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Il giardino pensile – prima parte

Oramai il risparmio energetico sta diventando, per me, una vera mania, quasi un’ossessione e non posso fermarmi davanti ai limiti fisici che le città e la società ci impongono; devo studiare, devo andare avanti, devo cercare di capire cosa si può fare per migliorare questo piccolo mondo che abbiamo devastato cercando, automaticamente, di migliorare il comfort per noi stessi.

Proprio per questo ho deciso di cominciare a studiare in modo più approfondito un sistema originale ed antico come l’uomo di vivere la natura in città: il giardino pensile.
Apprezzato e demonizzato, facile e difficile il giardino pensile è uno dei metodi per migliorare l’efficienza energetica dei nostri locali, di migliorare la difesa acustica, l’assorbimento degli inquinanti, migliorare la diffusione dell’evaporazione e il raccoglimento dell’acqua più diffusi dai tempi di Babilonia ad oggi; il bello è che nel mondo moderno e visionario dei grandi architetti il giardino pensile è uno strumento quasi indispensabile!

Per partire con un giardino pensile dobbiamo pensare ad un oggetto classico: il terrazzo o il lastricato sopra i garage.

Per scrivere ciò che leggerete di seguito e che scriverò in futuro ho preso contatti con un professionista del settore (il buon Fabio Cerè titolare della N.P. Srl è stato disponibilissimo nell’istruirmi) e ho fatto una splendida visita alla biblioteca universitaria della facoltà di Agraria di Bologna.

I vantaggi di avere il verde pensile sono innumerevoli: innanzitutto abbiamo una capacità naturale del terreno di trattenere acqua che viene rilasciata nell’ambiente mediante l’evaporazione in loco, evitando di avere zone esageratamente secche (città) e sono troppo umide (zone di raccolta delle acque); inoltre sono un vero e proprio toccasana per quanto riguarda la pulizia dell’aria perché i giardini pensili hanno la grande capacità di frenare le polveri sottili, di assorbire i più comuni inquinanti facendoci respirare decisamente meglio; i giardini pensili hanno anche la grande capacità di isolare termicamente ed acusticamente i solai su cui poggiano creando uno strato di separazione tra il mondo esterno e migliorando in comfort abitativo ed il risparmio energetico.

Riconosciuto unanimemente dal mondo di chi tratta i giardini pensili è il valore fondamentale dello strato impermeabile: “Nella progettazione e realizzazione di una copertura a verde pensile occorre ricordare che lo strato di impermeabilizzazione riveste un’importanza fondamentale” (Giardini Pensili – Paolo Abram – Pag. 80 – Gruppo editoriale Esselibri-Simone) e “Fino ad oggi, purtroppo, l’argomento impermeabilizzazione nel progettare verde pensile è stato spesso superficialmente sottovalutato” (idem – Pag. 81); ho deciso di citare queste due frasi perché portatrici di un disagio da parte del mondo della progettazione verso coloro che rendono difficile la costruzione di un giardino pensile a causa di una forte ignoranza in materia di impermeabilizzazione che diventa ostativa nella realizzazione del giardino.

Come si può realizzare un giardino pensile: chiaramente non mi arrogo il diritto di scegliere i materiali idonei, soprattutto per quanto riguarda la stratigrafia vegetativa, ma per quanto riguarda lo strato a tenuta posso dire la mia.

innanzitutto la scelta del materiale impermeabile: possiamo utilizzare i più svariati materiali impermeabili, dalle guaine bituminose, alle resine poliuretaniche o epossidiche.

L’ostacolo più importante che deve affrontare lo strato impermeabile è il propagarsi delle radici che, con il loro elevato potere punzonante, possono bucare il più resistente dei calcestruzzi! Per ovviare questo problema è necessario che l’impermeabilizzazione sia studiata nel dettaglio valutando pro e contro di ogni sistema utilizzabile e scartando quelli che renderebbero lo strato a tenuta deteriorabile nel breve periodo.

Un grande problema riscontrabile, come già detto, è l’effetto punzonante delle radici che si possono insinuare sia nello strato impermeabile, ma più facilmente nelle giunte che si possono presentare con alcuni materiali prefabbricati (guaine bituminose o poliolefiniche ad esempio): proprio le giunzioni tra i teli sono un punto delicatissimo, come un punto molto delicato è la resistenza al punzonamento statico: la capacità di un materiale di resistere alla penetrazione di un corpo: questo valore viene migliorato notevolmente dalle armature in quei prodotti che non ce l’anno naturalmente. Altro grosso ostacolo è la capacità di un materiale di fornire nutrimento alle radici, oltre a tutte le problematiche che normalmente dobbiamo affrontare in una copertura.

La scelta può essere semplice se non si tiene presente tutto questo e altrettanto sbagliata con gravi conseguenze economiche per coloro che progettano o eseguono il lavoro.

Per poter scegliere il miglior sistema impermeabilizzante è necessario conoscere le caratteristiche che deve avere in assoluto:

  • Stabilità dimensionale (max < 0,5%);
  • Resistenza al carico statico (alberi, muretti, etc.);
  • Flessibilità a freddo (più è bassa meglio è);
  • Lento invecchiamento;
  • Tenuta all’acqua (lo so che sembra una battuta, ma controllerei i dati di permeabilità prima di scegliere);
  • Protezione dalle radici.

La guaina bituminosa: esistono specifiche guaine bituminose per i giardini pensili dette “guaine antiradice” ciò grazie ad un additivo della Bayer: il “preventol”… usato da tutti indistintamente in quanto il miglior repellente per radici utilizzabile nella produzione di guaine bituminose; altra caratteristica che deve avere una guaina antiradice è un’armatura importante, spesso si usano quelle per i ponti, ed una stabilità dimensionale elevatissima per poter garantire che lo strato a tenuta non si muova nel tempo; gli svantaggi sono evidenti: chiaramente il bitume è necessario addittivarlo in quanto è in gran parte composto da carbonio che attira come una calamita le radici delle piante; inoltre se le saldature non sono effettuate a regola d’arte sono facilmente punzonabili dalle radici che non trovano l’ulteriore ostacolo dell’armatura in quella zona.

Malte elastiche ed additivi cementizi: personalmente le sconsiglio in questo campo in quanto hanno bassissime resistenze alla lacerazione ed al punzonamento, oltre ad un basso spessore di materiale presente a lavoro finito ed ad un’inesistente elasticità; d’altro canto non presentano materiali nutrenti per le radici e sono esenti da sormonte in quanto parliamo di impermeabilizzazioni continue fabbricate in loco.

Guaine sintetiche poliolefiniche o PVC: sono sicuramente membrane che migliorano l’approccio dell’impermeabilizzazione rispetto a quelle bituminose e non hanno necessità di avere additivi specifici per allontanare le radici, il loro valore di opposizione al punzonamento è valido, anche se qualche perplessità la riscontro sulle metodologie di sormonta: in questi materiali i sormonti vengono eseguiti puntualmente facendo aderire i due teli in due punti tra di loro e lasciando un piccolo “tunnel” d’aria tra una zona di saldatura e l’altra; per carità, questo tipo di saldatura è addirittura certificabile… ma come ben sappiamo alle radici delle certificazioni interessa poco e possono, nel lungo periodo, arrivare a bucarle.

Guaine sintetiche EPDM: sicuramente sono le più resistenti in quanto completamente inerti, con alti valori sia al punzonamento, sia alla lacerazione e con il grande vantaggio di poter avere un telo unico per la costituzione dello strato a tenuta; anche nel caso si utilizzino più teli è necessario ricordare che i teli EPDM si saldano per vulcanizzazione che rende i due teli saldati un unico telo con tutte le caratteristiche del telo originario; grazie a queste caratteristiche è possibile avere, addirittura, un telo tridimensionale prefabbricato che può essere creato direttamente sul disegno del giardino pensile; gli svantaggi sono facilmente ammortizzati dai vantaggi e si tratta semplicemente di un costo un po’ più elevato rispetto alle poliolefine o ai prodotti bituminosi.

Le resine: chiaramente senza entrare nello specifico delle caratteristiche di ogni resina presente sul mercato (quello fatelo voi leggendovi le schede tecniche) ricordo che le resine sono un ottimo sistema impermeabilizzante in quanto naturalmente antiradice, armabili con armature di diverso calibro, addirittura con armature raddoppiabili per migliorarne decisamente la resistenza al punzonamento; inoltre non hanno alcun tipo di sormonto in quanto vengono posate prima della polimerizzazione che avviene direttamente sul solaio da impermeabilizzare; sicuramente sono la scelta più onerosa che si possa fare.

Come al solito la miglior scelta, probabilmente, è quella di prendere il meglio dai materiali mischiando i sistemi tra di loro: ad esempio possiamo utilizzare un sistema prefabbricato per il piano e i risvolti verticali (bituminoso, poliolefine, PVC, EPDM) ed effettuare le sigillature verticali con l’utilizzo di una resina compatibile con il sistema principale: questo garantisce di contenere i costi sui materiali e di avere il meglio dai prodotti usati.

Ma una stratigrafia non può essere completa se non si pensa anche all’evacuazione dell’acqua: sopra lo strato a tenuta è necessario creare uno strato drenante che permetta all’acqua in eccesso, di evacuare verso gli scarichi predisposti e il miglior materiale in commercio è sicuramente un geocomposito formato da uno o due strati di TNT con in mezzo una rete di HDPE che permette di avere una camera d’aria sufficiente a trasportare liberamente l’acqua.

Chiaramente non finisce qui: approfondiremo il discorso giardini pensili proprio partendo dallo strato drenante.

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Impermeabilizzazioni

Le impermeabilizzazioni con cristalli impermeabilizzanti

Un sistema che da poco tempo è stato introdotto in Italia con grande vigore è l’impermeabilizzazione con cristalli: altro non è che una cristallizzazione di un qualche sale particolare che ha la capacità di occludere tutte le eventuali vie di passaggio d’acqua all’interno della struttura del calcestruzzo; chiaramente non chiedetemi di che sali si tratta: alcuni parlano di Monosilicati….. ma a dire il vero la ricetta è molto simile a quella della Coca Cola…. segretissima e, nonostante il prodotto vanti numerosissime copie, pochissimi funzionano seriamente!

Come si sa il calcestruzzo è impermeabile, almeno fin quando non si lesiona e se lo si getta con le dovute attenzioni, tanto che, salvo getti in falda, difficilmente si impermeabilizzava… anzi, durante la prima e la seconda guerra mondiale vi si realizzarono anche delle navi (qualcuno dice che è un progetto americano…. ma abbiamo notizie di un cantiere italiano che le costruì già dal 1916 Cantiere Urania ).
Alcune di queste navi sono arrivate sino a noi…. rimanendo in acqua! La prima cosa che mi è venuta da pensare: non è possibile! I sali disciolti nell’acqua marina avrebbero dovuto corrodere il cemento e i ferri di armatura (Liberty ) e sarebbero dovute affondare da molti anni! Uno dei motivi per cui ciò non è avvenuto è il sistema di impermeabilizzazione che venne studiato per l’occasione nei cantieri americani: aggiungere determinati sali alla matrice cementizia in modo tale che gli inquinanti dall’esterno non possano entrare e distruggere il cemento e le armature.

Questi sali impastati con il CLS si distribuiscono uniformemente nel getto e si legano alle particelle di cemento Portland. Quando questo è asciutto, hanno riempito tutte le cavità che si formano durante la maturazione. Non solo: sono in grado di riparare eventuali fessurazioni che si dovessero formare! Attenzione: le fessurazioni non sono crepe!!!!!!!!!! Infatti questo materiale è in grado di colmare fessurazioni fino a 0,6mm (il doppio rispetto all’autoriparazione naturale del CLS).

Certo che se il CLS viene miscelato correttamente, gettato correttamente, vibrato correttamente… insomma se viene fatto semplicemente un buon lavoro, i cristalli da impermeabilizzazione sono l’ideale per impermeabilizzarlo e proteggerlo nel tempo! Eh già, perchè questi cristalli hanno, automaticamente, la capacità di proteggere i ferri d’armatura del CLS e quindi,aumentarne la durata nel tempo evitando fenomeni di carbonatazione.

Fin quando abbiamo una nuova costruzione il sistema è semplice: ma veramente fenomenale è la possibilità di creare un progresso protettivo di questo genere anche nei muri già posati: la tecnologia dei cristalli è andata anche nella direzione del restauro e ripristino del calcestruzzo. Ricordandosi di bagnare a rifiuto il CLS da trattare possiamo stendere una boiacca particolarmente ricca di questi sali che, grazie all’acqua, verranno veicolati in tutti gli anfratti creatisi nel calcestruzzo rendendolo impermeabile e protetto; chiaramente valgono tutte le prescrizioni per il trattamento di vecchio CLS: togliere tutte le parti incoerenti, demolire eventuali nidi di ghiaia e ricostruire il cls, oltre a trattare i ferri d’armatura; fatto questo bagnano il muro, prendiamo un pennello, stendiamo la boiacca e il nostro CLS diventerà impermeabile, ma soprattutto duraturo.

Le applicazioni sono innumerevoli: dagli interrati agli impalcati stradali, dalle fosse di ascensore ai prefabbricati ai piedi dei ponti a tutto ciò che è sommerso, ma, attenzione, solo ed esclusivamente in calcestruzzo! Questi materiali non funzionano con gli altri materiali da costruzione e non funzionano con i blocchi in calcestruzzo da tamponamento.

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Come eseguire gli angoli in guaina bituminosa – l’angolo all’italiana

angolo_guaina_italiana

Sapevate che esiste un angolo, da farsi con la guaina bituminosa, detto angolo all’italiana? Ebbene sì, anche perchè, ricordatevelo, la guaina bituminosa è nata in Italia! La cosa splendida è che per trovare un angolo all’italiana fatto apposta dobbiamo andare all’estero!Vabbè noi normalmente facciamo così gli angoli tradizionalmente, ma pochi si rendono conto della grande efficacia di un sistema simile.

Per prima cosa come si costruisce: Si deve creare una “Guscia” o “Sguscio” (diciamo che su ogni paese italiano il nome ha un suo termine di origine dialettale.. ma è l’angolo nel disegno) con i materiali più disparati: dal bitume stesso, al cemento, al legno, ai giunti bentonitici triangolari etc.; a questo punto si stende la guaina a tenuta orizzontale facendola risalire circa 10 cm sopra la “guscia” e, poi, si stende la guaina verticale facendola finire circa 10 cm sul piano orizzontale.

Il motivo dell’efficacia di tale sistema è dato dal dimezzamento dell’angolo a 90°: mettendo un supporto triangolare si può creare un sistema di smorzamento delle tensioni a due angoli: migliora la posa perchè è più semplice e la stabilità dimensionale del manto impermeabile.

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Come eseguire correttamente gli angoli in guaina bituminosa

angolo_guainaSpesso si vedono, nei giardini pensili, nei tetti piani o, in ogni caso, nelle strutture orizzontali, degli angoli che sono stati fatti senza soluzione di continuità con un rotolo intero; bene, meglio, male, questo è un errore!

L’angolo, come si vede dal disegno, deve essere elaborato nel modo corretto per poter garantire il massimo della tenuta e della resistenza sia all’acqua, sia all’estrazione del vento!

Nel disegno si nota come, prima di tutto, sia necessario eseguire un angolo di rinforzo, con una fascia di membrana bituminosa di circa 25/30 cm che andrà saldata al supporto in modo esagerato! Per spiegare meglio: non dobbiamo temere di fondere troppo la mescola bituminosa, e non dobbiamo temere di mettere allo scoperto l’armatura, tanto si tratta di una striscia di guaina che verrà ricoperta ben due volte, ma dobbiamo garantire l’adesione totale al limite massimo!

Eseguito il rinforzo si procede con l’applicazione dell’elemento di tenuta orizzontale che dovrà arrivare a filo dell’angolo, senza essere risvoltato in verticale.

Per ultimo deve essere messo l’elemento di tenuta verticale nonché di raddoppio dell’angolo che dovrà iniziare nella parte alta (almeno 15 cm sopra il limite del terreno o dell’accumulo di neve) e finire 15 cm dopo la fascia di rinforzo sull’elemento di tenuta orizzontale.

Questo angolo che molti ritengono dispendioso e inutile è l’unico previsto ad esempio dalla norma UNI sulla realizzazione dei giardini pensili.

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Come si posa una guaina bituminosa – la posa a caldo

Leggendo le statistiche del sito ho notato che uno degli articoli più letti è “il verso di posa di una guaina”; questo mi fa pensare che molti si trovino nella difficoltà di avere notizie su come si posa una guaina bituminosa, voglio sperare che siano utenti che vogliano controllare se gli applicatori si comportino correttamente nella posa, ma, penso, sia anche probabile che ci siano applicatori, magari alla ricerca di qualche segreto in più.

Proprio per questo cercherò di spiegare in modo semplice e conciso, senza entrare troppo nei particolari, come si posa una guaina bituminosa.

Partiamo dalla materia prima: la guaina bituminosa è un impermeabilizzante prefabbricato composto da bitume modificato (con aggiunta di polimeri) e una o più armatura (se ne trovano fino a tre); le armature possono essere di due tipi, principalmente: poliestere a filo continuo o fiocco e velo di vetro; negli ultimi anni si è andata sempre più rafforzando la filosofia dell’armatura in poliestere rinforzata (o stabilizzata) con fili di vetro longitudinali, questo per dare maggiore stabilità alla membrana dopo la posa.

Tra i polimeri che si possono utilizzare troviamo quattro categorie, alle quali si riconducono tutti i polimeri realmente utilizzati: SBS (Stirene Butadiene Stirene), APP (PoliPropilene Atattico) TPO (Poliolefine Elastomero Termoplastico) e EPDM (Etilene Propilene Diene Monomero), generalmente classificati come: Plastomerici ed Elastomerici, meno chiara è la definizione di Elastoplastomerici che dovrebbe indicare membrane sia plastiche sia elastiche, ma questa è solo una definizione commerciale.

La posa può avvenire con due tipologie principali: a freddo e a caldo.

La posa a Caldo è quella più utilizzata e che nasce con le guaine: si tratta di sfiammare il rotolo con un apposito cannello a gas propano (qualcuno usa anche il butano) fino alla fusione della mescola che si amalgamerà con il supporto.
Questa è la procedura corretta standard: si posiziona il rotolo nella posizione di posa svolgendolo nella sua lunghezza per poi riarrotolarlo fino a metà, si sfiamma la guaina fino a che il film in plastica termosensibile non si sia ritirato facendo fuoriuscire un cordolo di bitume al piede del rotolo ancora da svolgere; la sfiammatura deve essere fatta in modo che la guaina non venga bruciata, ma allo stesso tempo arrivi alla fusione. La posa deve avvenire in modo uniforme su tutto il rotolo, tranne sulle zone di sormonto che verranno curate successivamente. Appena posato il rotolo di guaina si procederà a sfiammare i lati di sormonto nella stessa maniera , ma con l’accortezza di farlo SOLO nella parte inferiore. Si possono utilizzare, per la schiacciatura della guaina, il rullo pesante (15 Kg) o la cazzuola appena riscaldata (tiepida, non calda): con il rullo (per i rotoli interi) basterà che un operatore segua l’applicatore schiacciando la guaina e facendo fuoriuscire un cordolo di mescola di 1 o 1,5 cm (non meno, non di più), mentre con la cazzuola (per i dettagli) si deve operare mediante lo schiacciamento leggero della parte superiore della guaina sempre facendo fuoriouscire il cordolo di mescola.
ATTENZIONE: la stuccatura della guaina non deve essere forzata, il cordolo di mescola deve uscire per schiacciamento e non per sfregamento in quanto, se la sfregassimo, avremmo perdita di mescola nella parte superiore che è destinata alla protezione dell’armatura e della mescola inferiore che, guarda caso, è quella impermeabilizzante.
I rotoli dovranno essere sfalsati in modo tale da non avere mai un incrocio di più di tre strati nello stesso punto;“in corrispondenza delle giunzioni di testa deve essere prevista l’asportazione, con taglio a 45°, di un lembo di membrana delle dimensioni di 12 cm circa.” (UNI11235) Questo serve ad evitare che si possano formare microfessurazioni nelle giunture e, quindi, il distacco della guaina con conseguente passaggio di acqua.

Visto che le guaine possono essere posate anche il doppio strato (a dire il vero ne ho visti fino a 14 su un tetto…….) ci si deve ricordare che la tecnica di posa è la stessa del monostrato, con l’attenzione di sfalsare i rotoli rispetto allo strato inferiore.

Una delle problematiche che vanno risolte all’origine è quella della protezione della guaina: si può ottenere o con l’utilizzo di apposite vernici o coating prefabbricati (laminati) o con l’uso dello strato a finire ardesiato.

Con la guaina ardesiata bisogna fare attenzione ai sormonti verticali in quanto, spesso è mancante la cimosa di testa; in questo caso è necessario rimuovere l’ardesia con l’uso del cannello e del cazzuolino per una superficie sufficiente a fare il sormonto (da 15 a 20 a seconda della membrana e dell’applicazione).

Come potete notare la procedura è piuttosto semplice, ma bisogna fare molta attenzione ai dettagli, alla cura del materiale di posa e alla giusta scelta del materiale da applicare affinchè possa essere sempre il più adatto alle esigenze del cliente finale.

La posa a freddo verrà trattata la prossima volta, giusto per non mettere troppa carne al fuoco… e anche per non stressare troppo il DB del sito con articoli troppo lunghi!!!!

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Esodo 6, 13-16

Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore.

Come è chiaro supporre le impermeabilizzazioni erano già una scienza in epoche remote, dove addirittura Dio in persona comandava il metodo giusto per impermeabilizzare l’Arca.

Notiamo come sia citato il bitume come impermeabilizzante, non la pece di catrame come spesso crediamo!

Tutto ciò semplicemente per cercare di sciogliere un dubbio che attanaglia molti edili che ancora non sanno che differenza passa tra catrame e bitume e, spesso, li confondono.

Bitume: miscela combustibile di idrocarburi, solida o liquida, ottenuta da rocce asfaltiche o da petroli naturali;

Catrame: residuo della distillazione a secco di legna o di carboni fossili;

Come si può notare la differenza è notevole, ma la cosa più importante è che il catrame non si può utilizzare se non in casi estremi in quanto è cancerogeno, mentre il bitume puzza e basta… è completamente innocuo.

Quando parliamo di impermeabilizzazioni prefabbricate utilizziamo sempre bitume distillato o ossidato derivato dal petrolio e mai catrame, come contrariamente molti si ostinano a chiamare le guaine!!!

Bene dopo la dissertazione etimologica vi lascio e vi auguro un buon lavoro

ciao a tutti

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Impermeabilizzare un massetto alleggerito

E’ notorio a chi tratta impermeabilizzazioni continue che i massetti alleggeriti sono difficili da trattare; non solo con i bituminosi, ma anche con i sintetici, con le resine e con i cementizi: problemi di ancoraggio, di compatibilità, di rifiuto di resistenza alla compressione etc.

La cosa che difficilmente si riesce a capire è cosa realmente non permette di ancorare bene in manto impermeabile al massetto alleggerito.

Premettiamo che il miglior sistema è appoggiare un massetto sabbia/cemento di circa 5 cm sopra l’alleggerito o un pannello coibente e abbiamo risolto il problema, ma penso che andare a fondo della situazione sia importante per capire come difendere la nostra impermeabilizzazione da responsabilità altrui difficilmente comprovabili dopo due o tre anni.

Durante la mia indagine (nata, guarda caso, da un problema su un cantiere) mi sono trovato di fronte ad una grossa ignoranza relativa al problema ed una grande reticenza da parte di produttori di massetti alleggeriti (ringrazio fin d’ora il dott. Stefano Zuliani della Laston Italiana che è stato l’unico a dare risposte alle mie domande); con grande difficoltà ho analizzato il problema ricostruendo dati dalle schede tecniche reperite e dalle esperienze delle persone interpellate.

Partiamo da una definizione: massetto in cemento alleggerito è un massetto all’interno dei quale è stata fatta un’azione di alleggerimento che può consistere nell’introduzione di inerti leggeri (polistirene, argilla, pomice) o mediante l’azione di inglobamento di aria data da schiumogeni che, reagendo durante l’impasto, sigillano l’aria all’interno del massetto.

Il primo tipo di massetto ha la problematica base di essere meno coerente di un massetto normale e quindi può non permettere la massima adesione dello strato impermeabilizzante, mentre il secondo tipo ha problematiche di tipo chimico: gli schiumogeni utilizzati (per quello che ho potuto verificare di persona) sono quasi tutti a base di tensioattivi (a parte quello della Laston… che, stranamente, è stata l’unica a rispondermi); i tensioattivi, per spiegarlo a chi non è nel settore igienico, servono a pulire (scusate la semplicità, per chi vuole maggiori informazioni ecco il link di wikipedia: tensioattivi ).

-Qual’è il problema?-, mi chiederete: è molto semplice: i tensioattivi fungono da detergente sulle impermeabilizzazioni, ossia tendono a ridurre la coerenza molecolare delle sostanze organiche o di origine organica delle impermeabilizzazioni con l’effetto di avere un invecchiamento precoce dello strato impermeabilizzante.

Gli effetti sui manti bituminosi e sintetici (pvc, poliolefine ed EPDM) sono di velocissimo invecchiamento con conseguente creazioni di crepe e perdita di plastificanti; sulle resine incapacità di mantenere una coerenza molecolare e quindi la formazione di microcrepe che rendono permeabile la superficie; con i cementizi una totale incoerenza del manto sul massetto in breve tempo.

Attenzione: questo è un rischio, non è detto che succeda per forza!

Come possiamo evitare questo fenomeno: è molto semplice: leggendo la scheda tecnica del massetto alleggerito e lasciandolo asciugare nei tempi prescritti dal produttore; questo è determinante perché permette all’acqua del massetto di evaporare e di lasciare i tensioattivi in forma solida e quindi non corrosiva; altro consiglio spassionato è quello di utilizzare, nei bituminosi, un doppio strato di guaina o un pannello coibente che faccia da strato separatore.

Da considerarsi la migliore soluzione è sicuramente un tetto caldo (coibente a contatto con il massetto ancorato meccanicamente e strato impermeabilizzante in superficie) o un tetto caldo zavorrato (coibente a contatto con il massetto e strato impermeabilizzante in superficie con uno strato di zavorra a dare stabilità); eviterei di utilizzare prodotti liquidi o in pasta o in polvere se non debitamente protetti dall’azione corrosiva dei tensioattivi presenti nel massetto alleggerito.

In conclusione: se vi trovate a dover impermeabilizzare un massetto alleggerito state attenti a controllare l’asciugatura dello stesso e pretendetela, perché nel futuro danno (quasi certo) non potrete mai provare che il massetto non era giunto a giusta maturazione.

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Il verso di posa di una guaina

Capisco che può sembrare una cosa banale, ma molti casi di difetto di posa sono dovuto proprio al verso di posa di una guaina: inteso come dritto o rovescio, ma anche senso di stesura della guaina.

Dritto o rovescio

Beh è molto semplice su una guaina ardesiata: l’ardesia sta sopra (non ridete…. ho trovato chi ha provato a sfiammare l’ardesia) Su una guaina liscia, di solito, la carta con il marchio è quella da sfiammare e, per avere una buona sfiammatura, il marchio deve cancellarsi. Sulle guaine autoadesive si deve ricordare che il verso di posa è quello con la carta siliconata che, attenzione, non deve essere sfiammata (mi sono trovato un cliente che tentando di sfiammarla mi ha detto: vede non si fonde sto c….o di carta)

Senso di stesura

Quì le cose si fanno un po’ più serie: la stesura della guaina deve avvenire, in un tetto a falda, in senso ortogonale alla linea di gronda (perpendicolare) e mai correrle parallela. Premesso che così è descritta sui manuali di posa di tutti gli applicatori e, pertanto, così deve essere fatto (impariamo a leggere le schede tecniche) il motivo è molto semplice: se montiamo una guaina parallela alla linea di gronda avremo molti punti deboli (i sormonti) in cui l’adesione tra le mescole bituminose è soltanto altra mescola bituminosa e non l’armatura; se, invece, la montiamo correttamente (con il suo risvolto sul colmo) avremo l’armatura che svolge la sua azione meccanica e difficilmente (purchè in aderenza totale) le tegole faranno scivolare la guaina.

Doppio strato Il doppio strato deve avere alcune piccole accortezze: devo stare attento agli angoli dei rotoli: quando ho posato il primo strato, il secondo devo sfalsarlo in modo tale da non trovarmi con sormonti esagerati che, col tempo, possono staccarsi e creare infiltrazioni. Anche nel monostrato devo stare attento agli angoli, in quanto, se non sfalso i rotoli, posso trovarmene alcuni con 4 strati di guaina che, invece di tenere di più, saranno un punto debole e di sicura infiltrazione.

Tetto piano Nel tetto piano non esiste il problema del senso di stesura! è piano, quindi qualunque verso utilizzi rimane piano!

Chiaramente valgono sempre le stesse regole: totale aderenza, rullatura delle sormonte e stiamo attenti a ciò che facciamo!

Ciao a tutti e buon lavoro.

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Le impermeabilizzazioni riflettenti

La tendenza, attualmente, è il sempre maggiore risparmio energetico, ottenuto, nel settore delle coperture, con sempre maggiori spessori di isolanti classici. Il maggio spessore di isolante, però, crea grossi problemi allo strato impermeabilizzante bituminoso; come risolvere il problema del mantenimento in vita efficiente della membrana e dell’isolante?

Ci sono due soluzioni:

1) il tetto rovescio: avendo l’isolante al di sopra dello strato impermeabile non crea problemi alla membrana, ma, se non zavorrato con una giusta quantità di materiale rischia di non essere efficiente dal punto di vista termico

2) creare un tetto “freddo”: ossia abbassare la temperatura d’esercizio della guaina bituminosa in modo che il coibente lavori meglio e la membrana non subisca distaccamenti o scivolamenti.

Per ottenere un tetto freddo la cosa più semplice è posare una vernice riflettente bianca sulla sua facciata superiore; attenzione: la vernice non deve essere solo bianca, ma anche riflettente, ossia contenere al suo interno additivi che fungano da specchio una volta che si sia asciugata!

Particolare attenzione deve essere fatta alla posa: il quantitativo di vernice deve essere tale da coprire completamente la guaina bituminosa e poter, quindi, riflettere; per aiutarsi, e velocizzare le operazioni, si possono adoperare guaine con TNT colorati sulla faccia superiore che permettono sia di verniciare immediatamente dopo la posa (anzichè aspettare i giusti mesi di invecchiamento) sia di valutarne l’effetto coprente e non sbagliare, quindi, il quantitativo.

Questa “nuova” tecnologia si sta sempre più espandendo sul mercato mondiale in quanto è una vera e propria integrazione al sistema di coibentazione; soprattutto nel mercato statunitense e canadese, dove gli isolanti riflettenti pian piano riducono la quota di mercato di quelli a spessore, vediamo aumentare le richieste di tetti chiari con verniciature riflettenti.

Attenzione: le graniglie bianche o i tnt bianchi non sono la stessa cosa, ma sicuramente aiutano molto più che una guaina nera o una vernice (o graniglia) rossa o verde come solitamente troviamo sui tetti.

Nel caso si siano usate vernici riflettenti (controllate che sulla scheda tecnica l’emissività sia intorno a 0,5 o 50%) è possibile applicare i pannelli fotovoltaici sopra la guaina bituminosa, a patto che non siano in totale aderenza; tutto ciò è possibile in quanto la vernice riflettente respinge il calore emesso dal pannello fotovoltaico ed evita spiacevoli danni da distaccamento o scivolamento.

Ciao a tutti e buon lavoro.

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Le impermeabilizzazioni autopulenti

Dal momento che ci troviamo di fronte a grossi problemi energetici tutta l’edilizia sta (o almeno dovrebbe) cercando di costruire nel concetto di massimo risparmio energetico e funzionalità energetica.

Non si distinguono le impermeabilizzazioni di copertura che, oggi, sempre di più vengono richieste con colori chiari per poter sfruttare il principio di riflettenza della superficie onde avere un tetto freddo!

Il problema più grosso che si presenta, a questo punto, è: come teniamo PERFETTAMENTE pulita la superficie della membrana (qualsiasi) in modo che possa riflettere la luce solare?

La questione non è da poco: perchè possa essere riflettente una superficie deve essere perfettamente pulita e lucida; ci sono additivi che vengono introdotti nelle verniciature che migliorano questa caratteristica, ma la pulizia periodica è altrettanto importante.

Fatta questa premessa devo aggiungere che molti produttori (di tutti i tipi di impermeabilizzazione) vendono sistemi finiti come autopulenti: è un falso (non esagero con le parole… ma il termine che avevo pensato era un altro); non esiste una superficie autopulente!

Nonostante tutti sappiano questo molti progettisti ci cascano pensando a chissà quali nuove tecnologie: bene, la nuova tecnologia paragona un piano ORIZZONTALE leggermente inclinato alle finestre di vetro VERTICALI! Se fosse vero nessuno si troverebbe a dover pulire le finestre di casa o degli uffici!

Per precedenti mie esperienze sappiate che posso garantirvi che l’AUTOPULIZIA non esiste! e se esistesse le grandi imprese di pulizia l’avrebbero già sfruttata su altre superfici prima che nelle impermeabilizzazioni!

Quindi, cari progettisti, quando vi dicono che un sistema è autopulente sappiate che si intende che, grazie alla pendenza e alle precipitazioni, il pacchetto impermeabile si pulisce dalle foglie che volano sulla coperture… e null’altro; la questione, però, è ininfluente circa le caratteristiche di riflettenza di una membrana chiara che deve, almeno una volta all’anno, essere LAVATA perchè mantenga le sue caratteristiche!

Spero di esservi stato utile e vi auguro buon lavoro.