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Cristo è morto dal freddo

Immagine presa dal web (http://www.ourfreetime.it/orwell/)

Non passa giorno che non arrivi qualche richiesta strana, non passa giorno dove non si sentano cose ancora più assurde e i social non fanno altro che amplificare la distrazione di massa. Come possiamo pensare di fare informazione se ognuno ha l’autorità di scrivere ciò che vuole e farlo passare per vero?

Ovviamente non voglio parlarvi di COVID-19, di vaccini, di terapie intensive ma semplicemente di impermeabilizzazioni. Possibile che crediate a tutto ciò che chiunque scrive? Possibile che non si riesca a pensare che le soluzioni miracolose sono delle truffe? Che i materiali più incredibili esistano solo nei cartoni animati? Eppure ogni giorno si vedono video di persone che spruzzano liquidi colorati spacciandoli per la panacea a tutti i mali o applicando i materiali tradizionali come fossero un pilota di rally nel mezzo di un duello.

Le impermeabilizzazioni sono una cosa seria, difficile da fare, richiedono lavoro costante, formazione continuativa e “sono 40 che faccio così e non ho mai avuto un problema” non vale per nessuno! Chi deve dichiarare la propria competenza in modo così assurdo dovrebbe essere cacciato a calci nel sedere. Eppure, ogni giorno, andando a vedere i disastri che sono stati fatti sulle coperture impermeabilizzate, sento dire le stesse cose. Ma non solo una volta. Molte e molte e molte altre ancora; e sempre dalle stesse persone.

Ma cosa c’è di così strano da dover pensare che le impermeabilizzazioni siano una cosa seria?

Perché non si riesce a vedere la professionalità in chi vi assiste? Questa non ha bisogno di prove curricolari, gli basta la semplice presenza in cantiere. Avete mai visto Renzo Piano andare in cantiere e dire “sono 40 anni che faccio così e non ho mai avuto un problema?”. Ma sul serio ci credete ancora?

Beh, sapete cosa vi dico: Cristo è morto dal freddo, che ci crediate o meno, più o meno in quel periodo, più o meno da quelle parti faceva freddo e lui era più o meno nudo. Sulla croce non c’è mai salito (perché faceva più o meno freddo) ed è rimasto come un barbone a dormire su una panchina alla stazione terminal di Gerusalemme coperto dai cartoni di Amazon.

Vi piace così la storia? Perché è questo che continuate a fare, cari committenti. E’ così che voi credete ad ogni panzana che vi viene propinata, basta che si aggiunga la frase “sono 40 anni che faccio così e non ho mai avuto un problema”.

Un professionista affermato, un professionista serio non ha tempo da perdere nel continuare, una, cento, mille volte a difendere la propria competenza. Un professionista serio vi dà la soluzione, vi dice come metterla in pratica e vi segue… ah, e vi chiede anche una parcella salata! Perché sapete, non tutti vivono d’aria e studiare costa fatica, tempo e denaro.

Ad aggiungere peso a queste mie parole ci sono coloro che pretendono il riconoscimento della propria professionalità nel proprio campo ma non si sognano minimamente di darla agli altri. Beh, cari signori, mi spiace essere così duro ma non mi lasciate alcun appiglio: o Cristo è morto dal freddo o voi dovete smetterla di comportarvi come persone di poco intelletto e cominciare a capire che i miracoli non esistono.

Mi ripeto e non mi spiace per questo: le impermeabilizzazioni sono una cosa seria. Se poi non vedete i calcoli estremi che gli ingegneri fanno per le strutture, se non vedete i fantasmagorici disegni che gli architetti fanno per i loro progetti o i dettagli incredibili che vengono sfornati da studi tecnici con scale 1:100 è perché non avete mai chiamato un tecnico serio. Uno specialista nelle impermeabilizzazioni vi disegna il dettaglio di ciò che deve essere impermeabilizzato. Non essendovi una normativa uniformata sull’argomento, non esiste una procedura univoca. C’è chi li disegna in scala, c’è chi li fa in 3D, che chi (come il sottoscritto) non li fa in scala per evidenziale la parte della stratigrafia impermeabile in mezzo a stratigrafie complesse. In ogni caso, i dettagli applicativi devono essere prodotti se volete che la copertura venga impermeabilizzata correttamente.

Quindi, vi prego, basta con la carta catramata, basta con il prAimer (si scrive primer), basta con i materiali che con una passata fanno il miracolo, basta con l’approssimazione.

Ricordate, anche se non vi sembra, la copertura che vi difende dall’esterno e dagli agenti atmosferici, difende anche la struttura dentro la quale state e se non la impermeabilizzate correttamente, prima o poi vi cadrà sulla testa. E se vi viene da dire “ma tanto cosa vuoi che succeda, chissà quanti anni ci vorranno”, chiedetelo ai parenti delle vittime di Ponte Morandi (già…. l’acqua è veicolo di degrado, di carbonatazione, è solvente per i sali che corrodono i ferri di armatura, è degradante primario quando si congela, etc.).

L’acqua è vita ma è anche morte. Sta a noi decidere come si dovrà comportare. Basta scuse e basta continuare a buttare via soldi in soluzioni inutili. Piuttosto che fare un pessimo lavoro, non fate nulla, perlomeno avrete risparmiato soldi.

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La Pulizia come preparazione del supporto da impermeabilizzare

Come ben sappiamo la preparazione del supporto è un momento fondamentale nella realizzazione di un sistema impermeabile che possa durare nel tempo al pari dello strato di protezione meccanica finale.

Troppo spesso viene ignorato che una delle preparazioni del supporto è la pulizia delle superfici, perché, in base al tipo di materiale utilizzato ed al supporto preparato, la presenza di componenti estranei potrebbe creare difficoltà sia nella posa sia nella successiva manutenzione.

Ad esempio: se trovassi tracce di olio minerale su un supporto in cemento e lo impermeabilizzo con una guaina bituminosa, non avrò molti problemi, ma se devo utilizzare un prodotto liquido, allora mi troverò di fronte ad un guaio piuttosto serio, quell’olio fungerà da distaccante per il manto impermeabile causando debolezza all’intero sistema.

Fin quando si tratta di una macchia i problemi sono pochi, il danno creato è limitato, ma quando lo sporco è diffuso? In questo caso dobbiamo per forza utilizzare un sistema di pulizia, esattamente come se trovassimo le superfici inquinate da efflorescenze di varia natura. Se non puliamo non potremo avere un sistema impermeabile che duri più di pochi giorni (in modo particolare con i sistemi non bituminosi).

Vediamo quindi quali sono le indicazioni che vengono normalmente dettate dai produttori. Le immagini che seguono sono tratte dalle schede tecniche di produttori di materiali liquidi per impermeabilizzazioni, noterete come diano prescrizioni generiche. L’unica cosa su cui sono sempre d’accordo è che il supporto deve essere perfettamente pulito, ogni altra indicazione sulle metodologie deve essere data da chi produce i detergenti.

Immagine 1

Nella prima immagine la richiesta è quella di lavare il supporto da impermeabilizzare con Soda Caustica e risciacquare abbondantemente.

L’argomento soda caustica lo tratteremo in seguito, per ora poniamo l’accento solo sulla richiesta del risciacquo dove si vuole ottenere la totale eliminazione di qualsiasi residuo di soda caustica.

Immagine 2

Nella seconda, oltre alla mancanza di tracce di sporco, viene consigliato di eseguire un lavaggio con detergenti specifici e acqua in pressione. In questo caso viene prescritto anche l’uso di macchinari specifici, si richiede l’uso di un’idropulitrice, e successivamente di rimuovere ogni residuo di acqua di lavaggio.

Immagine 3

Nel caso della terza immagine il produttore specifica, come gli altri, che le superfici debbano essere sgrassate e, visto che lo vende, inserisce anche il nome di un prodotto. Interessante il fatto che l’alternativa a quel prodotto sia un’abrasione meccanica ed una pulizia con “apposito aspiratore industriale” ma non definisce cosa sia questo aspiratore “industriale”.

Immagine 4

La quarta ed ultima immagine (sono solo una piccola selezione di tutte le raccomandazioni che potreste trovare sul mercato) specifica che la pulizia deve essere fatta mediante idrolavaggio, idrosabbiatura o leggera bocciardatura indicando tre sistemi molto diversi tra loro.

Per capire cosa si intenda per pulizia, è il caso di dare alcune definizioni di processo: la parola lavaggio non ha sempre lo stesso significato nei diversi settori in cui si lavora. Per questo motivo, di seguito inseriamo un piccolo elenco di operazioni e a cosa servono, oltre a quali attrezzature sono necessarie per eseguirle:

  • Spazzatura: si tratta di togliere tutto ciò che si può rimuovere con mezzi manuali (scopa, spazzoloni, etc.) in modo sommario, di solito si tratta di residui grossolani e sabbie;
  • Depolveratura: è un approfondimento della spazzatura, dove oltre ai residui grossolani, bisogna rimuovere totalmente anche la polvere e gli elementi sfarinati. Per questa operazione si possono usare due strumenti: l’idropulitrice o l’aspirapolvere;
  • Lavaggio: lo scopo non è togliere ciò che è appoggiato sul supporto ma ciò che si è ancorato al supporto; lo si può eseguire a secco o ad acqua e spesso riguarda l’asportazione di macchie di elementi minerali (cemento), di grassi (minerali o organici), rivestimenti sottili (macchie di vernice, etc.);
  • Levigatura: si tratta di rimuovere meccanicamente uno strato molto sottile di supporto ed in base all’abrasivo che si usa si può ottenere una superficie più o meno scabrosa. Si possono usare sia sabbiatrici, sia pallinatrici, sia monospazzole, sia spazzole abrasive. In questo genere di pulizia spesso si rimuovono anche le parti incoerenti del supporto o le parti ossidate dei metalli.
  • Asportazione strato corticale: richiede un’approfondita lavorazione sul supporto, dove viene richiesto non di lavare ma di asportare uno strato con uno spessore dichiarato del supporto. Normalmente lo si usa per la rimozione di vecchi trattamenti che non sono diluibili con acqua e/o altri solventi. Si usano le bocciardatrici, mole di vario genere, spazzole abrasive in acciaio di spessori diversi.

Dopo aver letto queste definizioni vi chiederei se adesso avete capito come operare secondo le indicazioni dei produttori come quelle riportate sopra. La risposta, immagino, è che se prima c’era confusione adesso è aumentata.

I detergenti

Parliamo allora di detergenti, chiedo scusa se useremo dei termini impropri ma lo scopo è quello di spiegare come eseguire una pulizia e non fare una lezione di chimica.

I detergenti sono dei prodotti chimici che hanno lo scopo di rimuovere chimicamente le sostanze ancorate chimicamente o meccanicamente su un supporto. Senza entrare nella loro composizione, li divideremo arbitrariamente in due categorie: acidi e basi, in base al loro pH.

Gli acidi servono principalmente a rimuovere elementi minerali come il cemento, la calce e tutti i prodotti da essi derivati; le basi, invece, si usano come sgrassanti e secondo la loro formulazione sono più adatte ai grassi minerali (olio motore) o quelli alimentari (olio, strutto, burro, etc.). A differenziarsi da questi ci sono i solventi e i prodotti alcolici che però hanno degli utilizzi specifici ben dichiarati.

La prima cosa che dobbiamo individuare è la concentrazione del nostro prodotto detergente. Per sua natura è sempre diluito con l’acqua (salvo i solventi ed i prodotti alcolici) ed è proprio la sua quantità che ne determina l’efficacia, la modalità d’uso ed il costo del prodotto.

La seconda è leggere attentamente sia la scheda tecnica, sia quella di sicurezza. I detergenti, specie quelli più aggressivi, sono sempre pericolosi ed è necessario proteggersi adeguatamente prima di utilizzarli, come vanno protette le superfici da non trattare.

Nella scheda tecnica, inoltre, scopriamo esattamente come usarlo, come diluirlo per l’uso, a che temperatura deve essere l’acqua di diluizione, quali temperature d’esercizio sono necessarie per il loro funzionamento corretto.

Le attrezzature

I problemi veri e propri iniziano quando dobbiamo decidere che tipo di lavaggio fare perché si sciolgano i grassi (ricordiamo che l’inquinamento porta a depositarsi grassi sulle superfici) e si possano anche pulire i residui cementizi. Per ovvi motivi non faremo due lavaggi distinti con due detergenti diversi, e scordatevi di pensare che esistano prodotti che possano funzionare perfettamente in ambo le situazioni. Semplicemente adotteremo delle attrezzature che ci permetteranno di sciogliere la parte grassa ed abradere quella minerale. Per farlo ci sono diverse tecniche e attrezzature. Vediamo le principali.

La più semplice e sempre praticissima è la spugna abrasiva.

Oggi la troviamo con un supporto plastico con il quale si può scegliere l’abrasivo che più si adatta alle nostre esigenze da applicare. Si trovano nei magazzini edili o nelle ferramenta, sono molto pratiche per esercitare forti pressioni puntuali. Forti perché il braccio di un operatore edile riesce a scaricare a terra svariati KN, cosa che nessuna macchina potrà fare su un punto specifico.

Bella, facile ma da usarsi per piccolissime superfici o per punti delicati come gli angoli dei pavimenti.

Non provate ad usarla per fare più di un metro quadrato, il lavoro verrebbe fatto male, approssimativo e vi stanchereste oltre modo.

Per le operazioni di piccola media dimensione esiste la monospazzola, con la quale si può usare la stessa tipologia di abrasivo che useremmo con il supporto plastico. Di particolare utilità, per determinati tipi di pavimentazione, vi è la possibilità di usare una spazzola che può essere sintetica, naturale o metallica.

Con alcuni modelli esistono accessori che sono formati da spazzole in cui filamenti sono dei tondini del 6. (l’ho usata, vi posso garantire che è pesante e la schiena ne subisce gli effetti negativi se non si sa usare).

Se le superfici sono enormi, immaginatevi i capannoni da trattare con resine, è il caso di adoperare delle vere e proprie vetture. Si tratta di lavasciuga o lava-asciuga.

Sono macchine che combinano l’abrasione con l’aspirazione lasciando il pavimento perfettamente asciutto, pronto per i trattamenti (beh, quasi perfettamente asciutto, un po’ bisogna aspettare).

Se escludiamo l’uso di questa macchina, dobbiamo sempre ricorrere ad un altro strumento: l’aspiraliquidi. Si tratta di un aspiratore capace di inglobare liquidi.

In base alla soluzione detergente usata, dovete avere l’accortezza di avere un aspiraliquidi che sia in grado di sopportarla. Ad esempio non ne useremo mai uno metallico se operiamo con acidi molto forti, mentre va benissimo nel caso della soda caustica.

Vediamo quali sono le corrette procedure per eseguire le due tipologie più comuni di pulizia, a mano e con monospazzola: queste coprono circa il 70/80% delle casistiche che vi troverete ad affrontare.

Lavaggio a mano

Come detto viene fatto per piccolissime aree: si può trattare di angoli di pavimenti o cimose di teli sintetici da pulire prima della saldatura. Per eseguirla correttamente è necessario avere un secchio con la soluzione detergente, già preparata perfettamente, ed un secchio con acqua pulita per il lavaggio della spugna/spazzola, tra uno strofinamento e l’altro.

Il pericolo maggiore che si corre con questo metodo di lavaggio è quello di spostare lo sporco da un punto ad un altro o di non eseguire un risciacquo accurato lasciando una patina continua di sporco o di detergente. Ciò potrebbe portare a distacchi del manto in un immediato futuro.

Lavaggio a macchina

Se usiamo un macchinario, invece, il pericolo è quello di non riuscire ad approfondire il lavaggio.

Useremo quindi la tecnica dell’ammollo.

Esattamente come faceva la nonna con le lenzuola bianche, si mette il supporto a bagno. Si stende la soluzione di acqua e detergente e la si lascia agire. Prima che si asciughi, si passa la monospazzola diluendo leggermente la soluzione a terra con acqua. Successivamente, con buona lena ed organizzazione, la soluzione a terra, che a questo punto contiene anche lo sporco, deve essere aspirata velocemente.

Punti particolari

Come avete visto prima, le macchine possono essere usate con abrasivi, spazzole, fino a veri e propri ferri d’armatura, ma la scelta dipende da cosa vogliamo pulire e perché. Uno dei punti critici è, nelle pavimentazioni piastrellate, la fugatura sporca di grasso. In questo caso non possiamo lavorare manualmente perché non servirebbe a nulla abradere uno sporco penetrato all’interno dello stucco, non è superficiale. Allo stesso tempo non possiamo lasciarlo lì perché potrebbe staccare il nostro manto fatto con un impermeabilizzante liquido. Useremo una spazzola realizzata con ferri sottilissimi (filamenti) ed un detergente fortemente sgrassante. Con la monospazzola, il detergente ed il successivo aspiraliquidi saremo in grado di pulire anche queste zone in modo accurato.

Un altro punto particolare che non viene mai preso in considerazione è l’angolo che si forma tra i muri. Tutte le macchine hanno problemi ad arrivarci in quanto o utilizzano dei dischi, che notoriamente sono tondi, o diventa pericoloso arrivarci con acqua a pressione. Per pulirli si può ricorrere ad operazioni manuali, se sono pochi, altrimenti dovremo adottare delle apparecchiature puntuali che ci permettano di lavorare bene ed in sicurezza in queste zone di differenza geometrica.

La soda caustica

E’ una questione da non sottovalutare. La soda caustica è un potente sgrassante e depolimerizzante, tanto che si usa all’interno dei detergenti per i forni, è in grado di sciogliere il grasso bruciato uno dei più difficili da pulire. Però è pericolosissima, non possiamo sottovalutare il rischio per l’operatore e per tutto quello che toccherà durante le lavorazioni. Inoltre è molto difficile da sciacquare e, in fase di asciugatura, facilmente ne rimarrà aderente alle superfici dove si appoggia rischiando di creare danni anche in futuro sia alle cose sia alle persone (ricordiamo che è fortemente corrosiva per tutto ciò che è organico).

Se possibile è sempre meglio evitare prodotti quali la soda caustica, l’acido cloridrico e l’acido solforico.

Esistono dei preparati, che hanno le giuste caratteristiche, studiati per svolgere il lavoro che vi serve e, per rintracciarli, dovete uscire dal vostro settore ed entrare in quello delle pulizie. In questo mondo i rappresentanti sono anche i rivenditori (sono quasi tutti agenti con deposito) e possono dare le giuste risposte alle vostre esigenze.

Il risciacquo

Che voi usiate un detergente o un altro cambia poco, è necessario che venga perfettamente risciacquata la superficie da trattare. Per farlo si deve operare con la stessa strumentazione che si è usata per il lavaggio ma cambiando la parte abrasiva (se era presente), utilizzandone una nuova o perfettamente pulita. Il risultato da ottenere è la totale eliminazione di ogni traccia di sporco e di detergente.

Se si usa acqua ad alta pressione è piuttosto facile, si fa una seconda passata senza l’aggiunta di detergente nell’idropulitrice e si ottiene il risciacquo (attenzione che il getto di acqua non generi ristagni o controflussi); se si usano le monospazzole, invece, è necessario ripassare con la stessa ma cambiando il disco abrasivo ed utilizzandone uno nuovo; stessa cosa se si fa a mano.

Dal momento che il risultato si ottiene con abbondante spargimento di acqua, si consiglia di operare sempre in due: uno che distribuisce acqua pulita (il più puro possibile) e l’altro che, con stivali in gomma, ripassa completamente tutte le superfici. Questa tecnica si usa anche con le lavasciuga, perché l’aspirazione potrebbe non aver asportato tutto il residuo di detergente.

Per il risciacquo a mano, consiglio di utilizzare acqua distillata o demineralizzata. Questa ci velocizzerà le operazioni di sciacquatura e ci darà la certezza della pulizia desiderata. Prima che diciate che lanciamo proposte impossibili da utilizzare, vi ricordiamo che potete raccogliere la condensa dei condizionatori ed avrete un’acqua molto pura e gratuita.

Se le procedure così descritte vi sembrano eccessive, ricordate che chi fa pulizie professionali le usa quotidianamente, soprattutto se devono fare trattamenti ai pavimenti (cere, resine epossidiche, PMMA, poliuretaniche, etc.).

Si tratta solo di entrare in un’ottica diversa ma non lontana dal lavoro che ognuno fa: accuratezza e cura dei dettagli in ogni operazione.

Speriamo di avervi chiarito qualche idea e di avervi fatto capire che la pulizia del supporto non può essere considerata una mera operazione opzionale ma è qualche cosa di estremamente importante.

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La scelta – i documenti

Gli ultimi periodi sono stati abbastanza convulsi, tra problemi lavorativi e personali, e non sono riuscito a scrivere molto sul blog, mi dispiace. Nonostante questo, mi continuano ad arrivare richieste nella trattazione di temi importanti, che spesso, se decontestualizzati, vanno bene per tutto il mondo dell’edilizia e non solo per quello delle impermeabilizzazioni.

Quello che tratto in questo articolo riguarda la scelta dei materiali; non si tratta di una disamina di una tecnologia piuttosto che di un’altra, sapete benissimo che io non mi lego a prodotti o marche, ma di come arrivare alla consapevolezza che effettivamente il materiale scelto (o i materiali scelti) sia quello perfetto per le nostre esigenze.

Infatti la cosa più difficile da fare è sempre scegliere. In qualsiasi cosa facciamo dobbiamo porci delle domande che porteranno conseguentemente a risposte che ci permetteranno di fare scelte.

COME FACCIAMO LE SCELTE

Spesso se non siamo preparati chiamiamo l’amico, il collega; più raramente chiediamo a qualcuno con cui abbiamo avuto a che fare in passato ma che riteniamo competente; se si tratta di lavoro, prima cerchiamo tra le nostre amicizie su Facebook o, se siamo veramente professionali, su LinkedIn e poniamo il quesito sperando che ci diano una risposta seria, professionale ma soprattutto gratuita.

Insomma, il problema della scelta è un labirinto di Cnosso dentro il quale dobbiamo orientarci ed evitare di incontrare il minotauro. Per questo siamo sempre più propensi ad affidarci ai blog (anche voi lo state facendo in questo momento) di influencer (non il sottoscritto che ha solo 15 lettori) che riteniamo… o meglio che altri ritengono essere il più tosto che ci sia nel settore.

Non importa che età ha (e di questo ve ne rendo merito) ma non importa neanche quale sia il suo curriculum, i suoi studi, le sue attività; l’importante è che abbia almeno 5 stelle nelle recensioni, perché noi oramai viviamo di recensioni e il nostro giudizio critico è affidato agli altri.

Eppure esiste un altro modo per scegliere: studiare!

Lo so, avete ragione, non è possibile studiare ogni cosa, sapere tutto e saperlo subito! Eppure è fondamentale, soprattutto se di quelle scelte sarete poi i responsabili.

Se restringiamo il campo ai soliti progettisti o applicatori o imprese, chiederemo a chi siamo sicuri che la materia la conosca: il rappresentante! (oggi vengono chiamati anche tecnici commerciali o in altri coloriti modi ma sempre venditori sono). Nulla di male, chi vi scrive l’ha fatto per svariati anni. Eppure il rappresentante ha dei fortissimi limiti: gli ordini aziendali ed il proprio listino.

Quando decidiamo di fare un lavoro dobbiamo documentarci e studiare

Quando decidiamo di fare un lavoro dobbiamo documentarci e studiare ciò che ci viene messo a disposizione per poterlo eseguire: in primis, è vero, chiamiamo i rappresentanti di una determinata tecnologia e facciamoci consigliare i prodotti idonei (se non li conosciamo già) e facciamoci dare la documentazione a riguardo; secondo, prendiamo la documentazione e la studiamo attentamente, cercando di trovare il prodotto, o i prodotti, che meglio si integrano nella struttura che stiamo costruendo e che meglio si adattano agli sforzi che dovranno sopportare. Tutto questo perché finalmente si possa avere un lavoro a regola d’arte.

Ah, dimenticavo: leggete anche i blog di quelli veramente competenti (ci sono, basta cercarli) e imparate da questi; se poi dovete contattarli, ricordatevi che per loro questo è il lavoro, quindi evitate di chiedere consigli gratuiti, soprattutto se poi voi ci guadagnate su quel consiglio.

Ok, abbiamo capito quale potrebbe essere la procedura decisionale: non il vil denaro ma le caratteristiche tecniche del prodotto!

I DOCUMENTI NECESSARI

A questo punto dove troviamo i dati necessari per capire quale sia questo benedetto prodotto: beh, i produttori sono obbligati a creare tre documenti che devono mettervi a disposizione: DEVONO! Alcuni verranno consegnati su richiesta, altri devono assolutamente seguire il prodotto.

LA SCHEDA TECNICA (o ST detta anche Technical Sheet – TS)

LA SCHEDA DI SICUREZZA (Safety Data Sheet … questa volta l’acronimo inglese ed italiano è lo stesso)

LA DICHIARAZIONE DI PRESTAZIONE (DdP detta anche Declaration of Performance – DoP)

Si tratta di tre documenti che sono obbligatori per legge; non una norma volontaria (volgarmente detta UNI) ma in forza di Decreti Legge, Leggi, o Decreti Legislativi e che nascono per rispondere a direttive o regolamenti europei che si sono modificati nel tempo.

LA SCHEDA TECNICA

Si tratta di un documento che potremmo trovare diviso in due parti, una sul prodotto in veste di etichetta ed una cartacea; le aziende produttrici sono solite mettere in etichetta i dati necessari e di creare delle schede cartacee più complete; la normativa di riferimento su questo documento è il “Codice al Consumo” – D.Lgs. 206/2005 e ss.mm.

Questa scheda deve contenere i dati fondamentali del prodotto, tra cui il nome del produttore (o rivenditore), la sua sede ed il contatto tecnico per chiedere le informazioni necessarie; allo stesso tempo deve contenere tutte le prescrizioni per la posa corretta del prodotto e l’etichettatura di pericolo.

Quindi se trovate una scheda tecnica che non prevede le istruzioni di posa, diffidate o del prodotto o dell’azienda che lo vende.

La cosa particolare che troviamo spesso in queste schede è la dicitura finale identificata come “Note legali”: i dati forniti in questa scheda sono forniti in base all’esperienza … bla bla bla… e nessuno garanzia è data!

Se da una parte siamo d’accordo (ne ho già scritto svariate volte), perché il produttore non può essere responsabile di come l’acquirente lo usa – per intenderci se compriamo un sacco di cemento e lo tiriamo in testa ad una persona, il produttore nulla c’entra – dall’altro non è vero! La normativa prevede chiaramente che il produttore debba spiegare le metodologie d’uso in particolare “… istruzioni, precauzione e destinazione d’uso ove utili ai fini della fruizione e sicurezza del prodotto.” Mi sembra che sia molto chiara, il produttore mi deve dire come utilizzare il suo prodotto … e chi altri potrebbe dirmelo?

La questione che si pone non è tanto sulle istruzioni, che i produttori più seri o avveduti danno, ma circa l’incompatibilità con altri materiali o applicazioni. Sappiamo benissimo che ci sono prodotti che vengono proposti per qualsiasi tipo di applicazione, anche senza che questa abbia un senso… poi, con la dicitura finale della scheda tecnica, il produttore si lava le mani pilatamente.

LA SCHEDA DI SICUREZZA

Si tratta del più antico documento obbligatorio in Europa; nasce con la Direttiva 27/06/1967 n° 548, recepita con D. Lgs. 52/97 (sì, ci abbiamo messo solo trent’anni a recepirla, mi ricordo il momento in cui avvenne); questa Direttiva è stata poi modificata nel tempo con la DIR. 99/45/CE, poi il REG. 1272/2009/UE e con il REG. 453/2010/UE. In particolare vi consiglio di leggere l’articolo 14 nel quale viene spiegata nel dettaglio la scheda di sicurezza.

Si tratta di un documento fornito per la sicurezza degli operatori: vi sono compresi la composizione chimica del prodotto (salvo non sia provata la necessità di difesa di proprietà intellettuale), le frasi di rischio e sicurezza (le R e le S), le informazioni di primo soccorso, di stoccaggio, cosa fare in caso di diffusione nell’ambiente e tante altre utilissime informazioni.

Quelle che maggiormente ci interessano sono le informazioni riguardanti la composizione chimica ed i valori fisici (peso specifico, etc.). Da questi dati possiamo assolutamente valutare l’adeguatezza del prodotto e la corrispondenza della Scheda Tecnica alla realtà.

Inoltre nella SDS troviamo anche i riferimenti del centro antiveleni nei quali reperire tutte le informazioni in caso di ingestione del prodotto. Per questo motivo, questa scheda deve sempre seguire il malato in caso d’intervento al pronto soccorso, e quindi essere presente in cantiere.

Piccola nota per i responsabili della Sicurezza di Cantiere: io non ho mai visto un cantiere con una raccolta delle SDS, a mio parere è un’ovvia mancanza di quanto richiesto per la salvaguardia della salute sul posto di lavoro: questa contiene tutte le informazioni per valutare non solo la qualità del prodotto (analisi indiretta sui dati) ma anche la pericolosità degli stessi e per quale motivo sono pericolosi. Non affidiamoci solo alle etichette dei prodotti perché i sacchi, secchi e confezioni varie sono troppo spesso danneggiate.

DICHIARAZIONE DI PRESTAZIONE

Recentemente introdotta con il D. Lgs. 106/2017, a recepimento del REG 305/2017/UE che sostituisce la vecchia direttiva sui materiali da costruzione che aveva introdotto il marchio CE.

In particolare, per quanto ci riguarda, possiamo riassumerla in due punti cardine:

  1. vi è responsabilità del produttore sulla rispondenza del prodotto ai dati scritti e
  2. bisogna dare una descrizione in base alla “caratteristiche essenziali del prodotto”.

Il primo punto ci dichiara che se il prodotto non corrisponde al DoP allora chi deve pagare è il produttore (ma chi lo deve dimostrare è chi promuove la causa) perché il prodotto deve essere descritto, secondo punto, nelle sue caratteristiche essenziali nel documento.

Questo cosa vuol dire? Che il prodotto viene raccontato per punti essenziali (attenzione, solo quelli essenziali) e per numeri essenziali. Attenzione, questa parola, “essenziale”, è una ripetizione voluta; non si tratta di scrivere ciò che per noi è importante ma ciò che è il cuore del prodotto; spesso i dati che vogliamo dobbiamo cercarli da altri parti; inoltre non siamo noi a decidere ciò che è “essenziale” ma i produttori e non sempre c’è visione comune su questo.

Questo documento, unito agli altri due, deve dare un quadro esplicativo molto chiaro e capace di permetterci di capire a fondo il prodotto.

Ma quando ci sono dei problemi di compatibilità tra i dati? Beh, dobbiamo dare retta ai documenti in ordine inverso all’elenco qui proposto, quindi prima il DoP, poi la SDS e poi, per ultima, la ST.

Perché questo? Perché noi principalmente cerchiamo dati tecnici, che sono descritti nel DoP, e poi secondariamente quelli relativi alla sicurezza.

Il punto è che la Scheda Tecnica, il documento più usato nelle scelte, è quello nel quale è permesso raccontare balle! Non cose estreme ma le cosiddette “Verità Commerciali”, ossia il modo che hanno i venditori di imbonire l’acquirente perché acquisti il loro prodotto.

Alla fine di questo racconto quale insegnamento possiamo trarne?

Va bene rivolgersi alle conoscenze, va bene studiare su internet, va benissimo chiedere consiglio ai colleghi sui gruppi di Facebook, ma siamo noi e solo noi i responsabili delle nostre scelte, dobbiamo essere sicuri di quanto prescriviamo o proponiamo e l’unico modo è studiare; chi propone una tecnologia o un prodotto è responsabile per la scelta. Se ci viene proposta commercialmente, fate in modo che vi sia traccia scritta del consiglio, se vi viene imposta e la ritenete scorretta, ponete le vostre rimostranze per iscritto; in ogni caso, per la giurisprudenza il responsabile principale è sempre il posatore (indipendentemente da chi ha proposto il materiale o la tecnologia) ed in seconda battuta i professionisti. Quasi mai la committenza. Per questo motivo evitate che possano mettere bocca nelle vostre scelte; allo stesso tempo facciamo in modo che ognuno svolga il proprio compito senza che vi siano interferenze. In particolare mi rivolgo ai posatori o alle imprese: se scegliete, automaticamente progettate, state molto attenti a ciò che proponete e non abbiate paura di fare commenti scritti su quanto progettato; se non lo fate, automaticamente lo accettate e ve ne prendete la responsabilità.

Per concludere vi lascio con una riflessione: diffidate di quelli che “è il miglior prodotto del mondo” o “non ha mai fallito” … <<Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, in errore perseverare>> – Qualsiasi uomo può cadere in errore, solo l’insipiente persevera in essa. (Cicerone – Filippiche XII 2, 5)

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La guaina bituminosa, questa bistrattata (e sconosciuta?)

La guaina bituminosa, questa bistrattata (e sconosciuta?)

 

Quante volte avete sentito dire: <<ma non si preoccupi, noi usiamo altre tecnologie, mica la carta catramata, quella è vecchia e non funziona>>.

Si sente sempre più spesso. E’ vero? Ci sono davvero sistemi miracolosi? Davvero non è possibile avere un tetto che non perde con la cara e vecchia guaina?

 

Per prima cosa spieghiamo una regola vitale: non esiste un materiale panacea che va bene ovunque. Ci sono solo situazioni che vanno studiate. La cosa migliore è trovare qualcuno che sia in grado di discernere tra un materiale e l’altro. Se avrete la pazienza di leggere vi spiegherò quali sono i piccoli segreti dei materiali che comporranno il Sistema Impermeabile della vostra copertura, qualunque essa sia.

 

E’ vero che la guaina non funziona?

 

La risposta è NO! La guaina bituminosa funziona benissimo! Prima che vi dicano che non ci sono prove di quanto duri questo sistema di creare impermeabilizzazioni o che la guaina bituminosa faccia marcire il legno, sappiate che i testi più antichi spiegano come usare la pece di bitume per impermeabilizzare navi e tetti; tra questi vi è la Bibbia. Penso che una referenza migliore non possa esistere! Se poi siete tra coloro che non la considerano un libro degno di nota, ci sono le tavolette di argilla babilonesi che spiegano come realizzare i giardini pensili dell’antica Babilonia.

Insomma, il bitume è il più antico materiale usato per impermeabilizzare le strutture. Perché?

 

Perché il bitume funziona bene?

 

Il bitume è un materiale che ha vari punti a suo favore: innanzitutto è il rifiuto della raffinazione del petrolio; è l’ultima frazione che si ottiene dopo aver tolto tutto quanto possiamo togliere dal petrolio per gli usi più interessanti. E’ un modo per riciclare un materiale che altrimenti verrebbe buttato in chissà quali modi.

Il bitume è un materiale che cambia il suo comportamento in base alle temperature: quando fa molto caldo ha un comportamento particolarmente plastico, quando fa molto freddo è particolarmente elastico. Quindi quando lo scaldiamo lo possiamo modellare come ci pare (ma serve il fuoco), facendo sì che mantenga la forma data, e quando si raffredda tende a tornare sempre alla forma che gli è stata data.

Attenzione, tende…… non è sempre così ma se ci ricordiamo di progettare molto bene sia i dettagli sia la posa di questo materiale, possiamo dire che problemi non ce ne saranno.

Grazie a questa sua caratteristica, il bitume è prefabbricabile nelle forme più incredibili e che possono esserci utili! La più comune è quella del rotolo che viene scaldato con il fuoco sul tetto. Questo rotolo non è fatto solo di bitume (è l’ingrediente principale) ma contiene additivi che rendono il bitume più o meno reattivo, più o meno plastico, etc.; soprattutto possiamo dargli un rinforzo con caratteristiche di resistenza meccanica incredibile: l’armatura!

 

Esistono i sistemi miracolosi?

 

“Allora se queste caratteristiche sono così interessanti, perché ci sono persone che dicono che non funzionano?”

Mi spiace dirlo ma il motivo è che devono vendere il loro sistema, quello per cui hanno investito migliaia di Euro, e questo non è di tipo bituminoso.

Purtroppo non venendo scelto il sistema impermeabile da un progettista specializzato, spesso ci dobbiamo fidare di qualcuno che ha interesse ad usare solo quello che è il prodotto o la tecnologia posseduta.

Ogni tecnologia ha un suo indirizzo di utilizzo specifico; possono sovrapporsi ma ognuno ha le sue indicazioni di posa che vanno seguite rigorosamente. Tra queste vi è l’umidità del supporto che quasi mai viene rilevata prima della posa.

Come abbiamo detto non esiste un sistema panacea ed altrettanto non esiste un’azienda che è in grado di usare tutte le tecnologie! NON ESISTE! Inutile che il personaggio che avete di fronte si spertichi in spiegazioni di corsi fatti, si seminari seguiti, di anni e anni di test… semplicemente non è vero!

Ci sono applicatori che governano più sistemi. Tutti? Nessuno! Semplicemente perché è impossibile!

Quello che possiamo trovare è qualcuno che ci spieghi perché usare una tecnologia piuttosto che un’altra e sia in grado di progettare un sistema impermeabile che possa garantire la sua funzionalità nel tempo.

 

Quindi possiamo creare un sistema a tenuta con la guaina bituminosa?

 

Certamente! Ricordo che il sistema bituminoso è il più antico che abbiamo a disposizione! Se ha funzionato per circa 5000 anni, non vedo perché non dovrebbe funzionare oggi!

Di cosa abbiamo bisogno perché funzioni?

Senza entrare nel dettaglio tecnico (che è noioso, lasciatelo a noi) possiamo dire che per usare la guaina dobbiamo avere alcuni requisiti: un supporto liscio, asciutto, pulito e solido; una pendenza minima dell’1% (sapete, sono le stesse caratteristiche richiesta da qualsiasi materiale per impermeabilizzazione); un progetto che spieghi come usare la guaina e la scelga (anche questo vale per gli altri materiali); un prodotto realizzato con molto bitume, una buona armatura e dei polimeri di ottima qualità (anche questo vale per gli altri materiali); un applicatore che sappia leggere un dettaglio e lo sappia realizzare (anche questo vale per gli altri materiali).

Tutto questo non è difficile da trovare, soprattutto se il committente pretenda che quanto scritto nel progetto venga realizzato pedissequamente.

 

Come possiamo conoscere il buon posatore o il buon tecnico?

 

Lo scrissi già in un altro articolo: con la domanda più fastidiosa del mondo, <<Perché?>>.

Chi vi propone una tecnologia, un sistema, un dettaglio applicativo, una metodologia di posa, deve sapervi anche spiegare perché e deve spiegarvi il perché di tutto quanto sostiene a favore della sua tecnologia contro le altre.

Se poi non vi fidate del vostro giudizio, perché in fondo voi fate un altro mestiere, potete affidarvi ad uno dei pochissimi studi tecnici che ha le impermeabilizzazioni nel DNA.

Come trovarli?

Semplicemente controllate chi ha la parola IMPERMEABILIZZAZIONE nell’oggetto sociale e avete fatto tombola!

L’iper specializzazione nel mondo dell’edilizia è e deve essere il futuro! La consulenza specializzata è fondamentale per non dover rifare i lavori tante volte con perdite di tempo, costi ignoti, spese legali, etc.

 

Basta fare i lavori per essere a posto?

 

E con questo vi devo dare una brutta notizia: non esiste alcuna struttura che dura in eterno. Cosa vuol dire? Semplicemente che se non poniamo una piccola attenzione periodica al nostro coperto impermeabilizzato, prima o poi questo si rovinerà e ricomincerà a perdere. Dobbiamo fare manutenzione.

Per sistemare le cose basta avere un piano di manutenzione. Non è necessario avere una cosa estremamente tecnica e puntualizzata (se poi lo volete noi siamo qui per questo), a volte basta semplicemente mantenere pulita la copertura!

La pioggia aiuta molto ma bisogna ricordarsi di pulire i fori degli scarichi almeno un paio di volte l’anno (se abitate in un bosco di conifere molto più spesso), bisognerebbe non lasciare residui sulla copertura quando vengono fatti lavori, basterebbe controllare se nei punti nevralgici si sono create delle criticità. Se trovate problemi, chiamate il vostro applicatore di fiducia e fategli sistemare il problema! Spenderete meno e avrete un sistema impermeabile longevo e funzionante e smetterete di avere problemi ogni 10 anni!

 

Come fare per avere un buon lavoro?

 

Per avere tutte le informazioni necessarie ad avere un buon lavoro sul vostro tetto, dovete rivolgervi a chi fa di mestiere le scelte tecniche. Sembrerà di parte ma non sono vostri interlocutori iniziali gli impermeabilizzatori o i venditori. I primi sono quelli che potrebbero realizzare il lavoro progettato ed i secondi sono coloro che collaborano con i progettisti specializzati per dagli gli strumenti per eseguire le scelte.

Il rispetto dei ruoli permetterà un buon lavoro al prezzo giusto, senza spendere inutilmente i vostri soldi.

Voi spendete il giusto una sola volta, chi realizza i lavori li esegue correttamente dedicandosi solo al suo lavoro (che è piuttosto difficile), i progettisti progettano e scelgono solo il meglio per il cliente, i produttori si dedicano a prodotti performanti e non a quelli economici. Tutti vincono, nessuno perde.

 

Allora perché facciamo il contrario?

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L’impermeabilizzatore che uccise la musica

“the day the music died” – Il giorno in cui morì la musica, così recita il termine di ogni strofa di una celebre canzone di Don McLean, successivamente ripresa anche da Madonna: “Miss American Pie”.

Il 3 Febbraio 1959 avvenne un incidente aereo dove persero la vita Buddy Holly e Ritchie Valens e la canzone fu iniziata immediatamente dopo la tragedia.

Altri momenti hanno meritato dire: “la musica era morta”; la morte di John Lennon, ad esempio, la morte di Luciano Pavarotti e di tutti quelli che sono nel vostro cuore e non possono più cantare per voi.

Eppure c’è un momento in cui un impermeabilizzatore ha veramente ucciso la musica senza se e senza ma.

Nel 2008 un magazzino della Universal era in fase di ristrutturazione, stavano impermeabilizzando la copertura con guaine bituminose posate a fiamma.

Come da norma statunitense, gli operatori, che finirono alle 3 del mattino, rimasero fino alle 4 in attesa che il manto appena posato si raffreddasse e non ci potessero essere principi d’incendio.

Già, perché negli States ci sono delle regole particolarmente rigide per chi posa il Waterproofing layer che sia in bitume polimero o in resina o sintetico, mentre in Italia no!

Torniamo a quel tragico giorno: poco prima delle 5 del mattino la copertura del Building 6197 prese fuoco. C’erano vecchi fondali, set cinematografici (sembra anche uno di Ritorno al Futuro) e, in un angolo appartato di circa 200 mq, un enorme quantitativo di incisioni originali! I master delle canzoni più famose che tutti abbiamo amato: Billie Holiday, Chuck Berry, Muddy Waters, Bo Diddley, Etta James, John Lee Hooker e Buddy Guy. Andarono perdute – sempre per quello che sappiamo – i master delle prime registrazioni di Aretha Franklin, altri di Louis Armstrong, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, e probabilmente tutti quelli di Buddy Holly.

Andarono perduti anche i master di John Coltrane, Count Basie, Dizzy Gillespie, Max Roach, Sonny Rollins, Charles Mingus, Ornette ColemanAlice Coltrane, Ray CharlesBenny Goodman, Cab Calloway, B.B. King, Joan Baez, i Mamas and the Papas, Joni Mitchell, Cat Stevens, Elton John, i Lynyrd Skynyrd, Eric Clapton, gli Eagles, gli Aerosmith, gli Steely Dan, Iggy Pop, i Police, i R.E.M., i Guns N’ Roses, Queen Latifah, Mary J. Blige, i Sonic Youth, i No Doubt, i Nine Inch Nails, Snoop Dogg, i Nirvana, Tupac Shakur, Eminem.

Mio personale gusto non piango l’ultimo ma tutto quanto distrutto non ha prezzo è un danno per l’intera cultura dell’umanità; un po’ come se avesse preso fuoco il Louvre o i Musei Vaticani. Per la musica quel luogo era il più grande museo del mondo.

Colpa della guaina posata a fiamma? No, non credo. Le responsabilità si sono rimpallate a destra e sinistra ma nessuno è stato accusato formalmente; sembra che si sia trattato proprio di un incidente.

Dove sta allora il problema? Il problema siamo noi! Noi che viviamo in questo mondo e non crediamo in noi stessi! Noi che impermeabilizziamo le coperture di musei, di ospedali, di ponti, di palazzi, di opere grandiose, case di persone e non crediamo nella nostra importanza e nella nostra preparazione

Noi siamo il problema del nostro settore! Basta continuare a lottare inutilmente contro i mulini a vento del prezzo basso, del portare via un lavoro al concorrente, di diffamare la concorrenza, della scelta del prodotto miracoloso, del voler fare in fretta.

Non funziona così!

Le impermeabilizzazioni sono importantissime sono una delle parti fondamentali delle costruzioni e sono le meno regolamentate in assoluto!

Ah, prima che venga detto: i libri, le raccolte sono dei mezzi utili per imparare ma non sono le regole! Perchè lo stato italiano non le ha dettate!

Ma anche impegnarsi a livello polito che senso avrebbe se prima non decidiamo di mettere un blocco all’entrata nel nostro settore a chi veramente fa ciò che deve essere fatto?

Oggi per diventare impermeabilizzatore bastano i 16 Euro che la Camera di Commercio chiede come bolli (più le spese che divergono da una CCIAA all’altra); poi con un cannello da 25,00 Euro ed un furgone sgangherato abbiamo fatto l’impermeabilizzatore perfetto.

Non ci credete? l’altro giorno mi ha chiamato un impermeabilizzatore (così si è definito lui) che non ha la casella e-mail! Ma se hai un’impresa è obbligatoria la PEC e per avere la PEC devi avere una casella e-mail….. Ah, Google la regala, non costa nulla!

Questo è il punto, chiunque può entrare in questo mondo, basta fare un prezzo leggermente più basso per prendere il lavoro a chi si organizza, studia e investe nella propria attività.

Ecco perché un titolo così provocante a questo articolo: forse il roofer americano non ha avuto colpa di quanto è successo ma se fosse successo in Italia la colpa ci sarebbe stata eccome!

Vi lascio dandovi un compito per i vostri momenti di relax: pensate a chi siete! Non siete l’ultima ruota del carro a meno che non lo vogliate voi!

Le immagini sono state prese dall’articolo sull’evento che trovate a questo indirizzo: https://www.ilpost.it/2019/06/15/incendio-universal-master-musica/

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La manutenzione delle coperture

LA MANUTENZIONE DELLE COPERTURE IMPERMEABILI



Mi occupo di manutenzione ordinaria e straordinaria da quando ho memoria. Anche se non proprio come la intendete voi, da sempre faccio questo.

Mi ricordo quando mio papà mi veniva a prendere all’asilo per “andare a lavorare”. Ero il bambino più felice del mondo.

Cosa faceva mio papà? Il muratore? No! Il tecnico? No! Il carpentiere? No! Lui faceva pulizie! Ha fondato l’impresa di pulizie La Petroniana insieme a mia mamma (oggi Petroniana Facility Management).

Sapevate che le pulizie sono la forma più antica di manutenzione di un immobile? Pensateci, avete mai visto una casa sporca e fatto finta di niente? Avete mai visto un ufficio puzzolente e fatto finta di niente?

No! Nulla di tutto ciò! Siete tutti schifati, magari senza farlo vedere, dalle condizioni igieniche di una struttura perché è normale esserlo! Non tanto la polvere, quando lo sporco vero! Quello che si annida negli anfratti e ti entra nel naso con prepotenza.

Allo stesso tempo vi sentite rassicurati se sentite odore di disinfettante. Probabilmente vi darà fastidio ma sapete che quel posto è stato igienizzato e vi mettete a vostro agio anche se la sedia che vi propongono è realmente sporca.

Bene, perché questa sensazione non l’abbiamo mai quando vediamo un edificio? Perché non abbiamo la stessa sensazione di schifo se il tetto perde? Non ho una risposta chiara su questo punto, penso che sia perché riteniamo che le nostre case debbano essere eterne (ce l’hanno fatto credere per decenni) e che la manutenzione non serva. Eppure le pulite!

LA MANUTENZIONE CE L’HO NEL SANGUE

Oggi l’azienda di famiglia è passata in mano a mio fratello (che sta facendo un lavoro egregio) ma la manutenzione ce l’ho nel sangue! Nelle mie vene passano piani di attività periodiche e nelle arterie la progettazione di quello che ci sarà da fare.

Proprio grazie a mio papà, ma anche a mamma non dimentichiamola, ho imparato a gestire le periodicità delle attività da svolgere. È stato facile passare da una pulizia dei vetri trimestrale ad una pulizia dei canali di gronda semestrale. La differenza è decisamente minore di quello che sembra. Già, perché in fondo la pianificazione non ha un settore specifico ma è uno strumento in mano alle persone!

Allora usiamola! Cerchiamo di conoscere le strutture, cerchiamo di conoscere le problematiche, cerchiamo di conoscere i materiali che usiamo! Così avremo in mano il futuro SANO dei nostri edifici.

LO SCONTRO CON LA REALTA’

Questo mio modo di vedere si è scontrato spesso con la realtà.

Appena entrato nel mondo delle impermeabilizzazioni, non capivo assolutamente nulla.

Ero passato da miscelare prodotti a base di acido muriatico per pulire i pavimenti industriali a dover vendere dei rotoli di guaina bituminosa che non avevo mai visto prima.

Mi sono fatto aiutare, ho studiato tutto ciò che riuscivo a trovare, ho cominciato a scrivere io stesso, ho frequentato assiduamente i cantieri e le case degli applicatori e mi sono fatto spiegare come funzionavano le guaine, mi sono lanciato nelle nuove tecnologie che scoprivo: la bentonite, le resine, il butile, l’EPDM ed il TPO per planare bellamente sui cementizi.

Ho cominciato a capire che il settore di provenienza non l’avevo abbandonato per sempre ma mi dava un plus che gli altri non avevano. Io sapevo veramente cos’era la manutenzione ordinaria. Io la facevo!

Così, piano piano con l’aiuto di amici dentro la materia, ho fatto partire un meccanismo interno che mi ha fatto come la manutenzione ordinaria si potesse sviluppare nell’edilizia.

SCRIVERE UN LIBRO SULLA MANUTENZIONE

Ci ho messo un po’ di tempo, non lo nego, ma un anno fa ho chiamato Mauro Ferrarini (Maggioli Editore) dicendogli che avevo un’idea per un nuovo manuale della collana di Patologia Edilizia: la progettazione della manutenzione.

Nei primi istanti è rimasto interdetto; me lo vedo che lontano dalla cornetta strabuzza gli occhi chiedendosi di cosa stia parlando. Soprattutto quando gli dico che per me la manutenzione ordinaria è una cosa decisamente diversa da quella che è indicata nella normativa vigente. Mi avrà dato del pazzo… o peggio.

Mi dice: mandami una bozza di indice ed una spiegazione.

Scrivo, ci ho messo meno che scrivere questo articolo. L’argomento lo padroneggio nella mia mente bacata e avevo assolutamente bisogno di esprimermi! Non mi basta parlarne, volevo che tutti sapessero qual era la mia idea e come poterla seguire.

È piaciuta. Soprattutto perché si aspettavano che scrivessi quali materiali usare per fare le manutenzioni o che tipo di cannello è meglio per la guaina o pennello per la resina. Invece ho parlato di cos’è la manutenzione ordinaria. Ho spiegato che per creare un buon piano di manutenzione è necessario che si conosca a fondo la materia e che in edilizia non capiamo nulla di questo settore.

Non a caso mi sono rivolto al mio settore d’origine ed all’industria. Loro sì che ne capiscono e ne hanno fatta una scienza.

Scrivo, scrivo, scrivo ma la mente non è libera. Purtroppo mentre scrivevo il libro ed aprivo il mio studio tecnico, dovevo aiutare mio papà che si stava avviando lentamente verso il suo ultimo viaggio. Per fortuna lo finisco prima che questo avvenga. So che gli piaceva perché gli leggevo dei brani di quello che scrivevo e lui, con grande fatica, ricordava di quando era lui a creare i piani di manutenzione e seguiva le squadre che dovevano realizzarli.

I PRIMI CONSENSI IMPORTANTI

Proprio in itinere, sono stato invitato a tenere un intervento al primo convegno nazionale di Patologia Edilizia che si tenne a Maratea (città spettacolare!!!). In quella sede ho avuto l’onore di conoscere il professor Bassi, docente di Estimo al Politecnico di Milano.

Durante una pausa del convegno, gli chiesi cosa pensava del mio progetto e gli raccontai come avevo in mente di spiegare il problema della progettazione della manutenzione. Gli chiesi anche se mi avrebbe scritto la prefazione al libro.

Vi confesso che mi aspettavo un no sdegnato, un professore universitario che è abituato a parlare di questo argomento, troppo onore. Invece mi ha spiazzato (questo perché i preconcetti sono sempre sbagliati) regalandomi un SI entusiasta. Quello che ha scritto lo potete leggere nelle prime pagine del libro!

Io sono lusingato ed onorato di aver avuto la sua prefazione e lo ringrazio dal profondo del cuore.

Ora il libro è in vendita e sono sinceramente angosciato per come possa andare e come possa essere accolto.

LA DISAPPROVAZIONE

Gli scontri che ho dovuto affrontare, mentre scrivevo i miei pensieri sui social networks, hanno lasciato strascichi e sono sicuro che ci sono persone che non vedono l’ora di criticarlo pesantemente.

Bene, non mi sono tirato indietro allora e non lo farò adesso. So cosa ho scritto, so da dove viene e so che ci ho messo l’anima per cercare di scrivere nel modo più semplice possibile un’idea così complessa.

IL SISTEMA DI MANUTENZIONE

Processo per la progettazione della manutenzione delle coperture, un passaggio fondamentale per riuscire a creare un buon piano di manutenzione.

Ho provato non a dettare regole su come redigere il piano di manutenzione, ma creare un ambiente di lavoro, una sorta di Sistema Operativo dove i progettisti possono entrare e creare il progetto manutentivo a loro immagine, non a mia!

Non ho creato procedure standardizzate. Quelle sono fasi operative e non credo, sinceramente, che un geometra, un ingegnere o un architetto abbiano bisogno dell’abbecedario per progettare. Ho creato un luogo dove dare forma alle loro idee (che poi è quello che ho fatto per me) e dove possano analizzare i problemi che devono essere affrontati.

Certo, ci sono tabelle, certo ci sono schemi ma quello che mi preme di più è condensato nell’appendice finale dove c’è la proposta di una normativa legata alla Progettazione della manutenzione.

Mentre la scrivevo mi rendevo conto che non era legata alle sole coperture ma poteva valere per qualsiasi parte dell’involucro edilizio, tanto che, lo noterete sicuramente, ad un certo punto del libro ho smesso di parlare di coperture è ho cominciato a parlare di edificio!

Questo è il bello di un ambiente di lavoro. Ti crea le condizioni per lavorare a 360°, non per fare solo quel singolo e specifico lavoro!

Spero vivamente di aver dato un pezzettino di quell’entusiasmo che ho ereditato dai miei genitori per questo lavoro. Spero vivamente che si possa intavolare un dialogo costruttivo tra le parti coinvolte per cominciare a pensare di avere edifici sicuri e non tetti che bruciano per mancanza di manutenzione o per errata manutenzione.

Vi lascio augurandomi che questo mio solito sproloquio non vi abbia annoiati ma vi invogli a pensare che la parola MANUTENZIONE non è una minaccia ma un’opportunità e che farla bene non alza i cosi ma li abbatte notevolmente!

Un saluto ai miei soliti 15 lettori che stimo per la perseveranza e l’affetto che hanno nei miei confronti.

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Ditra o non Ditra?

Buonasera a tutti.

Alcune sere addietro, io (Mario Monardo) ed Arcangelo Guastafierro, abbiamo intrapreso una piacevole conversazione in merito ad alcuni sistemi impermeabili per coperture piane presenti sul mercato e che vengono proposti come panacea di tutte le problematiche.

Una bellissima frase recita: “Niente è come sembra anche se il sembra a volte è bellissimo”…..

Si tratta di una citazione meravigliosa che descrive perfettamente l’attuale universo dell’edilizia e in particolare il fantastico mondo degli applicatori, categoria dove spesso si utilizza questo o quel prodotto perché .…si è sempre fatto così, ha sempre funzionato così e soprattutto è costato pochissimo.

Sempre più frequentemente, parlando con molti posatori di diverse regioni, ci siamo accorti che in tantissimi utilizzano prodotti o sistemi senza conoscere perfettamente ciò che applicano o peggio ancora ignorandolo completamente. Sembra assurdo ma è proprio così e come esempio a tal riguardo parliamo di un prodotto denominato col marchio commerciale di Ditra-25 della Schluter®. Per molti si tratta di un sistema impermeabile da usare per coperture piane, terrazze e balconi anche perché questo è quanto viene indicato e riportato sulla scheda tecnica.

Quanti sanno esattamente come deve essere applicato il Ditra-25 sulle coperture piane, sulle terrazze e balconi?

Quanti hanno letto attentamente la scheda tecnica del Ditra-25?

A pagina 5 della scheda (documento tecnico ufficiale), alla voce “Terrazze sopra vani/“coperture piane”, viene riportato:

Nel caso di tetti terrazzati situati al di sopra di vani (abitati, di servizio o similari), è sempre necessario realizzare una “copertura piana” con corretta pendenza, seguendo le norme vigenti in materia (in Italia UNI 8627 etc.) ed eventuali regole di buona pratica. Dove è da attendersi una differenza di temperatura fra esterno ed interno è da installare a regolare d’arte una barriera al vapore, già in pendenza, sulla quale posare un pannello isolante termico correttamente dimensionato e una impermeabilizzazione (“elemento di tenuta” – ai sensi della UNI 8627). Sopra l’impermeabilizzazione viene applicato il sistema di drenaggio e di protezione (Schlüter®-TROBA o Schlüter®-TROBA-PLUS). Prima della posa del pavimento posare un massetto per la ripartizione del carico. Sulla superficie del massetto si posa a colla Schlüter®-DITRA 25 per separare il pavimento dal massetto e per proteggere il massetto dall’umidità. Schlüter®-DITRA 25 in questo caso funge principalmente da guaina di separazione e neutralizza le tensioni che si formano frequentemente tra il sottofondo e il pavimento in seguito alle notevoli escursioni termiche che si manifestano sulle terrazze”.

Escludendo le frasi di rito che vogliono sottintendere una corretta realizzazione della stratigrafia di sottofondo, analizziamo alcuni passaggi del testo sopracitato per evidenziare degli aspetti che riteniamo fondamentali.

  1. ”Dove è da attendersi una differenza di temperatura fra esterno ed interno […]” Non è importante ciò che è scritto ma ciò che è sottinteso. Quali sono le strutture che non presentano un delta termico tra interno ed esterno? Semplice. I balconi e basta!!! Al massimo qualche vecchia autorimessa degli anni ’50…. ma null’altro!

  2. ”[…] è da installare a regolare d’arte una barriera al vapore, già in pendenza, sulla quale posare un pannello isolante termico correttamente dimensionato e una impermeabilizzazione (“elemento di tenuta” – ai sensi della UNI 8627)”. La lingua italiana non può essere travisata, in quanto semplice e lineare! Insomma c’è scritto che in questo caso il prodotto che viene definito impermeabilizzante necessita di uno strato a tenuta diverso (DIVERSO!!!!) al di sotto???? Allora a cosa serve questo DITRA-25? Ma soprattutto perché viene definito un impermeabilizzante? Ah, ovvio, è scritto più avanti: Prima della posa del pavimento posare un massetto per la ripartizione del carico. Sulla superficie del massetto si posa a colla Schlüter®-DITRA 25 per separare il pavimento dal massetto e per proteggere il massetto dall’umidità. Schlüter®-DITRA 25 in questo caso funge principalmente da guaina di separazione e neutralizza le tensioni che si formano frequentemente tra il sottofondo e il pavimento in seguito alle notevoli escursioni termiche che si manifestano sulle terrazze”.

Pertanto dopo aver letto questo paragrafo della scheda tecnica si è compreso quale deve essere la stratigrafia da eseguire su una copertura piana prima di utilizzare il sistema Schlüter®-DITRA 25. Purtroppo moltissimi applicatori/posatori, e lo sappiamo per certo, pur posando questo prodotto non utilizzano una simile stratigrafia per impermeabilizzare terrazzi e coperture piane.

Pertanto in caso di problematiche e contenzioni cosa accade?

Se vale quanto riportato nella scheda tecnica (documento tecnico ufficiale) del Schlüter®-DITRA 25 riteniamo che la stragrande maggioranza dei lavori non sia corretta…

Lasciamo a Voi ogni ulteriore commento in merito.

Un sincero saluto a tutti da parte nostra e un augurio di buon lavoro con la speranza di un Vs. attivo contributo nella discussione che abbiamo avviato.

arch. Mario Monardo

geom. Arcangelo Guastafierro

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Giardini pensili

Oggi si parla di giardini pensili per i grandi vantaggi che può dare, indubbi, grandiosi e permanenti. Purtroppo ci dimentichiamo che per funzionare il giardino pensile ha uno strato che è più importante di tutti gli altri: l’impermeabilizzazione.
Questa permette di vivere comodamente nei locali sottostanti il giardino, permette di proteggere la struttura portante dagli effetti disgregativi dell’acqua e convoglia tutte le acque in eccesso verso i punti di scarico progettati.

E’ pressoché ignorata, come sempre.

Ho trovato molti documenti sullo studio di giardini pensili, tutti fanno riferimento ad un sacco di norme UNI, studiate e scritte appositamente dai produttori dei terricci o degli strati intermedi, o a consuetudini, ho trovato anche una tesi di laurea datata 2011 (quindi piuttosto recente), tutti questi documenti hanno un’unica caratteristica in comune: si sbaglia sempre quando si parla dello strato impermeabilizzante.

Proviamo a chiarire qualche punto:

  • l’impermeabilizzazione può essere una qualsiasi di quelle che possono essere usate in copertura (bituminosa, sintetica, resina);
  • L’adesione al supporto non è necessaria, diciamo che è realizzata in base alle caratteristiche del sistema impermeabile scelto. E’ invece necessaria l’adesione totale nei risvolti verticali.
  • >L’additivazione antiradice serve solo per i manti bituminosi. E’ necessario controllare che ogni tipologia di saldatura sia eseguita correttamente;
  • Le tensioni che si possono verificare sono minimali (salvo la presenza di giunti di dilatazione… ma questi sono progettati appositamente e si sa esattamente come, quanto e quando si muoveranno) in quanto il manto non è sollecitato dalla radiazione solare se non nelle piccole parti esposte dei risvolti verticali.
  • La stratigrafia normata prevede vari strati di sbarramento che provvederanno a proteggere ulteriormente il manto impermeabile dall’attacco delle radici: tessuti di drenaggio, manufatti di raccolta d’acqua.
  • Il bocchettone di scarico deve essere ispezionabile anche quando il giardino pensile sarà finito, Quindi è necessario che fuoriesca dal giardino stesso. Per questo ci sono manufatti appositi che permettono lo scolo delle acque non solo in piano ma anche sul tubo verticale che esce dal giardino.
  • La capacità antiradice di un manto è relativa. Questa funziona se le essenze piantate non sono dotate di apparati radicali particolarmente profondi. E’ inutile piantare un Cedro del Libano (non preoccupatevi, l’hanno fatto in tanti) in un giardino pensile di 50/70 cm di profondità. Prima o poi le sue radici passeranno tutti gli strati, compreso il solaio in calcestruzzo armato.
  • >La manutenzione deve essere eseguita ugualmente, anche se il manto non è a vista.

Possiamo dividere i giardini pensili in due macrocategorie: quelli intensivi ed ornamentali, sono quelli che vediamo e viviamo all’interno delle costruzioni; quelli estensivi normalmente utilizzati in coperture non praticabili.

Una delle mode che riguardano la piantumazione è quella di usare il Sedum. Questa piantina, ne esistono centinaia di specie, si adatta quasi a qualsiasi situazione, fiorisce in tanti modi diversi, quindi regala un panorama veramente interessante.

Questa piantina, però, ha anche una caratteristica particolare: come dice un mio amico: ha tanta voglia di vivere. La porta a radicare in qualsiasi posizione, Gli basta una goccia d’acqua ed un pezzo della pianta e germoglia ovunque.

SEDUM. – Genere di piante Dicotiledoni Archiclamidee della famiglia Crassulacee. Sono erbe annue o perenni con o senza getti sterili, con foglie carnose piane o cilindriche. Fiori riuniti in cime o in corimbi più o meno addensati: calice di 4-9 sepali, corolla di 4-9 petali bianchi, gialli, rossi o verdi, stami in numero uguale o più spesso doppio dei petali, ovario apocarpo di 4-9 carpelli, ciascuno con numerosi ovuli biseriati. Frutti a follicolo. Comprende 140 specie delle regioni fredde e temperate dell’emisfero boreale e dell’America Centrale, 1 del Perù.

In Italia vivono una trentina di specie che abitano i vecchi muri, i luoghi sassosi e pietrosi dal mare ai monti. Alcune (come S. maximum, S. telephium, S. fabaria, S. anacampseros, rupestre, album, ecc.) furono usate come rinfrescanti, diuretiche e vulnearie. Il S. acre era usato come febbrifugo e contro l’epilessia e il cancro.

(Treccani, enciclopedia on-line)

Come potete vedere la piantina, tanto belle e tanto carina, potrebbe creare un serio problema alle nostre città nel prossimo futuro! Infatti questa pianta si attacca ovunque. Provate a guardare nelle crepe del manto d’asfalto, nelle pietre di rivestimento come il travertino, nei cordoli dei marciapiedi o nei gradini presenti nelle nostre città.

Perché, invece di usare piante come queste non facciamo dei giardini aromatici? Ci sono piante che sono adattissime a stare su giardini pensili… e se proprio dovranno invadere le nostre città, almeno ne avremo una pianta utile anche a profumare le nostre città puzzolenti!

In sostanza sollecito i nostri architetti, quelli più sensibili all’argomento, a non tralasciare lo strato impermeabile, se non sanno come fare a progettarlo chiedano ad un progettista specializzato (se proprio non ne trovate potete contattarmi) e, soprattutto, facciano dei tetti verdi dei veri giardini pensili e non una fucina d’infestazione.

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Buono o cattivo?

Risolvere le problematiche lavorative non è sempre facile. Bisogna camminare su una corda molto sottile e sotto non c’è la rete di salvataggio ma l’inesorabile baratro del fallimento.

Noi italiani siamo stati sempre piuttosto bravi a barcamenarci in situazioni al limite anche se abbiamo scoperto che non eravamo noi bravi ma siamo stati guidati in un mondo dove l’etica doveva scomparire!

Mi ricordo, tanti anni fa, quando andai con mio padre a fare il preventivo per la pulizia di un capannone (eh, già, vivevo in un mondo diverso) vicino casa. Alla fine del sopralluogo il proprietario del capannone guardò in faccia a mio padre (di origine campana ma assolutamente senza accento) e gli disse “ho vissuto a Napoli per 20 anni. Mi ritengo un napoletano verace anche se sono nato a Bologna. Non ho bisogno di contratti. Se per lei va bene vorrei suggellare il contratto con una stretta di mano.”

Immediatamente le sensazioni di ragazzo erano di grande rispetto ma anche di grande paura…. oddio un napoletano… chissà che fregatura!

Mio padre si fidò, forse la sua innata capacità di capire le persone lo portò a prendere questa decisione.

Come finì? Bene, molto bene, il tizio pagò alla fine dei lavori, dette una mancia a tutti gli operai che erano stati da lui a lavorare e non lo vedemmo più. Una sorta di meteora che, però, ha cambiato radicalmente la mia vita! Non sono più stato capace di liberarmi di questo ricordo ed è compenetrato nella mia anima.

Io ci provo, con mille e mille difficoltà ma ci provo ad essere onesto al 100%. ed infatti trovo sempre troppe persone che se ne approfittano… però ho trovato anche tanti amici e tantissime collaborazioni aperte che vorrebbero essere in tutto e per tutto etiche!

Vi chiedo, a questo punto, ma voi sareste disposti a seguire un codice etico? Lo seguireste anche quando potrebbe farvi perdere un lavoro? Lo seguireste anche quando si tratterebbe di dire di NO ad un cliente? Lo fareste per il semplice motivo che è giusto farlo?

Io sono dell’idea che l’etica dovrebbe rientrare nel mondo del lavoro ed in particolare in quello dell’edilizia dove il sotterfugio e il compromesso instabile la fanno da padrone.

Vi chiedo, un’altra domanda: sareste disposti a firmare e rispettare un codice etico? Io l’ho già fatto in passato e lo rifarei oggi stesso. Non è facile da portare avanti ma da tante soddisfazioni…. ma crea anche delle preoccupazioni, soprattutto in coloro che vedono l’etica come un avversario, in coloro che fanno del clientelismo un sistema di vita e di reddito!

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Associazione a delinquere di stampo impermeabilizzativo

Eccoci alle solite: imprese d’impermeabilizzazione che chiudono, altre che aprono, dipendenti non pagati ed ex dipendenti che aprono fantasmagoriche imprese. Nulla di nuovo sotto il cielo, tutto come al solito. Insomma la vita continua. Eppure il mercato è sempre più fiacco. Eppure i prezzi sono sempre più bassi. Eppure la qualità scema sempre più. Eppure continua la secolare lotta per sopravvivere.

Penso sia il caso di mettere un po’ d’ordine nelle domande che quotidianamente ci vengono in mente e che, sempre più, non ci fanno dormire.

Come faccio a mantenere la mia azienda in modo tale da lavorare correttamente al meglio delle mie possibilità ed allo stesso tempo garantire il perfetto risultato al cliente facendo i lavori al miglior prezzo? Beh… non sono tante domande, è una sola ma molto complessa e richiede svariate risposte.

Ce ne sono che riguardano l’economia del settore, il rapporto tra datore di lavoro e dipendenti, le richieste di finanziamenti, le certificazioni volontarie etc.

A me preme rispondere solo ad una: la tecnica delle lavorazioni.

Mi perdonerete ma non sono interessato a come gestite le vostre aziende o a come trovate la concorrenza ogni giorno. So solo che siamo sempre pronti a lamentarci… poi nessuno muove un dito… perchè in fondo ci fa comodo così! Brutto quando vi dicono le cose in faccia, vero? Purtroppo è proprio così! Nessuno è veramente interessato a cambiare, altrimenti farebbe qualcosa oltre a parlare e lamentarsi.

Comunque oggi non voglio puntare il dito verso voi, poveri impermeabilizzatori e neanche verso i committenti che stanno diventando una vera e propria classe criminale pronta a far fuori tutti quelli che passano pensando di essere i più furbi del mondo (poi i tetto perde…. ma questo è un dettaglio); oggi voglio svelare una vera e propria associazione a delinquere di stampo impermeabilzzativo: i produttori.

Ah, ecco che si scaglia con il terzo che difficilmente risponde! Ah, eccolo di nuovo a denunciare i soliti marchi noti e supernoti! No, miei cari, oggi denuncio tutta la categoria dei produttori, indistintamente! Non ci sono bravi produttori o cattivi produttori ma solo produttori che guardano esclusivamente il loro orticello.

Proprio oggi (18/02/2016) ho letto il commento di un amico che diceva che in cantiere ognuno guarda solo il suo orticello con estremo egoismo, facendo finta che quello che non va sia sempre colpa degli altri. I produttori non fanno eccezione! Si lanciano in campagne pubblicitarie di ogni tipo, scrivono riviste, pubblicano fotografie, creano discussioni sui social facendo vedere quanto son fighi e quanto sono bravi. In fondo, però, continuano a cercare il semplice e puro profitto!

Abbiamo detto che siamo in tempo di crisi, come fanno ad aumentarlo? Le tecniche sono tre: la prima, più ovvia, aumentando il fatturato e, quindi, l’utile; la seconda è altrettanto ovvia ed è la riduzione dei costi; la terza, un po’ meno, per i non addetti ai lavori, è quella di acquisire aziende concorrenti o fornitrici. Vi sembrerà strano ma il terzo motivo non lo considero un problema: un’azienda acquisisce porzioni strategiche di fatturato o brevetti acquisendo altre aziende. Utilizzando questa strategia si muove ben poco nel mercato! Pensate a quando Mapei ha acquisito Polyglass o quando Sika ha acquisito Tecnokolla. Quasi nessuno se n’è accorto!

Peggio è quando vengono ridotti i costi di un’azienda. Per farlo bisogna mettere mano al bilancio della stessa che deve essere sviscerato in ogni sua parte. Chi lo fa? I dirigenti di tutti i settori ma dovete sapere che i manager italiani sono, quasi tutti, degli inetti! (lo so mi sto tirando dietro un sacco di accidenti…. ma Santo Cielo, sono già bloccato su una sedia, non ho molto di peggio da subire!) Perchè inetti? Perchè non sono dei veri dirigenti! Perchè spesso sono degli incapaci lecca…o. Molti sono degli ex impiegati promossi perchè lacchè o ex agenti che diventano direttori commerciali o amanti, più o meno delusi, che diventano direttori generali perchè fanno dei lavoretti niente male. Ognuno di loro cercherà di abbattere i costi senza fare sacrifici personali e soprattutto vedendo alcuni settori come dei bersagli a cui tirare le mannaie!

Uno dei settori maggiormente colpito o utilizzato è quello di ricerca: alcune grandi aziende internamente, le altre esternamente fanno sì che la ricerca non tenda a migliorare il prodotto ma voglia solo ed esclusivamente abbassarne il prezzo d’acquisto delle materie prime. Quindi quando voi, vecchi impermeabilizzatori, vi trovate a disagio ad usare un materiale che avete usato fino all’altro giorno, sappiate che nelle mescole, miscele, emulsioni, etc. è stato modificato un piccolo ingrediente … o più di uno … o tutti!

Per il produttore questa modifica vuol dire abbassare il costo di produzione del prodotto senza variarne la risposta di scheda tecnica! Attenzione, non ho detto risposta tecnica ma di “scheda tecnica”. Cosa significa? Molto semplice: la risposta del materiale in laboratorio è simile a quella originaria tenendo conto delle tolleranze che già sono presenti nei documenti precedenti!

Un esempio lampante che pochi di voi hanno notato ma se ne vedono continuamente le conseguenze: le malte cementizie elastiche sono dei conglomerati di vari materie che vengono miscelate in fabbrica per creare il componente A e alcune resine e acqua che formano il componente B. Cosa succede se nella miscela A tolgo l’inerte siliceo (costoso) e ci inserisco quello carbonatico (molto più economico)? Beh, che la mia malta elastica cosa meno e il produttore può aumentare gli utili!

Ma cosa succede sul lato pratico? Ecco, in questo caso il cambio non è proprio indolore! Innanzitutto troverete che nella scheda di sicurezza e in quella tecnica il “selezionato inerte siliceo” diventa “inerte selezionato” o “miscela di inerti selezionati” o altre definizioni simili; sul terrazzo che avete con amore impermeabilizzato, invece, succede una cosa molto simpatica: l’inerte carbonatico è particolarmente idrofilo, assorbe acqua e si scioglie scorrendo verso gli scarichi. Come per la malta elastica, già che ci siamo, facciamo lo stesso cambio anche nelle colle, negli stucchi, negli intonaci, nelle malte da ripristino, etc. e così cominciamo a vedere quelli che io chiamo i terrazzi carsici! Cominciamo a vedere le stalattiti che si trovano in posti dove non dovrebbero esserci mai!

Chi di voi si è lamentato con il produttore per questo genere di conseguenze? Nessuno, anche perchè non avete mai pensato che potesse essere colpa loro! Beh, è così!

Non solo, si dilavano i materiali passando da una concentrazione del 100% ad una del 95%… rientriamo delle tolleranze! Poi le resine le diluiamo di un 2%. Continuiamo a rimanere nelle tolleranze.

Ma quando cominceremo a chiamarli in causa? Quando decideremo che i produttori devono fare la loro parte nel mondo delle impermeabilizzazioni e non governare solo da fuori?

Molti diranno: ma fanno corsi, seminari, simposi e sono sempre puntuali nelle spiegazioni, sempre severi nei giudizi!

Negli ultimi mesi, a causa del mio immobilismo, ho potuto assistere a svariati corsi di posa, progettazione o presentazione di prodotti impermeabilizzanti dei più vari. Una cosa che hanno in comune è quella di pretendere di dare sempre la risposta giusta a tutte le tipologie di problemi! Non voglio entrare nel dettaglio di come voi, cari impermeabilizzatori, veniate irretiti con promesse di mirabolanti lavori e guadagni, di come voi, cari impermeabilizzatori, ci crediate senza neanche metter in dubbio che qualche cosa potrebbe anche essere falsa. Voglio farvi notare che nessuno, in nessuna azienda vi dirà mai:”no, questo non si può fare!!!”, a meno che non chiediate di impermeabilizzare la luna con la carta igienica.

Quello che vorrei chiedere ai produttori, per dimostrare che quello che ho scritto è sbagliato, sono due cose:

1) Smettetela di vendere materiali impermeabilizzanti a chi non è preparato e formato (quindi magazzini edili ed imprese edili… e artigiani improvvisati)
2) Scrivete in scheda tecnica le applicazioni in cui siete certi che il prodotto non va bene o dove l’impermeabilizzatore è stato ingannato facendogli credere di avere la panacea in mano!

Pensate che sia troppo? Beh, sappiate che un produttore, in passato, ci ha provato! Quindi non è né una novità nè un discorso che non viaggia nei loro corridoi!

Chiediamoci solo se vogliamo premiarli continuando a difenderli ad oltranza, se come al solito faremo la parte di quelli più furbi che sono in grado di fregare tutti… penchè in fondo tutti gli altri vogliono fregare noi o vogliamo davvero e fortemente essere dei professionisti e vedere il nostro settore rifiorire e depurarsi della parti cancerose.