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I tessuti non tessuti

Quante volte ci siamo trovati a guardare un capitolato dove vi è scritto: “TNT da 200 gr”. Ma di cosa si tratta? A cosa serve? E’ corretta la dicitura? Come possiamo prenderci la responsabilità di montare ciò che non conosciamo?… beh quest’ultima domanda di solito me la faccio solo io…… ma penso che i miei dubbi e le risposte che ho trovato possano servire a tanti per capire un mondo sconosciuto (tranne per i pochi addetti ai lavori) che siamo costretti ad utilizzare.

Grazie all’incontro avuto con l’ing. Bianchini ho scoperto, innanzitutto, a cosa servono i TNT: per prima cosa sono dei separatori tra strati! Il loro maggior uso è nel mondo agricolo e stradale, ma hanno anche uno scopo di antipunzonamento e protezione.

In base al loro utilizzo dobbiamo renderci conto che dobbiamo andare a ricercare alcune caratteristiche che sono peculiari e fondamentali per la realizzazione del lavoro.

Separazione: ha lo scopo di separare due strati di materiali facendo sì che l’acqua penetri attraverso la stratigrafia senza portarsi dietro i materiali di ogni singolo strato; in questo caso dobbiamo cercare la permeabilità verticale, ossia la possibilità di far passare l’acqua verso il basso e l’ Apertura dei pori, ossia quale diametro di materiale riesce a trattenere. Nel primo caso la scelta è facile: più è leggero il TNT più acqua passa e in scheda tecnica dobbiamo cercare il materiale con il valore più alto, nel secondo caso dobbiamo sceglierlo in base a ciò che dobbiamo trattenere e più piccolo è il valore migliore è il sistema di filtraggio! Ovviamente la scelta deve ricadere nel prodotto che mi assolve meglio il problema principale o il miglior compromesso tra il primo e il secondo dato! Notare che scrivere 200g non ha scopo in questo caso! Quindi è sbagliato!

Antipunzonamento: In questo caso abbiamo un TNT che ha lo scopo di proteggere ciò che abbiamo messo sotto di esso da un’azione puntuale; esempio tipico è il TNT utilizzato come antiradice. In questo caso abbiamo un dato che troviamo in scheda tecnica da utilizzare: la Resistenza al punzonamento. Questo valore ci dice quanti chili riesce a resistere il materiale prima che il punzone passi! il punzone che spesso troviamo sono le radici delle piante! Attenzione: le radici hanno la cattiva abitudine di non spingere solo verticalmente, ma di arrendersi quando la resistenza è troppa e cercare un punto debole! Dobbiamo allora ricordarci di saldare il TNT in sormonta per evitare che ciò avvenga. In questo specifico settore abbiamo anche una importante caratteristica che il TNT ha e crea nel tempo di esercizio: facendo passare l’acqua attraverso le sue fibre, ma trattenendo il terriccio al di sopra crea uno strato, detto “Cake“, che funge da filtro, trattenendo ciò che deve rimanere nello strato superiore! Ecco il motivo per cui è necessario che la stratigrafia di filtraggio e coltura dei giardini pensili sia studiata con i materiali opportuni.

Protezione: Questo è il campo in cui i TNT  vengono usati a totale protezione della stratigrafia sottostante, spesso e volentieri un sistema impermeabile come una guaina sintetica o bituminosa. Lo troviamo nel caso di tetto zavorrato, di tetto rovescio, di copertura pesante. Nel tetto zavorrato e nella copertura pesante, spesso, il TNT ha la funzione di proteggere l’impermeabilità della struttura. Quale dato dovremmo considerare allora? Sicuramente non ci interessa la permeabilità verticale, sicuramente non ci interessa l’apertura dei pori e neanche la resistenza al punzonamento (prima di gridare allo scandalo continuate a leggere), ma ci interessa l’Efficienza protettiva. Si tratta di un test che dimostra come quel dato TNT sia in grado di proteggere lo strato sottostante dalle deformazioni dovute alla pressione dello strato sovrastante! In soldoni: se sopra una guaina bituminosa metto un massetto che spinge con un suo peso, dobbiamo impedire che questo deformi la guaina fino a romperla; così come se usiamo una guaina in un tetto zavorrato con ghiaia, dobbiamo scegliere un TNT che impedisca alla ghiaia di rompere la guaina sottostante. Nei sistemi sintetici abbiamo anche l’utilizzo di un TNT che funge da strato di scorrimento sotto il telo impermeabilizzante: in questo caso non abbiamo necessità di altro dato che lo spessore! questo serve solo ad impedire che la guaina venga deformata o rotta da eventuali ostacoli posti nel piano di posa.

I TNT vengono utilizzati come strato drenante anche nelle massicciate dei canali, dove vengono, spesso, ricoperti gli argini da sassi. In questo caso ci interessa utilizzare un dato particolare: il Test a caduta: possiamo così sapere come si deformerà il TNT dopo avergli scaricato dall’alto i sassi di copertura.

Non dimentichiamo mai  che le schede tecniche devono essere complete e dichiarare con quale materiale è fatto il TNT (PP, PE, a fiocco, in filo continuo, etc.) e che in base a questo sappiamo anche quanto durerà nel tempo integro e funzionante.

In ogni caso dobbiamo ricordare che i TNT vengono utilizzati per uno scopo e ne abbiamo di tante forme, colori e materiali, ma sempre hanno bisogno di avere un dato che li accomuna e che ci dice quali sono i suoi valori importanti. Quindi quando vi diranno che dovrete usare un TNT da 200g ricordate al progettista che si deve informare bene su cosa vuole, perchè detto così non ha detto proprio nulla.

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La manutenzione delle coperture

L’autunno è arrivato e, come tutti gli anni, arriva la pioggia! avrete visto torrenti che straripano, fiumi che innondano le campagne o che devastano città!

Certo su questo si può fare poco… e quel poco non viene neanche fatto, ma più importante è cosa possiamo fare noi, quotidianamente, per far si che il nostro tetto non perda acqua da dove non deve!

La cosa più importante da fare, soprattutto in questa stagione, è la manutenzione della copertura!

Sembra strano, ma, se ci pensiamo bene non è così: siamo abituati a fare il tagliando alla macchina ma non vogliamo spendere due minuti per controllare se gli scarichi della nostra terrazza sono intasati; siamo abituati a spendere soldi per far sfalciare l’erba davanti al nostro capannone, ma non vogliamo spendere soldi per controllare se l’impermeabilizzazione del tetto del capannone tiene o no!

A livello visivo il controllo di una copertura può farlo chiunque, anche il proprietario stesso e le operazioni più semplici di manutenzione, pulizia degli scarichi e rimozione di tutto ciò che si trova sulla copertura ma non dovrebbe esserci, risparmiando denaro; meno facile è capire se il manto è perfetto o vanno fatte opere di manutenzione ordinaria o straordinaria: in questo caso è necessario chiamare un professionista, meglio chi ha eseguito la copertura in quanto la deve garantire, che faccia i controlli sui sormonti, su eventuali danneggiamenti dovuti a manutenzione di impianti o passaggio di animali (non sembra, ma le gazze amano i tetti dei capannoni e ci depositano vetri di tutti i tipi per attirare le femmine).

Per poter tenere conto di ciò che è stato fatto e potersi avvalere di tutte le garanzie in caso di perdite, è necessario redigere un verbale di manutenzione o compilare un libretto di manutenzione che gli applicatori professionisti dovrebbero rilasciare! La documentazione su ciò che è stato fatto e i controlli eseguiti sono come i timbri sul libretto di manutenzione della macchina, vi permettono di usufruire delle garanzie di legge.

Un’ultima cosa: quante volte è necessario fare questa manutenzione? la parte che si può fare da soli almeno tre/quattro volte l’anno; quella ove è richiesto un professionista si può fare una sola volta l’anno nel periodo autunnale, prima che il freddo impedisca eventuali lavorazioni da eseguire.

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Quanto vale una buona coibentazione del tetto e cosa conviene fare

Spesso, parlando con la gente, mi accorgo che nessuno ha un’idea vera, seria, e soprattutto reale di come fare per risparmiare combustibile o migliorare le condizioni abitative di casa propria o di un altro locale in cui passa la maggior parte del tempo (uffici, magazzini, negozi, ecc…). Faccio un esempio per spiegarmi meglio: molti pensano che se si ha freddo in inverno o caldo in estate in un edificio di vetro la colpa è dell’impianto che non fa abbastanza caldo o freddo quando dovrebbe essere ovvio che un edificio di vetro è e sempre sarà un edificio energivoro. Oppure mi si dice spesso che il costo delle bollette dipende dagli “spifferi” che vengono dalle finestre… mentre in realtà gli spifferi non incidono più del 1 o 2% (e spesso meno dell’1%) sul consumo di energia per scaldare casa.
Il problema è proprio questo: molte persone si fidano delle chiacchiere da bar con soluzioni consigliate da persone che spesso non sanno nemmeno cosa voglia dire isolamento termico, ne tantomeno conoscono le proprietà (positive e negative) dei materiali.

Nel nostro mestiere la cosa migliore è prima isolare la cassa (l’edificio, che sia una casa o un capannone), poi migliorare gli impianti. Migliorare la cassa dell’edificio vuol dire isolare termicamente, ma da dove si deve iniziare?? Io innanzitutto consiglio di iniziare dal “bersaglio grosso”, ovvero cercare quel componente che ha i maggiori metri quadrati… e generalmente non sono i vetri. Questo perché se lavoro su una superficie molto grande isolerò una zona molto più grande e quindi con vantaggi molto più grandi, e il lavoro costerà sempre un po’ meno grazie alle “economie di scala” (il ponteggio è sempre uno, il sopralluogo è sempre uno, la contabilità è sempre una, ecc…).

Parliamo del tetto. Perché e come isolare i tetti.
Il perché è semplice ma innanzitutto bisogna capire di cosa stiamo parlando: di case o uffici (e quindi edifici di piccola metratura) o di capannoni e magazzini (ovvero edifici di grande metratura). Nel secondo caso il tetto è una delle aree maggiori, nel primo caso il tetto è una delle maggiori cause del riscaldamento estivo.

Il come dipende. Se il vostro problema è solo il periodo invernale l’isolamento termico che fa per voi è quello classico: fatto con un materiale isolante o a base plastica o a base naturale che abbia una buon coefficiente di isolamento termico (per i capannoni può essere interessate pensare ad isolamenti a spruzzo). Ma se il vostro problema è anche estivo allora quanto appena detto non va più bene; in caso di problema anche estivo dovrete utilizzare un materiale che lavori bene sia in inverno che in estate e le soluzioni sono sostanzialmente 2:
1) Usare un isolante “classico” abbastanza pesante, con un peso superiore ai 120kg/m2 (pannelli in perlite, in lana di roccia o di vetro, lana di pecora se volete un materiale veramente ecologico, lana di legno ma solo per i tetti in legno) che permetta un buon isolamento termico in inverno ed una buona massa per il periodo estivo, facendo così in modo che il calore ricevuto durante il giorno non entri in casa vostra ma stia sul tetto fino all’avvento della notte.
2) Usare un isolante riflettente. Questo isolante lavora con le onde elettromagnetiche. In inverno il calore che viene dalla casa e vuole uscire viene fatto rimbalzare verso l’interno. In estate il procedimento si inverte e l’onda termica che viene dal sole colpisce l’isolante che funziona come uno specchio e lo fa rimbalzare verso l’esterno.
Come vedete entrambe le soluzioni non sono quelle consigliate al bar sottocasa dal sempre presente “so tutto io”, ma sono soluzioni articolate che debbono esser prese conoscendo i pregi ed i difetti di ogni materiale.

Personalmente trovo entrambe le due tipologie di intervento utili e versatili in qualunque stagione; e le preferisco a soluzioni dove viene usato solamente un isolante plastico ed ho avuto esperienze molto interessanti sia sull’uso di isolanti riflettenti che sull’uso di materiali ad alta massa come la perlite.

Articolo redatto da Enrico Gradellini

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Coibentazioni Impermeabilizzazioni

Il giardino pensile – prima parte

Oramai il risparmio energetico sta diventando, per me, una vera mania, quasi un’ossessione e non posso fermarmi davanti ai limiti fisici che le città e la società ci impongono; devo studiare, devo andare avanti, devo cercare di capire cosa si può fare per migliorare questo piccolo mondo che abbiamo devastato cercando, automaticamente, di migliorare il comfort per noi stessi.

Proprio per questo ho deciso di cominciare a studiare in modo più approfondito un sistema originale ed antico come l’uomo di vivere la natura in città: il giardino pensile.
Apprezzato e demonizzato, facile e difficile il giardino pensile è uno dei metodi per migliorare l’efficienza energetica dei nostri locali, di migliorare la difesa acustica, l’assorbimento degli inquinanti, migliorare la diffusione dell’evaporazione e il raccoglimento dell’acqua più diffusi dai tempi di Babilonia ad oggi; il bello è che nel mondo moderno e visionario dei grandi architetti il giardino pensile è uno strumento quasi indispensabile!

Per partire con un giardino pensile dobbiamo pensare ad un oggetto classico: il terrazzo o il lastricato sopra i garage.

Per scrivere ciò che leggerete di seguito e che scriverò in futuro ho preso contatti con un professionista del settore (il buon Fabio Cerè titolare della N.P. Srl è stato disponibilissimo nell’istruirmi) e ho fatto una splendida visita alla biblioteca universitaria della facoltà di Agraria di Bologna.

I vantaggi di avere il verde pensile sono innumerevoli: innanzitutto abbiamo una capacità naturale del terreno di trattenere acqua che viene rilasciata nell’ambiente mediante l’evaporazione in loco, evitando di avere zone esageratamente secche (città) e sono troppo umide (zone di raccolta delle acque); inoltre sono un vero e proprio toccasana per quanto riguarda la pulizia dell’aria perché i giardini pensili hanno la grande capacità di frenare le polveri sottili, di assorbire i più comuni inquinanti facendoci respirare decisamente meglio; i giardini pensili hanno anche la grande capacità di isolare termicamente ed acusticamente i solai su cui poggiano creando uno strato di separazione tra il mondo esterno e migliorando in comfort abitativo ed il risparmio energetico.

Riconosciuto unanimemente dal mondo di chi tratta i giardini pensili è il valore fondamentale dello strato impermeabile: “Nella progettazione e realizzazione di una copertura a verde pensile occorre ricordare che lo strato di impermeabilizzazione riveste un’importanza fondamentale” (Giardini Pensili – Paolo Abram – Pag. 80 – Gruppo editoriale Esselibri-Simone) e “Fino ad oggi, purtroppo, l’argomento impermeabilizzazione nel progettare verde pensile è stato spesso superficialmente sottovalutato” (idem – Pag. 81); ho deciso di citare queste due frasi perché portatrici di un disagio da parte del mondo della progettazione verso coloro che rendono difficile la costruzione di un giardino pensile a causa di una forte ignoranza in materia di impermeabilizzazione che diventa ostativa nella realizzazione del giardino.

Come si può realizzare un giardino pensile: chiaramente non mi arrogo il diritto di scegliere i materiali idonei, soprattutto per quanto riguarda la stratigrafia vegetativa, ma per quanto riguarda lo strato a tenuta posso dire la mia.

innanzitutto la scelta del materiale impermeabile: possiamo utilizzare i più svariati materiali impermeabili, dalle guaine bituminose, alle resine poliuretaniche o epossidiche.

L’ostacolo più importante che deve affrontare lo strato impermeabile è il propagarsi delle radici che, con il loro elevato potere punzonante, possono bucare il più resistente dei calcestruzzi! Per ovviare questo problema è necessario che l’impermeabilizzazione sia studiata nel dettaglio valutando pro e contro di ogni sistema utilizzabile e scartando quelli che renderebbero lo strato a tenuta deteriorabile nel breve periodo.

Un grande problema riscontrabile, come già detto, è l’effetto punzonante delle radici che si possono insinuare sia nello strato impermeabile, ma più facilmente nelle giunte che si possono presentare con alcuni materiali prefabbricati (guaine bituminose o poliolefiniche ad esempio): proprio le giunzioni tra i teli sono un punto delicatissimo, come un punto molto delicato è la resistenza al punzonamento statico: la capacità di un materiale di resistere alla penetrazione di un corpo: questo valore viene migliorato notevolmente dalle armature in quei prodotti che non ce l’anno naturalmente. Altro grosso ostacolo è la capacità di un materiale di fornire nutrimento alle radici, oltre a tutte le problematiche che normalmente dobbiamo affrontare in una copertura.

La scelta può essere semplice se non si tiene presente tutto questo e altrettanto sbagliata con gravi conseguenze economiche per coloro che progettano o eseguono il lavoro.

Per poter scegliere il miglior sistema impermeabilizzante è necessario conoscere le caratteristiche che deve avere in assoluto:

  • Stabilità dimensionale (max < 0,5%);
  • Resistenza al carico statico (alberi, muretti, etc.);
  • Flessibilità a freddo (più è bassa meglio è);
  • Lento invecchiamento;
  • Tenuta all’acqua (lo so che sembra una battuta, ma controllerei i dati di permeabilità prima di scegliere);
  • Protezione dalle radici.

La guaina bituminosa: esistono specifiche guaine bituminose per i giardini pensili dette “guaine antiradice” ciò grazie ad un additivo della Bayer: il “preventol”… usato da tutti indistintamente in quanto il miglior repellente per radici utilizzabile nella produzione di guaine bituminose; altra caratteristica che deve avere una guaina antiradice è un’armatura importante, spesso si usano quelle per i ponti, ed una stabilità dimensionale elevatissima per poter garantire che lo strato a tenuta non si muova nel tempo; gli svantaggi sono evidenti: chiaramente il bitume è necessario addittivarlo in quanto è in gran parte composto da carbonio che attira come una calamita le radici delle piante; inoltre se le saldature non sono effettuate a regola d’arte sono facilmente punzonabili dalle radici che non trovano l’ulteriore ostacolo dell’armatura in quella zona.

Malte elastiche ed additivi cementizi: personalmente le sconsiglio in questo campo in quanto hanno bassissime resistenze alla lacerazione ed al punzonamento, oltre ad un basso spessore di materiale presente a lavoro finito ed ad un’inesistente elasticità; d’altro canto non presentano materiali nutrenti per le radici e sono esenti da sormonte in quanto parliamo di impermeabilizzazioni continue fabbricate in loco.

Guaine sintetiche poliolefiniche o PVC: sono sicuramente membrane che migliorano l’approccio dell’impermeabilizzazione rispetto a quelle bituminose e non hanno necessità di avere additivi specifici per allontanare le radici, il loro valore di opposizione al punzonamento è valido, anche se qualche perplessità la riscontro sulle metodologie di sormonta: in questi materiali i sormonti vengono eseguiti puntualmente facendo aderire i due teli in due punti tra di loro e lasciando un piccolo “tunnel” d’aria tra una zona di saldatura e l’altra; per carità, questo tipo di saldatura è addirittura certificabile… ma come ben sappiamo alle radici delle certificazioni interessa poco e possono, nel lungo periodo, arrivare a bucarle.

Guaine sintetiche EPDM: sicuramente sono le più resistenti in quanto completamente inerti, con alti valori sia al punzonamento, sia alla lacerazione e con il grande vantaggio di poter avere un telo unico per la costituzione dello strato a tenuta; anche nel caso si utilizzino più teli è necessario ricordare che i teli EPDM si saldano per vulcanizzazione che rende i due teli saldati un unico telo con tutte le caratteristiche del telo originario; grazie a queste caratteristiche è possibile avere, addirittura, un telo tridimensionale prefabbricato che può essere creato direttamente sul disegno del giardino pensile; gli svantaggi sono facilmente ammortizzati dai vantaggi e si tratta semplicemente di un costo un po’ più elevato rispetto alle poliolefine o ai prodotti bituminosi.

Le resine: chiaramente senza entrare nello specifico delle caratteristiche di ogni resina presente sul mercato (quello fatelo voi leggendovi le schede tecniche) ricordo che le resine sono un ottimo sistema impermeabilizzante in quanto naturalmente antiradice, armabili con armature di diverso calibro, addirittura con armature raddoppiabili per migliorarne decisamente la resistenza al punzonamento; inoltre non hanno alcun tipo di sormonto in quanto vengono posate prima della polimerizzazione che avviene direttamente sul solaio da impermeabilizzare; sicuramente sono la scelta più onerosa che si possa fare.

Come al solito la miglior scelta, probabilmente, è quella di prendere il meglio dai materiali mischiando i sistemi tra di loro: ad esempio possiamo utilizzare un sistema prefabbricato per il piano e i risvolti verticali (bituminoso, poliolefine, PVC, EPDM) ed effettuare le sigillature verticali con l’utilizzo di una resina compatibile con il sistema principale: questo garantisce di contenere i costi sui materiali e di avere il meglio dai prodotti usati.

Ma una stratigrafia non può essere completa se non si pensa anche all’evacuazione dell’acqua: sopra lo strato a tenuta è necessario creare uno strato drenante che permetta all’acqua in eccesso, di evacuare verso gli scarichi predisposti e il miglior materiale in commercio è sicuramente un geocomposito formato da uno o due strati di TNT con in mezzo una rete di HDPE che permette di avere una camera d’aria sufficiente a trasportare liberamente l’acqua.

Chiaramente non finisce qui: approfondiremo il discorso giardini pensili proprio partendo dallo strato drenante.

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Le impermeabilizzazioni con cristalli impermeabilizzanti

Un sistema che da poco tempo è stato introdotto in Italia con grande vigore è l’impermeabilizzazione con cristalli: altro non è che una cristallizzazione di un qualche sale particolare che ha la capacità di occludere tutte le eventuali vie di passaggio d’acqua all’interno della struttura del calcestruzzo; chiaramente non chiedetemi di che sali si tratta: alcuni parlano di Monosilicati….. ma a dire il vero la ricetta è molto simile a quella della Coca Cola…. segretissima e, nonostante il prodotto vanti numerosissime copie, pochissimi funzionano seriamente!

Come si sa il calcestruzzo è impermeabile, almeno fin quando non si lesiona e se lo si getta con le dovute attenzioni, tanto che, salvo getti in falda, difficilmente si impermeabilizzava… anzi, durante la prima e la seconda guerra mondiale vi si realizzarono anche delle navi (qualcuno dice che è un progetto americano…. ma abbiamo notizie di un cantiere italiano che le costruì già dal 1916 Cantiere Urania ).
Alcune di queste navi sono arrivate sino a noi…. rimanendo in acqua! La prima cosa che mi è venuta da pensare: non è possibile! I sali disciolti nell’acqua marina avrebbero dovuto corrodere il cemento e i ferri di armatura (Liberty ) e sarebbero dovute affondare da molti anni! Uno dei motivi per cui ciò non è avvenuto è il sistema di impermeabilizzazione che venne studiato per l’occasione nei cantieri americani: aggiungere determinati sali alla matrice cementizia in modo tale che gli inquinanti dall’esterno non possano entrare e distruggere il cemento e le armature.

Questi sali impastati con il CLS si distribuiscono uniformemente nel getto e si legano alle particelle di cemento Portland. Quando questo è asciutto, hanno riempito tutte le cavità che si formano durante la maturazione. Non solo: sono in grado di riparare eventuali fessurazioni che si dovessero formare! Attenzione: le fessurazioni non sono crepe!!!!!!!!!! Infatti questo materiale è in grado di colmare fessurazioni fino a 0,6mm (il doppio rispetto all’autoriparazione naturale del CLS).

Certo che se il CLS viene miscelato correttamente, gettato correttamente, vibrato correttamente… insomma se viene fatto semplicemente un buon lavoro, i cristalli da impermeabilizzazione sono l’ideale per impermeabilizzarlo e proteggerlo nel tempo! Eh già, perchè questi cristalli hanno, automaticamente, la capacità di proteggere i ferri d’armatura del CLS e quindi,aumentarne la durata nel tempo evitando fenomeni di carbonatazione.

Fin quando abbiamo una nuova costruzione il sistema è semplice: ma veramente fenomenale è la possibilità di creare un progresso protettivo di questo genere anche nei muri già posati: la tecnologia dei cristalli è andata anche nella direzione del restauro e ripristino del calcestruzzo. Ricordandosi di bagnare a rifiuto il CLS da trattare possiamo stendere una boiacca particolarmente ricca di questi sali che, grazie all’acqua, verranno veicolati in tutti gli anfratti creatisi nel calcestruzzo rendendolo impermeabile e protetto; chiaramente valgono tutte le prescrizioni per il trattamento di vecchio CLS: togliere tutte le parti incoerenti, demolire eventuali nidi di ghiaia e ricostruire il cls, oltre a trattare i ferri d’armatura; fatto questo bagnano il muro, prendiamo un pennello, stendiamo la boiacca e il nostro CLS diventerà impermeabile, ma soprattutto duraturo.

Le applicazioni sono innumerevoli: dagli interrati agli impalcati stradali, dalle fosse di ascensore ai prefabbricati ai piedi dei ponti a tutto ciò che è sommerso, ma, attenzione, solo ed esclusivamente in calcestruzzo! Questi materiali non funzionano con gli altri materiali da costruzione e non funzionano con i blocchi in calcestruzzo da tamponamento.

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Come eseguire gli angoli in guaina bituminosa – l’angolo all’italiana

angolo_guaina_italiana

Sapevate che esiste un angolo, da farsi con la guaina bituminosa, detto angolo all’italiana? Ebbene sì, anche perchè, ricordatevelo, la guaina bituminosa è nata in Italia! La cosa splendida è che per trovare un angolo all’italiana fatto apposta dobbiamo andare all’estero!Vabbè noi normalmente facciamo così gli angoli tradizionalmente, ma pochi si rendono conto della grande efficacia di un sistema simile.

Per prima cosa come si costruisce: Si deve creare una “Guscia” o “Sguscio” (diciamo che su ogni paese italiano il nome ha un suo termine di origine dialettale.. ma è l’angolo nel disegno) con i materiali più disparati: dal bitume stesso, al cemento, al legno, ai giunti bentonitici triangolari etc.; a questo punto si stende la guaina a tenuta orizzontale facendola risalire circa 10 cm sopra la “guscia” e, poi, si stende la guaina verticale facendola finire circa 10 cm sul piano orizzontale.

Il motivo dell’efficacia di tale sistema è dato dal dimezzamento dell’angolo a 90°: mettendo un supporto triangolare si può creare un sistema di smorzamento delle tensioni a due angoli: migliora la posa perchè è più semplice e la stabilità dimensionale del manto impermeabile.

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Come eseguire correttamente gli angoli in guaina bituminosa

angolo_guainaSpesso si vedono, nei giardini pensili, nei tetti piani o, in ogni caso, nelle strutture orizzontali, degli angoli che sono stati fatti senza soluzione di continuità con un rotolo intero; bene, meglio, male, questo è un errore!

L’angolo, come si vede dal disegno, deve essere elaborato nel modo corretto per poter garantire il massimo della tenuta e della resistenza sia all’acqua, sia all’estrazione del vento!

Nel disegno si nota come, prima di tutto, sia necessario eseguire un angolo di rinforzo, con una fascia di membrana bituminosa di circa 25/30 cm che andrà saldata al supporto in modo esagerato! Per spiegare meglio: non dobbiamo temere di fondere troppo la mescola bituminosa, e non dobbiamo temere di mettere allo scoperto l’armatura, tanto si tratta di una striscia di guaina che verrà ricoperta ben due volte, ma dobbiamo garantire l’adesione totale al limite massimo!

Eseguito il rinforzo si procede con l’applicazione dell’elemento di tenuta orizzontale che dovrà arrivare a filo dell’angolo, senza essere risvoltato in verticale.

Per ultimo deve essere messo l’elemento di tenuta verticale nonché di raddoppio dell’angolo che dovrà iniziare nella parte alta (almeno 15 cm sopra il limite del terreno o dell’accumulo di neve) e finire 15 cm dopo la fascia di rinforzo sull’elemento di tenuta orizzontale.

Questo angolo che molti ritengono dispendioso e inutile è l’unico previsto ad esempio dalla norma UNI sulla realizzazione dei giardini pensili.

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Come si posa una guaina bituminosa – la posa a caldo

Leggendo le statistiche del sito ho notato che uno degli articoli più letti è “il verso di posa di una guaina”; questo mi fa pensare che molti si trovino nella difficoltà di avere notizie su come si posa una guaina bituminosa, voglio sperare che siano utenti che vogliano controllare se gli applicatori si comportino correttamente nella posa, ma, penso, sia anche probabile che ci siano applicatori, magari alla ricerca di qualche segreto in più.

Proprio per questo cercherò di spiegare in modo semplice e conciso, senza entrare troppo nei particolari, come si posa una guaina bituminosa.

Partiamo dalla materia prima: la guaina bituminosa è un impermeabilizzante prefabbricato composto da bitume modificato (con aggiunta di polimeri) e una o più armatura (se ne trovano fino a tre); le armature possono essere di due tipi, principalmente: poliestere a filo continuo o fiocco e velo di vetro; negli ultimi anni si è andata sempre più rafforzando la filosofia dell’armatura in poliestere rinforzata (o stabilizzata) con fili di vetro longitudinali, questo per dare maggiore stabilità alla membrana dopo la posa.

Tra i polimeri che si possono utilizzare troviamo quattro categorie, alle quali si riconducono tutti i polimeri realmente utilizzati: SBS (Stirene Butadiene Stirene), APP (PoliPropilene Atattico) TPO (Poliolefine Elastomero Termoplastico) e EPDM (Etilene Propilene Diene Monomero), generalmente classificati come: Plastomerici ed Elastomerici, meno chiara è la definizione di Elastoplastomerici che dovrebbe indicare membrane sia plastiche sia elastiche, ma questa è solo una definizione commerciale.

La posa può avvenire con due tipologie principali: a freddo e a caldo.

La posa a Caldo è quella più utilizzata e che nasce con le guaine: si tratta di sfiammare il rotolo con un apposito cannello a gas propano (qualcuno usa anche il butano) fino alla fusione della mescola che si amalgamerà con il supporto.
Questa è la procedura corretta standard: si posiziona il rotolo nella posizione di posa svolgendolo nella sua lunghezza per poi riarrotolarlo fino a metà, si sfiamma la guaina fino a che il film in plastica termosensibile non si sia ritirato facendo fuoriuscire un cordolo di bitume al piede del rotolo ancora da svolgere; la sfiammatura deve essere fatta in modo che la guaina non venga bruciata, ma allo stesso tempo arrivi alla fusione. La posa deve avvenire in modo uniforme su tutto il rotolo, tranne sulle zone di sormonto che verranno curate successivamente. Appena posato il rotolo di guaina si procederà a sfiammare i lati di sormonto nella stessa maniera , ma con l’accortezza di farlo SOLO nella parte inferiore. Si possono utilizzare, per la schiacciatura della guaina, il rullo pesante (15 Kg) o la cazzuola appena riscaldata (tiepida, non calda): con il rullo (per i rotoli interi) basterà che un operatore segua l’applicatore schiacciando la guaina e facendo fuoriuscire un cordolo di mescola di 1 o 1,5 cm (non meno, non di più), mentre con la cazzuola (per i dettagli) si deve operare mediante lo schiacciamento leggero della parte superiore della guaina sempre facendo fuoriouscire il cordolo di mescola.
ATTENZIONE: la stuccatura della guaina non deve essere forzata, il cordolo di mescola deve uscire per schiacciamento e non per sfregamento in quanto, se la sfregassimo, avremmo perdita di mescola nella parte superiore che è destinata alla protezione dell’armatura e della mescola inferiore che, guarda caso, è quella impermeabilizzante.
I rotoli dovranno essere sfalsati in modo tale da non avere mai un incrocio di più di tre strati nello stesso punto;“in corrispondenza delle giunzioni di testa deve essere prevista l’asportazione, con taglio a 45°, di un lembo di membrana delle dimensioni di 12 cm circa.” (UNI11235) Questo serve ad evitare che si possano formare microfessurazioni nelle giunture e, quindi, il distacco della guaina con conseguente passaggio di acqua.

Visto che le guaine possono essere posate anche il doppio strato (a dire il vero ne ho visti fino a 14 su un tetto…….) ci si deve ricordare che la tecnica di posa è la stessa del monostrato, con l’attenzione di sfalsare i rotoli rispetto allo strato inferiore.

Una delle problematiche che vanno risolte all’origine è quella della protezione della guaina: si può ottenere o con l’utilizzo di apposite vernici o coating prefabbricati (laminati) o con l’uso dello strato a finire ardesiato.

Con la guaina ardesiata bisogna fare attenzione ai sormonti verticali in quanto, spesso è mancante la cimosa di testa; in questo caso è necessario rimuovere l’ardesia con l’uso del cannello e del cazzuolino per una superficie sufficiente a fare il sormonto (da 15 a 20 a seconda della membrana e dell’applicazione).

Come potete notare la procedura è piuttosto semplice, ma bisogna fare molta attenzione ai dettagli, alla cura del materiale di posa e alla giusta scelta del materiale da applicare affinchè possa essere sempre il più adatto alle esigenze del cliente finale.

La posa a freddo verrà trattata la prossima volta, giusto per non mettere troppa carne al fuoco… e anche per non stressare troppo il DB del sito con articoli troppo lunghi!!!!

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Impermeabilizzazioni

Esodo 6, 13-16

Allora Dio disse a Noè: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore.

Come è chiaro supporre le impermeabilizzazioni erano già una scienza in epoche remote, dove addirittura Dio in persona comandava il metodo giusto per impermeabilizzare l’Arca.

Notiamo come sia citato il bitume come impermeabilizzante, non la pece di catrame come spesso crediamo!

Tutto ciò semplicemente per cercare di sciogliere un dubbio che attanaglia molti edili che ancora non sanno che differenza passa tra catrame e bitume e, spesso, li confondono.

Bitume: miscela combustibile di idrocarburi, solida o liquida, ottenuta da rocce asfaltiche o da petroli naturali;

Catrame: residuo della distillazione a secco di legna o di carboni fossili;

Come si può notare la differenza è notevole, ma la cosa più importante è che il catrame non si può utilizzare se non in casi estremi in quanto è cancerogeno, mentre il bitume puzza e basta… è completamente innocuo.

Quando parliamo di impermeabilizzazioni prefabbricate utilizziamo sempre bitume distillato o ossidato derivato dal petrolio e mai catrame, come contrariamente molti si ostinano a chiamare le guaine!!!

Bene dopo la dissertazione etimologica vi lascio e vi auguro un buon lavoro

ciao a tutti

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Coibentazioni Impermeabilizzazioni

Impermeabilizzare un massetto alleggerito

E’ notorio a chi tratta impermeabilizzazioni continue che i massetti alleggeriti sono difficili da trattare; non solo con i bituminosi, ma anche con i sintetici, con le resine e con i cementizi: problemi di ancoraggio, di compatibilità, di rifiuto di resistenza alla compressione etc.

La cosa che difficilmente si riesce a capire è cosa realmente non permette di ancorare bene in manto impermeabile al massetto alleggerito.

Premettiamo che il miglior sistema è appoggiare un massetto sabbia/cemento di circa 5 cm sopra l’alleggerito o un pannello coibente e abbiamo risolto il problema, ma penso che andare a fondo della situazione sia importante per capire come difendere la nostra impermeabilizzazione da responsabilità altrui difficilmente comprovabili dopo due o tre anni.

Durante la mia indagine (nata, guarda caso, da un problema su un cantiere) mi sono trovato di fronte ad una grossa ignoranza relativa al problema ed una grande reticenza da parte di produttori di massetti alleggeriti (ringrazio fin d’ora il dott. Stefano Zuliani della Laston Italiana che è stato l’unico a dare risposte alle mie domande); con grande difficoltà ho analizzato il problema ricostruendo dati dalle schede tecniche reperite e dalle esperienze delle persone interpellate.

Partiamo da una definizione: massetto in cemento alleggerito è un massetto all’interno dei quale è stata fatta un’azione di alleggerimento che può consistere nell’introduzione di inerti leggeri (polistirene, argilla, pomice) o mediante l’azione di inglobamento di aria data da schiumogeni che, reagendo durante l’impasto, sigillano l’aria all’interno del massetto.

Il primo tipo di massetto ha la problematica base di essere meno coerente di un massetto normale e quindi può non permettere la massima adesione dello strato impermeabilizzante, mentre il secondo tipo ha problematiche di tipo chimico: gli schiumogeni utilizzati (per quello che ho potuto verificare di persona) sono quasi tutti a base di tensioattivi (a parte quello della Laston… che, stranamente, è stata l’unica a rispondermi); i tensioattivi, per spiegarlo a chi non è nel settore igienico, servono a pulire (scusate la semplicità, per chi vuole maggiori informazioni ecco il link di wikipedia: tensioattivi ).

-Qual’è il problema?-, mi chiederete: è molto semplice: i tensioattivi fungono da detergente sulle impermeabilizzazioni, ossia tendono a ridurre la coerenza molecolare delle sostanze organiche o di origine organica delle impermeabilizzazioni con l’effetto di avere un invecchiamento precoce dello strato impermeabilizzante.

Gli effetti sui manti bituminosi e sintetici (pvc, poliolefine ed EPDM) sono di velocissimo invecchiamento con conseguente creazioni di crepe e perdita di plastificanti; sulle resine incapacità di mantenere una coerenza molecolare e quindi la formazione di microcrepe che rendono permeabile la superficie; con i cementizi una totale incoerenza del manto sul massetto in breve tempo.

Attenzione: questo è un rischio, non è detto che succeda per forza!

Come possiamo evitare questo fenomeno: è molto semplice: leggendo la scheda tecnica del massetto alleggerito e lasciandolo asciugare nei tempi prescritti dal produttore; questo è determinante perché permette all’acqua del massetto di evaporare e di lasciare i tensioattivi in forma solida e quindi non corrosiva; altro consiglio spassionato è quello di utilizzare, nei bituminosi, un doppio strato di guaina o un pannello coibente che faccia da strato separatore.

Da considerarsi la migliore soluzione è sicuramente un tetto caldo (coibente a contatto con il massetto ancorato meccanicamente e strato impermeabilizzante in superficie) o un tetto caldo zavorrato (coibente a contatto con il massetto e strato impermeabilizzante in superficie con uno strato di zavorra a dare stabilità); eviterei di utilizzare prodotti liquidi o in pasta o in polvere se non debitamente protetti dall’azione corrosiva dei tensioattivi presenti nel massetto alleggerito.

In conclusione: se vi trovate a dover impermeabilizzare un massetto alleggerito state attenti a controllare l’asciugatura dello stesso e pretendetela, perché nel futuro danno (quasi certo) non potrete mai provare che il massetto non era giunto a giusta maturazione.