica funzione: impermeabilizzazione secondaria in un sistema con una copertura discontinua. E’ vero, non serve una guaina dalle grandi prestazioni di resistenza all’invecchiamento in quanto è protettissima da un’altro tipo di copertura (tegole, lamiere etc.); ma ha la necessità di avere una grande resistenza meccanica al punzonamento ed al surriscaldamento in quanto potrebbe avere sia dei pesi molto grandi (tegole in cemento) sia dei sistemi che potrebbero far aumentare notevolmente le temperature d’esercizio (lamiere non coibentate). Pertanto capirete come il produttore non può proporre qualsiasi guaina per questo specifico utilizzo, ma solo alcune particolari che sono in grado di durare nel tempo.

Come avete notato siamo passati, in un attimo, da un sistema generalistico (monostrato o multistrato) a sistemi specifici e puntuali. Continuando a rimanere sui tetti passiamo ad una guaina che spesso viene dimenticata e ritenuta inutile o semplicemente costosa, mentre è fondamentale perchè un pacchetto coibente possa funzionare: la barriera al vapore. Si tratta di una guaina che normalmente è armata o in poliestere o in velo di vetro con accoppiata una lamina sottilissima di alluminio. Questo permette alla migrazione del vapore di non passare attraverso la membrana bituminosa lasciando il coibente completamente isolato dalla partizione sottostante della costruzione. Come per le altre guaine anche la Barriera al vapore ha la sua norma e le sue caratteristiche tecniche da rispettare. Pertanto se dovete fare un tetto coibentato non potete assolutamente dimenticare questo strato che deve essere in totale adesione, altrimenti potrebbero formarsi fastidiose condense interstiziali tra la membrana e il supporto.

A questo punto cominciamo a scendere sotto il piano campagna! Essendo le membrana bituminosa un sistema impermeabilizzante, la troviamo anche in fondazione, o meglio, sotto il piano campagna. In particolare abbiamo tre specifiche tipologie di impermeabilizzanti bituminosi sotto quota campagna: muri verticali, fondazioni e umidità di risalita.
Muri verticali direi che si descrive da sola: serve a impermeabilizzare i muri verticali che verranno poi interrati! Non parliamo di fondazioni, ma di parti verticali esterne che vengono poste sotto terra. Per le fondazioni, invece, parliamo di platea di fondazione o di sistemi che stanno alla base della struttura che viene costruita. Come potete immaginare una guaina bituminosa che stia sotto una platea dovrà avere grandissima resistenza meccanica al punzonamento ed allo schiacciamento! Terza situazione è quella contro l’umidità di risalita. E’ una guaina che prevede una situazione mista tra le due viste sopra (tanto che spesso si usa lo stesso prodotto) e serve a non far risalire l’acqua piovana attraverso il muro. Attenzione: per umidità di risalita si intende solo acqua meteorica, mentre quando si usano le guaine per fondazioni o muri verticali sottoquota si vuole impermeabilizzare anche dall’acqua di falda.

Come vedete potete scegliere la marca di una guaina, non il modello! E’ vero che molte aziende fanno più di un prodotto adatto a varie situazioni, ma ricordatevi che prima di scegliere il tipo di membrana dovete chiedere alla vostra copertura cosa vuole. E se non sapete in che lingua parla la vostra copertura chiamate qualcuno che è in grado di tradurvi il suo linguaggio.


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Liscia o ardesiata? questo è il problema.


La finitura delle guaine bituminose può essere, generalizzando, liscia o ardesiata. Ardesiata è quella con le scaglie d’ardesia di vario colore e liscia sono tutte le altre. Eh, già, perchè le guaine liscie sono quelle senza asperità. Ma liscio vuol dire tutto e niente; ci sono guaine liscie con finitura il polipropilene, in polietilene, in tnt, in lamina metallica, in strati colorati, in sabbia o in talco.

Voglio parlarvi solo delle applicazioni sui tetti a falda.

Normalmente viene usata, come impermeabilizzazione secondaria, una guaina bituminosa ardesiata, il cui scopo principale è impermeabilizzare ma anche evitare lo scivolamento degli operatori durante la posa, per proteggere la massa bituminosa della membrana e per migliorare l’adesione delle tegole che vengono fissate con schiume poliuretaniche o malte. Preciso che la malta cementizia sarebbe meglio non utilizzarla in quanto, nel tempo, verrà rifiutata dalla guaina.

Ma siamo sicuri che sia la scelta giusta! Certo l’applicatore che abbiamo contattato (che è l’amico del fratello del cognato del vicino di casa di uno che abbiamo conosciuto scivolando su una buccia di banana, non un professionista) ci avrà detto che la guaina giusta è quella ardesiata e noi, che non sappiamo nulla, non possiamo fare altro che fidarci. Beh, vi devo deludere: la guaina migliore per la posa sottotegola è quella liscia con finitura tnt (tessuto non tessuto) o tessuto tessuto. La guaina liscia con tnt accoglie molto meglio la schiuma rispetto alle scaglie d’ardesia, ma soprattutto, essendo attaccata in continuo sulla massa bituminosa (compound), non si staccherà con molta facilità cosa che succede con le scaglie d’ardesia.

Se dovete farvi fare un preventivo per reimpermeabilizzate il vostro tetto a falda con tegole o con lamiera ricordatevi questi piccoli parametri:

  1. utilizzate una guaina liscia con finitura superiore in tnt
  2. che sia una guaina di tipo plastomerico (APP o TPO) con valore di flessibilità a freddo non superiore a -10° (quindi -15 e -20 vanno benissimo). Non utilizzate guaine elastomeriche tipo SBS mentre vanno benissimo quelle in EPDM
  3. Se proprio non potete fare a meno di avere una guaina ardesiata controllate che il peso sia di 4,5 kg/mq ed abbia uno spessore non inferiore a 3mm
  4. La guaina dovrà essere posata ortogonalmente alla linea di gronda
  5. La guaina dovrà essere sfiammata su tutta la sua superficie
  6. E’ necessaria la posa del primer!

Se chiederete che venga utilizzato un materiale con finitura in tnt scoprirete chi, effettivamente, è un applicatore professionista e chi improvvisato! Inoltre pretendete che queste annotazioni vengano scritte in contratto e, prima della posa del manto di tegole, nominate qualcuno di vostra fiducia (un progettista o un esperto in impermeabilizzazioni) che vadano a fare un carotaggio sul tetto per capire se la guaina è stata posata correttamente. Nel caso non lo sia fate rifare il lavoro, perchè un tetto fatto male è un tetto pericoloso!

Probabilmente penserete che sia esagerato il lavoro di controllo che suggerisco, ma se pensate che quando si parla di tetti si parla sempre di migliaia di Euro, non vi dovrebbe sorprendere un tal consigio. Inoltre i posatori professionali mirano ad un lavoro di qualità e duraturo, come dovrebbe essere comunque, e non si scandalizzano o offendono mai se un committente vuole essere sicuro del lavoro eseguito; anzi sono ben contenti di poter dimostrare la qualità del loro lavoro.


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UNI 11540 – il Manuale di Manutenzione


Terza parte della norma UNI 11540. Abbiamo parlato del Manuale della Copertura, adesso entriamo ancora più nello specifico.

Il Manuale di Manutenzione è lo strumento che ci dice come fare le cose e dove farle. Chi ha creato la norma ha previsto due gradi di manutenzione: Livello 1 e Livello 2 (evviva la fantasia)

Il livello 1, o potremmo chiamarlo Entry Level, è quello generale, il minimo garantito, dove evidenzieremo il posizionamento delle zone impermeabilizzate all’interno dell’involucro edilizio (già presente nel Manuale della Copertura), andremo ad analizzare dove sono i punti sensibili (verticali, scarichi, elementi emergenti, etc.), ma soprattutto andremo ad indicare due tipologie di interventi: quelli a carico del proprietario dell’involucro, ossia che può tranquillamente farseli da solo (vedi la pulizia degli scarichi o della copertura) e quelli che devono essere effettuati da un professionista (controllo visuale dello stato della copertura, stato degli scarichi, etc.)

Vi è l’introduzione ufficiale di un professionista delle impermeabilizzazioni! Finalmente questa parola: PROFESSIONISTA. Ma cosa s’intende per professionista? E qui casca l’asino. Come al solito non vi è uno strumento che possa identificare il professionista! Dovremmo cercare tra i tanti che si propongono uno di cui ci fidiamo, oppure potremmo scegliere una persona esperta nel settore che faccia il controllo ed un operatore che esegua le chiamate dell’esperto (vedi articolo precedente).

Il secondo livello è decisamente più interessante e contiene più dati del primo, non a caso lo rendono obbligatorio per le superfici maggiori di 3000 mq. Innanzitutto vi è una raccolta di documentazione molto dettagliata riguardo ogni singolo aspetto della copertura: vi è la raccolta di tutte le schede tecniche relative ai materiali utilizzati, la rappresentazione grafica sia delle singole coperture (se varie) sia dei dettagli e degli elementi emergenti e, comunque, sensibili, con particolare riferimento allo smaltimento delle acque meteoriche; è la prima volta che si parla, in questa norma, di garanzie! E’ richiesta tutta la documentazione circa la costruzione della copertura e gli studi che sono stati fatti preliminarmente per la sua realizzazione, oltre ad eventuali polizze rilasciate e dall’applicatore e dal produttore dei materiali utilizzati. Si parla anche della documentazione che può essere stata fatta circa i sistemi di fissaggio e le schede tecniche dei materiali utilizzati. I documenti circa la previsione di sistemi per la ricerca di eventuali perdite (traccianti) e i documenti circa eventuali non conformità rilevate durante la fabbricazione o il rilievo della copertura e le anomalie riscontrabili.
Fin qui vi è un lungo elenco di documenti che bisogna sempre conoscere per capire come la copertura è stata realizzata; da questo punto vengono richiamati due particolari che sono innovativi: Descrizione delle risorse necessarie per l’intervento manutentivo e il Livello minimo delle prestazioni (della copertura).

Quando il manuale richiede la descrizione delle risorse necessarie alla manutenzione, è come se volessimo certificare che chi interverrà sia veramente in grado di eseguire il lavoro richiesto. Non è altro che un elenco di materiali ed attrezzature necessarie. Il fatto che venga predisposto in anticipo ci permette di controllare nel tempo la qualità di materiali utilizzati ed evolvere in continuo il manuale al fine di prolungare sempre più la vita utile della copertura.

Se parliamo di livello minimo delle prestazioni, invece, cominciamo ad entrare anche nelle prestazioni in utilizzo della copertura. La norma vuole che l’area interessata non sia solo costruita e manutenuta bene, ma anche utilizzabile. Questo punto, che ai più può sembrare semplice, è, invece, la richiesta di una costante valutazione dello stato della copertura, delle norme relative alla sicurezza e degli adeguamenti necessari perchè questa possa essere utilizzata. Se vogliamo possiamo vederla come la voglia di permeare il futuro, che non conosciamo, obbligandoci ad avere una visione a lungo termine. Sapendo che una copertura dovrà durare almeno 50 anni dovrò prevedere che ci saranno particolari esigenze che dovranno essere soddisfatte e mettere a disposizione della proprietà tutti gli strumenti per poterle soddisfare e, allo stesso tempo, garantirne la fruibilità originaria. La Lungimiranza è stata richiesta come qualità di progettazione e realizzazione! Questo sì che è un’innovazione per il mercato italiano.

Proprio a causa di questo spirito evolutivo è necessario che il manuale della manutenzione venga continuamente aggiornato in base anche ai cambiamenti delle tecniche e delle metodologie. La lungimiranza richiesta, mi permetto di aggiungere, non dovrebbe permettere l’utilizzo di tecnologie che non possono essere garantite e manutenute nel tempo.

In particolare le prestazioni minime riguardano i seguenti parametri (non esaustivi, ma esemplificativi):

  • Tenuta all’acqua.
  • Consumi energetici.
  • Drenaggio.
  • Condensa interstiziale.
  • Sicurezza.
  • Coesistenza con agenti biologici e chimici.
  • Coesistenza meccanica.
  • Fruibilità.
  • Ispezionabilità.
  • Manutenibilità.
  • Isolamento acustico.
  • Rumori aerei od impattivi.

Si può immediatamente notare come vengano previsti alcuni parametri che solo alcuni anni fa non sarebbero stati presi in considerazione: consumi energetici, isolamento acustico, coesistenza con agenti chimici, manutenibilità. A costo di sembrare troppo ripetitivo devo dire che la norma è stata fatta sicuramente bene con la grande consapevolezza che una copertura ha una sua utilità ed un suo funzionamento. Non dobbiamo dimenticarci che con l’evoluzione tecnologica la copertura è divenuta uno spazio attivo dove depositare le macchine che permettono il miglioramento della vita dentro le strutture. Questo spazio subisce passaggi, alterazioni, stress termici e fisici, manutenzione di macchinari e richieste tecniche da soddisfare; non può essere tutto lasciato al caso o ad un operatore che non abbia idea di cosa stia facendo! Ecco che la parola Professionista acquisisce un significato concreto! Il professionista è colui che è in grado di operare in qualsiasi condizione sul manto di copertura, conoscendone pregi e difetti e attrezzato per effettuare tutte le riparazioni o migliorie necessarie; inoltre è un professionista colui che è in grado di dimostrare il costante aggiornamento della propria professionalità

Per capire come agire nell’aspetto manutentivo la norma pone un’elenco di danni che si possono verificare.

Azione Agente Potenziale Effetto
1 Stati tensionali attivati da carichi dinamici concentrati sull’elemento di tenuta generati da fenomeni atmosferici e da dislocazione e ricaduta di elementi complementari (scossaline, esalatori, ecc.), di altri elementi collocati in copertura non correttamente fissati Grandine, vento Punzonamenti, lesioni con immediata infiltrazione
2 Stati tensionali attivati da carichi statici, dinamici concentrati sull’elemento di tenuta generati da utilizzo improprio del piano di copertura Pedonamento della copertura con calzature non idonee; utilizzo della copertura per attività non previste progettualmente; deposito di detriti e oggetti vari (imballi, attrezzature, dispositivi dismessi, cocci di bottiglia, rottami, ecc.) Affondamenti, lesioni, incisioni, punzonamenti; immediate infiltrazioni
3 Stati tensionali attivati da carichi puntuali o lineari, concentrati direttamente sull’elemento di tenuta Presenza di rivestimenti protettivi fessurati o a quadrotti fratturati, presenza di attrezzature impiantistiche appoggiate direttamente sull’elemento di tenuta Affondamenti, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
4 Stati tensionali sull’elemento di tenuta attivati da deformazioni sotto carico del suo supporto Pannelli isolanti con insufficiente resistenza alla compressione rispetto ai carichi previsti progettualmente; pannelli isolanti con insufficiente resistenza alla compressione dovuta al loro deterioramento, attivato per esempio da acqua di infiltrazione o da condensazione interstiziale Affondamenti, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
5 Stati tensionali sull’elemento di tenuta generati da variazioni termiche e/o umidità nel suo supporto Pannelli isolanti non fissati correttamente al supporto; instabilità geometrica dei pannelli isolanti; giunti di dilatazione del supporto non riportati sull’elemento di tenuta Corrugamenti, lesioni, infiltrazioni
7 Stati tensionali sull’elemento di tenuta generati da escursioni termiche da protezioni termiche fisse (per esempio massetti in conglomerato cementizio) Spinte del massetto sull’elemento di tenuta dovute a impedimenti alla dilatazione del massetto o da insufficienti giunti di dilatazione dello stesso Punzonamenti, lesioni, incisioni con eventuali infiltrazioni
8 Stati tensionali in corrispondenza di elementi fissi di perimetro o in superficie corrente generati da escursioni termiche dell’elemento di tenuta Contrazioni (termiche o da invecchiamento) impedite dall’elemento di tenuta dovute alla sua connessione meccanica con elementi complementari (risvolti di bordo, scossaline, terminali impiantistici, esalatore, bocchettoni di scarico, fissaggi meccanici dell’elemento di tenuta, ecc.) Stiramenti, lesioni in corrispondenza dei punti fissi; ondulazioni d’angolo e in superficie corrente; distacchi delle sovrapposizioni dei teli impermeabili; deformazione, estrazione di fissaggi meccanici; infiltrazioni
9 Stati tensionali in corrispondenza di elementi fissi di perimetro o in superficie corrente generati da fenomeni atmosferici Azione del vento: sollevamento e suo impedimento dovuto alla connessione meccanica con elementi complementari (Risvolti di bordo, scossaline, terminali impiantistici, esalatori, bocchettoni di scarico, fissaggi meccanici dell’elemento di tenuta, ecc.) Stiramenti, lacerazioni, lesioni in corrispondenza di punti fissi generati da connessioni con elementi complementari; ondulazioni d’angolo e in superficie corrente; dislocazione di elementi complementari e loro eventuale ricaduta; distacchi delle sovrapposizioni dei teli impermeabili; deformazione ed estrazione di fissaggi meccanici; potenziali infiltrazioni
10 Esposizione alla radiazione solare, ombreggiamenti, concentrazione della radiazione solare, ristagni di acqua Radiazione solare e surriscaldamenti dell’elemento di tenuta anche eventualmente potenziati da superfici riflettenti (vetri riflettenti, superfici metalliche di canalizzazione, insegne, ecc.); riscaldamento e raffreddamento dell’elemento di tenuta in rapporto alla dinamica del suo parziale ombreggiamento durante le ore diurne Invecchiamento accelerato dell’elemento di tenuta; armatura perdita di massa superficiale fino ad avere affioramento di armatura, coccodrillatura, reptazione e ondulazioni; sfogliamento, sfarinamento e microlesioni diffuse delle pitture riflettenti o protettive e dei trattamenti superficiali
11 Alterazione chimico-fisica, meccanica dell’elemento di tenuta Presenza di depositi biologici a diretto contatto con l’elemento di tenuta (foglie, muschio, sterco di animale, terriccio, residui vari, forme di vita animale, vegetale) con conseguenti attacchi batterici Invecchiamento accelerato; riduzione della resistenza meccanica; perforazioni in sezione corrente; penetrazioni radicali nelle giunzioni tra teli; potenziali infiltrazioni
13 Alterazione chimico-fisica, meccanica dell’elemento di tenuta Presenza di depositi di sostanze chimiche aggressive sull’elemento di tenuta; incompatibilità chimico-fisica con strati contigui Invecchiamento accelerato; effetti variabili sulla reologia del compound in funzione delle caratteristiche della sostanza aggressiva (riduzione volumetrica)
14 Alterazioni chimico-fisica meccanica di sigillature e guarnizioni di scossaline, cappellotti metallici, lucernari, serramenti e altri dispositivi Elevata temperatura, escursioni termiche, irradiazione solare, instabilità intrinseca del compound; azioni meccaniche (da parte di animali quali roditori, volatili, ecc.) Distacchi, alterazioni meccaniche, asportazioni; potenziali infiltrazioni

Come vedrete mancano due numeri nella tabella. Non è una dimenticanza mia, ma proprio mancano nella norma.

Come già detto questa è una tabella che non copre tutte le casualità che si possono riscontrare, ma è piuttosto completa. Particolare è il fatto che, anche se un esempio, al punto 13 si parla di “incompatibilità chimico-fisica con strati contigue“. Per non creare confusione possiamo dire che è l’incompatibilità con gli elementi a cui è attaccata la nostra impermeabilizzazione. In tanti c’eravamo arrivati prima della norma, gli stessi autori conoscevano il problema; adesso, però, è dentro il corpus della norma e non può più essere negato! ora i produttori di materiali, se usiamo questa normativa, dovranno corredare i loro prodotti con eventuali problematiche circa la compatibilità o meno con gli eventuali strati a tenuta!

Un consiglio spassionato: se proprio avete dei dubbi e volete delle garanzie, scrivete al produttore del materiali contiguo (massetto, colle, fugature, piastrellature, sistemi di fissaggio, alleggeriti e tutto quello che potreste trovarvi davanti) e chiedete se vi sono o no problemi di “compatibilità chimico-fisica”. Non abbiate poi paura di usare queste risposte anche a livello legale! Ma in particolare evitate di usare i prodotti di quei marchi che non vi danno risposte!