Categorie
Blog Facility Management Forse tutti dovrebbero sapere che Fotovoltaico Impermeabilizzazioni patologia edilizia

Cristo è morto dal freddo

Immagine presa dal web (http://www.ourfreetime.it/orwell/)

Non passa giorno che non arrivi qualche richiesta strana, non passa giorno dove non si sentano cose ancora più assurde e i social non fanno altro che amplificare la distrazione di massa. Come possiamo pensare di fare informazione se ognuno ha l’autorità di scrivere ciò che vuole e farlo passare per vero?

Ovviamente non voglio parlarvi di COVID-19, di vaccini, di terapie intensive ma semplicemente di impermeabilizzazioni. Possibile che crediate a tutto ciò che chiunque scrive? Possibile che non si riesca a pensare che le soluzioni miracolose sono delle truffe? Che i materiali più incredibili esistano solo nei cartoni animati? Eppure ogni giorno si vedono video di persone che spruzzano liquidi colorati spacciandoli per la panacea a tutti i mali o applicando i materiali tradizionali come fossero un pilota di rally nel mezzo di un duello.

Le impermeabilizzazioni sono una cosa seria, difficile da fare, richiedono lavoro costante, formazione continuativa e “sono 40 che faccio così e non ho mai avuto un problema” non vale per nessuno! Chi deve dichiarare la propria competenza in modo così assurdo dovrebbe essere cacciato a calci nel sedere. Eppure, ogni giorno, andando a vedere i disastri che sono stati fatti sulle coperture impermeabilizzate, sento dire le stesse cose. Ma non solo una volta. Molte e molte e molte altre ancora; e sempre dalle stesse persone.

Ma cosa c’è di così strano da dover pensare che le impermeabilizzazioni siano una cosa seria?

Perché non si riesce a vedere la professionalità in chi vi assiste? Questa non ha bisogno di prove curricolari, gli basta la semplice presenza in cantiere. Avete mai visto Renzo Piano andare in cantiere e dire “sono 40 anni che faccio così e non ho mai avuto un problema?”. Ma sul serio ci credete ancora?

Beh, sapete cosa vi dico: Cristo è morto dal freddo, che ci crediate o meno, più o meno in quel periodo, più o meno da quelle parti faceva freddo e lui era più o meno nudo. Sulla croce non c’è mai salito (perché faceva più o meno freddo) ed è rimasto come un barbone a dormire su una panchina alla stazione terminal di Gerusalemme coperto dai cartoni di Amazon.

Vi piace così la storia? Perché è questo che continuate a fare, cari committenti. E’ così che voi credete ad ogni panzana che vi viene propinata, basta che si aggiunga la frase “sono 40 anni che faccio così e non ho mai avuto un problema”.

Un professionista affermato, un professionista serio non ha tempo da perdere nel continuare, una, cento, mille volte a difendere la propria competenza. Un professionista serio vi dà la soluzione, vi dice come metterla in pratica e vi segue… ah, e vi chiede anche una parcella salata! Perché sapete, non tutti vivono d’aria e studiare costa fatica, tempo e denaro.

Ad aggiungere peso a queste mie parole ci sono coloro che pretendono il riconoscimento della propria professionalità nel proprio campo ma non si sognano minimamente di darla agli altri. Beh, cari signori, mi spiace essere così duro ma non mi lasciate alcun appiglio: o Cristo è morto dal freddo o voi dovete smetterla di comportarvi come persone di poco intelletto e cominciare a capire che i miracoli non esistono.

Mi ripeto e non mi spiace per questo: le impermeabilizzazioni sono una cosa seria. Se poi non vedete i calcoli estremi che gli ingegneri fanno per le strutture, se non vedete i fantasmagorici disegni che gli architetti fanno per i loro progetti o i dettagli incredibili che vengono sfornati da studi tecnici con scale 1:100 è perché non avete mai chiamato un tecnico serio. Uno specialista nelle impermeabilizzazioni vi disegna il dettaglio di ciò che deve essere impermeabilizzato. Non essendovi una normativa uniformata sull’argomento, non esiste una procedura univoca. C’è chi li disegna in scala, c’è chi li fa in 3D, che chi (come il sottoscritto) non li fa in scala per evidenziale la parte della stratigrafia impermeabile in mezzo a stratigrafie complesse. In ogni caso, i dettagli applicativi devono essere prodotti se volete che la copertura venga impermeabilizzata correttamente.

Quindi, vi prego, basta con la carta catramata, basta con il prAimer (si scrive primer), basta con i materiali che con una passata fanno il miracolo, basta con l’approssimazione.

Ricordate, anche se non vi sembra, la copertura che vi difende dall’esterno e dagli agenti atmosferici, difende anche la struttura dentro la quale state e se non la impermeabilizzate correttamente, prima o poi vi cadrà sulla testa. E se vi viene da dire “ma tanto cosa vuoi che succeda, chissà quanti anni ci vorranno”, chiedetelo ai parenti delle vittime di Ponte Morandi (già…. l’acqua è veicolo di degrado, di carbonatazione, è solvente per i sali che corrodono i ferri di armatura, è degradante primario quando si congela, etc.).

L’acqua è vita ma è anche morte. Sta a noi decidere come si dovrà comportare. Basta scuse e basta continuare a buttare via soldi in soluzioni inutili. Piuttosto che fare un pessimo lavoro, non fate nulla, perlomeno avrete risparmiato soldi.

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

La Pulizia come preparazione del supporto da impermeabilizzare

Come ben sappiamo la preparazione del supporto è un momento fondamentale nella realizzazione di un sistema impermeabile che possa durare nel tempo al pari dello strato di protezione meccanica finale.

Troppo spesso viene ignorato che una delle preparazioni del supporto è la pulizia delle superfici, perché, in base al tipo di materiale utilizzato ed al supporto preparato, la presenza di componenti estranei potrebbe creare difficoltà sia nella posa sia nella successiva manutenzione.

Ad esempio: se trovassi tracce di olio minerale su un supporto in cemento e lo impermeabilizzo con una guaina bituminosa, non avrò molti problemi, ma se devo utilizzare un prodotto liquido, allora mi troverò di fronte ad un guaio piuttosto serio, quell’olio fungerà da distaccante per il manto impermeabile causando debolezza all’intero sistema.

Fin quando si tratta di una macchia i problemi sono pochi, il danno creato è limitato, ma quando lo sporco è diffuso? In questo caso dobbiamo per forza utilizzare un sistema di pulizia, esattamente come se trovassimo le superfici inquinate da efflorescenze di varia natura. Se non puliamo non potremo avere un sistema impermeabile che duri più di pochi giorni (in modo particolare con i sistemi non bituminosi).

Vediamo quindi quali sono le indicazioni che vengono normalmente dettate dai produttori. Le immagini che seguono sono tratte dalle schede tecniche di produttori di materiali liquidi per impermeabilizzazioni, noterete come diano prescrizioni generiche. L’unica cosa su cui sono sempre d’accordo è che il supporto deve essere perfettamente pulito, ogni altra indicazione sulle metodologie deve essere data da chi produce i detergenti.

Immagine 1

Nella prima immagine la richiesta è quella di lavare il supporto da impermeabilizzare con Soda Caustica e risciacquare abbondantemente.

L’argomento soda caustica lo tratteremo in seguito, per ora poniamo l’accento solo sulla richiesta del risciacquo dove si vuole ottenere la totale eliminazione di qualsiasi residuo di soda caustica.

Immagine 2

Nella seconda, oltre alla mancanza di tracce di sporco, viene consigliato di eseguire un lavaggio con detergenti specifici e acqua in pressione. In questo caso viene prescritto anche l’uso di macchinari specifici, si richiede l’uso di un’idropulitrice, e successivamente di rimuovere ogni residuo di acqua di lavaggio.

Immagine 3

Nel caso della terza immagine il produttore specifica, come gli altri, che le superfici debbano essere sgrassate e, visto che lo vende, inserisce anche il nome di un prodotto. Interessante il fatto che l’alternativa a quel prodotto sia un’abrasione meccanica ed una pulizia con “apposito aspiratore industriale” ma non definisce cosa sia questo aspiratore “industriale”.

Immagine 4

La quarta ed ultima immagine (sono solo una piccola selezione di tutte le raccomandazioni che potreste trovare sul mercato) specifica che la pulizia deve essere fatta mediante idrolavaggio, idrosabbiatura o leggera bocciardatura indicando tre sistemi molto diversi tra loro.

Per capire cosa si intenda per pulizia, è il caso di dare alcune definizioni di processo: la parola lavaggio non ha sempre lo stesso significato nei diversi settori in cui si lavora. Per questo motivo, di seguito inseriamo un piccolo elenco di operazioni e a cosa servono, oltre a quali attrezzature sono necessarie per eseguirle:

  • Spazzatura: si tratta di togliere tutto ciò che si può rimuovere con mezzi manuali (scopa, spazzoloni, etc.) in modo sommario, di solito si tratta di residui grossolani e sabbie;
  • Depolveratura: è un approfondimento della spazzatura, dove oltre ai residui grossolani, bisogna rimuovere totalmente anche la polvere e gli elementi sfarinati. Per questa operazione si possono usare due strumenti: l’idropulitrice o l’aspirapolvere;
  • Lavaggio: lo scopo non è togliere ciò che è appoggiato sul supporto ma ciò che si è ancorato al supporto; lo si può eseguire a secco o ad acqua e spesso riguarda l’asportazione di macchie di elementi minerali (cemento), di grassi (minerali o organici), rivestimenti sottili (macchie di vernice, etc.);
  • Levigatura: si tratta di rimuovere meccanicamente uno strato molto sottile di supporto ed in base all’abrasivo che si usa si può ottenere una superficie più o meno scabrosa. Si possono usare sia sabbiatrici, sia pallinatrici, sia monospazzole, sia spazzole abrasive. In questo genere di pulizia spesso si rimuovono anche le parti incoerenti del supporto o le parti ossidate dei metalli.
  • Asportazione strato corticale: richiede un’approfondita lavorazione sul supporto, dove viene richiesto non di lavare ma di asportare uno strato con uno spessore dichiarato del supporto. Normalmente lo si usa per la rimozione di vecchi trattamenti che non sono diluibili con acqua e/o altri solventi. Si usano le bocciardatrici, mole di vario genere, spazzole abrasive in acciaio di spessori diversi.

Dopo aver letto queste definizioni vi chiederei se adesso avete capito come operare secondo le indicazioni dei produttori come quelle riportate sopra. La risposta, immagino, è che se prima c’era confusione adesso è aumentata.

I detergenti

Parliamo allora di detergenti, chiedo scusa se useremo dei termini impropri ma lo scopo è quello di spiegare come eseguire una pulizia e non fare una lezione di chimica.

I detergenti sono dei prodotti chimici che hanno lo scopo di rimuovere chimicamente le sostanze ancorate chimicamente o meccanicamente su un supporto. Senza entrare nella loro composizione, li divideremo arbitrariamente in due categorie: acidi e basi, in base al loro pH.

Gli acidi servono principalmente a rimuovere elementi minerali come il cemento, la calce e tutti i prodotti da essi derivati; le basi, invece, si usano come sgrassanti e secondo la loro formulazione sono più adatte ai grassi minerali (olio motore) o quelli alimentari (olio, strutto, burro, etc.). A differenziarsi da questi ci sono i solventi e i prodotti alcolici che però hanno degli utilizzi specifici ben dichiarati.

La prima cosa che dobbiamo individuare è la concentrazione del nostro prodotto detergente. Per sua natura è sempre diluito con l’acqua (salvo i solventi ed i prodotti alcolici) ed è proprio la sua quantità che ne determina l’efficacia, la modalità d’uso ed il costo del prodotto.

La seconda è leggere attentamente sia la scheda tecnica, sia quella di sicurezza. I detergenti, specie quelli più aggressivi, sono sempre pericolosi ed è necessario proteggersi adeguatamente prima di utilizzarli, come vanno protette le superfici da non trattare.

Nella scheda tecnica, inoltre, scopriamo esattamente come usarlo, come diluirlo per l’uso, a che temperatura deve essere l’acqua di diluizione, quali temperature d’esercizio sono necessarie per il loro funzionamento corretto.

Le attrezzature

I problemi veri e propri iniziano quando dobbiamo decidere che tipo di lavaggio fare perché si sciolgano i grassi (ricordiamo che l’inquinamento porta a depositarsi grassi sulle superfici) e si possano anche pulire i residui cementizi. Per ovvi motivi non faremo due lavaggi distinti con due detergenti diversi, e scordatevi di pensare che esistano prodotti che possano funzionare perfettamente in ambo le situazioni. Semplicemente adotteremo delle attrezzature che ci permetteranno di sciogliere la parte grassa ed abradere quella minerale. Per farlo ci sono diverse tecniche e attrezzature. Vediamo le principali.

La più semplice e sempre praticissima è la spugna abrasiva.

Oggi la troviamo con un supporto plastico con il quale si può scegliere l’abrasivo che più si adatta alle nostre esigenze da applicare. Si trovano nei magazzini edili o nelle ferramenta, sono molto pratiche per esercitare forti pressioni puntuali. Forti perché il braccio di un operatore edile riesce a scaricare a terra svariati KN, cosa che nessuna macchina potrà fare su un punto specifico.

Bella, facile ma da usarsi per piccolissime superfici o per punti delicati come gli angoli dei pavimenti.

Non provate ad usarla per fare più di un metro quadrato, il lavoro verrebbe fatto male, approssimativo e vi stanchereste oltre modo.

Per le operazioni di piccola media dimensione esiste la monospazzola, con la quale si può usare la stessa tipologia di abrasivo che useremmo con il supporto plastico. Di particolare utilità, per determinati tipi di pavimentazione, vi è la possibilità di usare una spazzola che può essere sintetica, naturale o metallica.

Con alcuni modelli esistono accessori che sono formati da spazzole in cui filamenti sono dei tondini del 6. (l’ho usata, vi posso garantire che è pesante e la schiena ne subisce gli effetti negativi se non si sa usare).

Se le superfici sono enormi, immaginatevi i capannoni da trattare con resine, è il caso di adoperare delle vere e proprie vetture. Si tratta di lavasciuga o lava-asciuga.

Sono macchine che combinano l’abrasione con l’aspirazione lasciando il pavimento perfettamente asciutto, pronto per i trattamenti (beh, quasi perfettamente asciutto, un po’ bisogna aspettare).

Se escludiamo l’uso di questa macchina, dobbiamo sempre ricorrere ad un altro strumento: l’aspiraliquidi. Si tratta di un aspiratore capace di inglobare liquidi.

In base alla soluzione detergente usata, dovete avere l’accortezza di avere un aspiraliquidi che sia in grado di sopportarla. Ad esempio non ne useremo mai uno metallico se operiamo con acidi molto forti, mentre va benissimo nel caso della soda caustica.

Vediamo quali sono le corrette procedure per eseguire le due tipologie più comuni di pulizia, a mano e con monospazzola: queste coprono circa il 70/80% delle casistiche che vi troverete ad affrontare.

Lavaggio a mano

Come detto viene fatto per piccolissime aree: si può trattare di angoli di pavimenti o cimose di teli sintetici da pulire prima della saldatura. Per eseguirla correttamente è necessario avere un secchio con la soluzione detergente, già preparata perfettamente, ed un secchio con acqua pulita per il lavaggio della spugna/spazzola, tra uno strofinamento e l’altro.

Il pericolo maggiore che si corre con questo metodo di lavaggio è quello di spostare lo sporco da un punto ad un altro o di non eseguire un risciacquo accurato lasciando una patina continua di sporco o di detergente. Ciò potrebbe portare a distacchi del manto in un immediato futuro.

Lavaggio a macchina

Se usiamo un macchinario, invece, il pericolo è quello di non riuscire ad approfondire il lavaggio.

Useremo quindi la tecnica dell’ammollo.

Esattamente come faceva la nonna con le lenzuola bianche, si mette il supporto a bagno. Si stende la soluzione di acqua e detergente e la si lascia agire. Prima che si asciughi, si passa la monospazzola diluendo leggermente la soluzione a terra con acqua. Successivamente, con buona lena ed organizzazione, la soluzione a terra, che a questo punto contiene anche lo sporco, deve essere aspirata velocemente.

Punti particolari

Come avete visto prima, le macchine possono essere usate con abrasivi, spazzole, fino a veri e propri ferri d’armatura, ma la scelta dipende da cosa vogliamo pulire e perché. Uno dei punti critici è, nelle pavimentazioni piastrellate, la fugatura sporca di grasso. In questo caso non possiamo lavorare manualmente perché non servirebbe a nulla abradere uno sporco penetrato all’interno dello stucco, non è superficiale. Allo stesso tempo non possiamo lasciarlo lì perché potrebbe staccare il nostro manto fatto con un impermeabilizzante liquido. Useremo una spazzola realizzata con ferri sottilissimi (filamenti) ed un detergente fortemente sgrassante. Con la monospazzola, il detergente ed il successivo aspiraliquidi saremo in grado di pulire anche queste zone in modo accurato.

Un altro punto particolare che non viene mai preso in considerazione è l’angolo che si forma tra i muri. Tutte le macchine hanno problemi ad arrivarci in quanto o utilizzano dei dischi, che notoriamente sono tondi, o diventa pericoloso arrivarci con acqua a pressione. Per pulirli si può ricorrere ad operazioni manuali, se sono pochi, altrimenti dovremo adottare delle apparecchiature puntuali che ci permettano di lavorare bene ed in sicurezza in queste zone di differenza geometrica.

La soda caustica

E’ una questione da non sottovalutare. La soda caustica è un potente sgrassante e depolimerizzante, tanto che si usa all’interno dei detergenti per i forni, è in grado di sciogliere il grasso bruciato uno dei più difficili da pulire. Però è pericolosissima, non possiamo sottovalutare il rischio per l’operatore e per tutto quello che toccherà durante le lavorazioni. Inoltre è molto difficile da sciacquare e, in fase di asciugatura, facilmente ne rimarrà aderente alle superfici dove si appoggia rischiando di creare danni anche in futuro sia alle cose sia alle persone (ricordiamo che è fortemente corrosiva per tutto ciò che è organico).

Se possibile è sempre meglio evitare prodotti quali la soda caustica, l’acido cloridrico e l’acido solforico.

Esistono dei preparati, che hanno le giuste caratteristiche, studiati per svolgere il lavoro che vi serve e, per rintracciarli, dovete uscire dal vostro settore ed entrare in quello delle pulizie. In questo mondo i rappresentanti sono anche i rivenditori (sono quasi tutti agenti con deposito) e possono dare le giuste risposte alle vostre esigenze.

Il risciacquo

Che voi usiate un detergente o un altro cambia poco, è necessario che venga perfettamente risciacquata la superficie da trattare. Per farlo si deve operare con la stessa strumentazione che si è usata per il lavaggio ma cambiando la parte abrasiva (se era presente), utilizzandone una nuova o perfettamente pulita. Il risultato da ottenere è la totale eliminazione di ogni traccia di sporco e di detergente.

Se si usa acqua ad alta pressione è piuttosto facile, si fa una seconda passata senza l’aggiunta di detergente nell’idropulitrice e si ottiene il risciacquo (attenzione che il getto di acqua non generi ristagni o controflussi); se si usano le monospazzole, invece, è necessario ripassare con la stessa ma cambiando il disco abrasivo ed utilizzandone uno nuovo; stessa cosa se si fa a mano.

Dal momento che il risultato si ottiene con abbondante spargimento di acqua, si consiglia di operare sempre in due: uno che distribuisce acqua pulita (il più puro possibile) e l’altro che, con stivali in gomma, ripassa completamente tutte le superfici. Questa tecnica si usa anche con le lavasciuga, perché l’aspirazione potrebbe non aver asportato tutto il residuo di detergente.

Per il risciacquo a mano, consiglio di utilizzare acqua distillata o demineralizzata. Questa ci velocizzerà le operazioni di sciacquatura e ci darà la certezza della pulizia desiderata. Prima che diciate che lanciamo proposte impossibili da utilizzare, vi ricordiamo che potete raccogliere la condensa dei condizionatori ed avrete un’acqua molto pura e gratuita.

Se le procedure così descritte vi sembrano eccessive, ricordate che chi fa pulizie professionali le usa quotidianamente, soprattutto se devono fare trattamenti ai pavimenti (cere, resine epossidiche, PMMA, poliuretaniche, etc.).

Si tratta solo di entrare in un’ottica diversa ma non lontana dal lavoro che ognuno fa: accuratezza e cura dei dettagli in ogni operazione.

Speriamo di avervi chiarito qualche idea e di avervi fatto capire che la pulizia del supporto non può essere considerata una mera operazione opzionale ma è qualche cosa di estremamente importante.

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

La scelta – i documenti

Gli ultimi periodi sono stati abbastanza convulsi, tra problemi lavorativi e personali, e non sono riuscito a scrivere molto sul blog, mi dispiace. Nonostante questo, mi continuano ad arrivare richieste nella trattazione di temi importanti, che spesso, se decontestualizzati, vanno bene per tutto il mondo dell’edilizia e non solo per quello delle impermeabilizzazioni.

Quello che tratto in questo articolo riguarda la scelta dei materiali; non si tratta di una disamina di una tecnologia piuttosto che di un’altra, sapete benissimo che io non mi lego a prodotti o marche, ma di come arrivare alla consapevolezza che effettivamente il materiale scelto (o i materiali scelti) sia quello perfetto per le nostre esigenze.

Infatti la cosa più difficile da fare è sempre scegliere. In qualsiasi cosa facciamo dobbiamo porci delle domande che porteranno conseguentemente a risposte che ci permetteranno di fare scelte.

COME FACCIAMO LE SCELTE

Spesso se non siamo preparati chiamiamo l’amico, il collega; più raramente chiediamo a qualcuno con cui abbiamo avuto a che fare in passato ma che riteniamo competente; se si tratta di lavoro, prima cerchiamo tra le nostre amicizie su Facebook o, se siamo veramente professionali, su LinkedIn e poniamo il quesito sperando che ci diano una risposta seria, professionale ma soprattutto gratuita.

Insomma, il problema della scelta è un labirinto di Cnosso dentro il quale dobbiamo orientarci ed evitare di incontrare il minotauro. Per questo siamo sempre più propensi ad affidarci ai blog (anche voi lo state facendo in questo momento) di influencer (non il sottoscritto che ha solo 15 lettori) che riteniamo… o meglio che altri ritengono essere il più tosto che ci sia nel settore.

Non importa che età ha (e di questo ve ne rendo merito) ma non importa neanche quale sia il suo curriculum, i suoi studi, le sue attività; l’importante è che abbia almeno 5 stelle nelle recensioni, perché noi oramai viviamo di recensioni e il nostro giudizio critico è affidato agli altri.

Eppure esiste un altro modo per scegliere: studiare!

Lo so, avete ragione, non è possibile studiare ogni cosa, sapere tutto e saperlo subito! Eppure è fondamentale, soprattutto se di quelle scelte sarete poi i responsabili.

Se restringiamo il campo ai soliti progettisti o applicatori o imprese, chiederemo a chi siamo sicuri che la materia la conosca: il rappresentante! (oggi vengono chiamati anche tecnici commerciali o in altri coloriti modi ma sempre venditori sono). Nulla di male, chi vi scrive l’ha fatto per svariati anni. Eppure il rappresentante ha dei fortissimi limiti: gli ordini aziendali ed il proprio listino.

Quando decidiamo di fare un lavoro dobbiamo documentarci e studiare

Quando decidiamo di fare un lavoro dobbiamo documentarci e studiare ciò che ci viene messo a disposizione per poterlo eseguire: in primis, è vero, chiamiamo i rappresentanti di una determinata tecnologia e facciamoci consigliare i prodotti idonei (se non li conosciamo già) e facciamoci dare la documentazione a riguardo; secondo, prendiamo la documentazione e la studiamo attentamente, cercando di trovare il prodotto, o i prodotti, che meglio si integrano nella struttura che stiamo costruendo e che meglio si adattano agli sforzi che dovranno sopportare. Tutto questo perché finalmente si possa avere un lavoro a regola d’arte.

Ah, dimenticavo: leggete anche i blog di quelli veramente competenti (ci sono, basta cercarli) e imparate da questi; se poi dovete contattarli, ricordatevi che per loro questo è il lavoro, quindi evitate di chiedere consigli gratuiti, soprattutto se poi voi ci guadagnate su quel consiglio.

Ok, abbiamo capito quale potrebbe essere la procedura decisionale: non il vil denaro ma le caratteristiche tecniche del prodotto!

I DOCUMENTI NECESSARI

A questo punto dove troviamo i dati necessari per capire quale sia questo benedetto prodotto: beh, i produttori sono obbligati a creare tre documenti che devono mettervi a disposizione: DEVONO! Alcuni verranno consegnati su richiesta, altri devono assolutamente seguire il prodotto.

LA SCHEDA TECNICA (o ST detta anche Technical Sheet – TS)

LA SCHEDA DI SICUREZZA (Safety Data Sheet … questa volta l’acronimo inglese ed italiano è lo stesso)

LA DICHIARAZIONE DI PRESTAZIONE (DdP detta anche Declaration of Performance – DoP)

Si tratta di tre documenti che sono obbligatori per legge; non una norma volontaria (volgarmente detta UNI) ma in forza di Decreti Legge, Leggi, o Decreti Legislativi e che nascono per rispondere a direttive o regolamenti europei che si sono modificati nel tempo.

LA SCHEDA TECNICA

Si tratta di un documento che potremmo trovare diviso in due parti, una sul prodotto in veste di etichetta ed una cartacea; le aziende produttrici sono solite mettere in etichetta i dati necessari e di creare delle schede cartacee più complete; la normativa di riferimento su questo documento è il “Codice al Consumo” – D.Lgs. 206/2005 e ss.mm.

Questa scheda deve contenere i dati fondamentali del prodotto, tra cui il nome del produttore (o rivenditore), la sua sede ed il contatto tecnico per chiedere le informazioni necessarie; allo stesso tempo deve contenere tutte le prescrizioni per la posa corretta del prodotto e l’etichettatura di pericolo.

Quindi se trovate una scheda tecnica che non prevede le istruzioni di posa, diffidate o del prodotto o dell’azienda che lo vende.

La cosa particolare che troviamo spesso in queste schede è la dicitura finale identificata come “Note legali”: i dati forniti in questa scheda sono forniti in base all’esperienza … bla bla bla… e nessuno garanzia è data!

Se da una parte siamo d’accordo (ne ho già scritto svariate volte), perché il produttore non può essere responsabile di come l’acquirente lo usa – per intenderci se compriamo un sacco di cemento e lo tiriamo in testa ad una persona, il produttore nulla c’entra – dall’altro non è vero! La normativa prevede chiaramente che il produttore debba spiegare le metodologie d’uso in particolare “… istruzioni, precauzione e destinazione d’uso ove utili ai fini della fruizione e sicurezza del prodotto.” Mi sembra che sia molto chiara, il produttore mi deve dire come utilizzare il suo prodotto … e chi altri potrebbe dirmelo?

La questione che si pone non è tanto sulle istruzioni, che i produttori più seri o avveduti danno, ma circa l’incompatibilità con altri materiali o applicazioni. Sappiamo benissimo che ci sono prodotti che vengono proposti per qualsiasi tipo di applicazione, anche senza che questa abbia un senso… poi, con la dicitura finale della scheda tecnica, il produttore si lava le mani pilatamente.

LA SCHEDA DI SICUREZZA

Si tratta del più antico documento obbligatorio in Europa; nasce con la Direttiva 27/06/1967 n° 548, recepita con D. Lgs. 52/97 (sì, ci abbiamo messo solo trent’anni a recepirla, mi ricordo il momento in cui avvenne); questa Direttiva è stata poi modificata nel tempo con la DIR. 99/45/CE, poi il REG. 1272/2009/UE e con il REG. 453/2010/UE. In particolare vi consiglio di leggere l’articolo 14 nel quale viene spiegata nel dettaglio la scheda di sicurezza.

Si tratta di un documento fornito per la sicurezza degli operatori: vi sono compresi la composizione chimica del prodotto (salvo non sia provata la necessità di difesa di proprietà intellettuale), le frasi di rischio e sicurezza (le R e le S), le informazioni di primo soccorso, di stoccaggio, cosa fare in caso di diffusione nell’ambiente e tante altre utilissime informazioni.

Quelle che maggiormente ci interessano sono le informazioni riguardanti la composizione chimica ed i valori fisici (peso specifico, etc.). Da questi dati possiamo assolutamente valutare l’adeguatezza del prodotto e la corrispondenza della Scheda Tecnica alla realtà.

Inoltre nella SDS troviamo anche i riferimenti del centro antiveleni nei quali reperire tutte le informazioni in caso di ingestione del prodotto. Per questo motivo, questa scheda deve sempre seguire il malato in caso d’intervento al pronto soccorso, e quindi essere presente in cantiere.

Piccola nota per i responsabili della Sicurezza di Cantiere: io non ho mai visto un cantiere con una raccolta delle SDS, a mio parere è un’ovvia mancanza di quanto richiesto per la salvaguardia della salute sul posto di lavoro: questa contiene tutte le informazioni per valutare non solo la qualità del prodotto (analisi indiretta sui dati) ma anche la pericolosità degli stessi e per quale motivo sono pericolosi. Non affidiamoci solo alle etichette dei prodotti perché i sacchi, secchi e confezioni varie sono troppo spesso danneggiate.

DICHIARAZIONE DI PRESTAZIONE

Recentemente introdotta con il D. Lgs. 106/2017, a recepimento del REG 305/2017/UE che sostituisce la vecchia direttiva sui materiali da costruzione che aveva introdotto il marchio CE.

In particolare, per quanto ci riguarda, possiamo riassumerla in due punti cardine:

  1. vi è responsabilità del produttore sulla rispondenza del prodotto ai dati scritti e
  2. bisogna dare una descrizione in base alla “caratteristiche essenziali del prodotto”.

Il primo punto ci dichiara che se il prodotto non corrisponde al DoP allora chi deve pagare è il produttore (ma chi lo deve dimostrare è chi promuove la causa) perché il prodotto deve essere descritto, secondo punto, nelle sue caratteristiche essenziali nel documento.

Questo cosa vuol dire? Che il prodotto viene raccontato per punti essenziali (attenzione, solo quelli essenziali) e per numeri essenziali. Attenzione, questa parola, “essenziale”, è una ripetizione voluta; non si tratta di scrivere ciò che per noi è importante ma ciò che è il cuore del prodotto; spesso i dati che vogliamo dobbiamo cercarli da altri parti; inoltre non siamo noi a decidere ciò che è “essenziale” ma i produttori e non sempre c’è visione comune su questo.

Questo documento, unito agli altri due, deve dare un quadro esplicativo molto chiaro e capace di permetterci di capire a fondo il prodotto.

Ma quando ci sono dei problemi di compatibilità tra i dati? Beh, dobbiamo dare retta ai documenti in ordine inverso all’elenco qui proposto, quindi prima il DoP, poi la SDS e poi, per ultima, la ST.

Perché questo? Perché noi principalmente cerchiamo dati tecnici, che sono descritti nel DoP, e poi secondariamente quelli relativi alla sicurezza.

Il punto è che la Scheda Tecnica, il documento più usato nelle scelte, è quello nel quale è permesso raccontare balle! Non cose estreme ma le cosiddette “Verità Commerciali”, ossia il modo che hanno i venditori di imbonire l’acquirente perché acquisti il loro prodotto.

Alla fine di questo racconto quale insegnamento possiamo trarne?

Va bene rivolgersi alle conoscenze, va bene studiare su internet, va benissimo chiedere consiglio ai colleghi sui gruppi di Facebook, ma siamo noi e solo noi i responsabili delle nostre scelte, dobbiamo essere sicuri di quanto prescriviamo o proponiamo e l’unico modo è studiare; chi propone una tecnologia o un prodotto è responsabile per la scelta. Se ci viene proposta commercialmente, fate in modo che vi sia traccia scritta del consiglio, se vi viene imposta e la ritenete scorretta, ponete le vostre rimostranze per iscritto; in ogni caso, per la giurisprudenza il responsabile principale è sempre il posatore (indipendentemente da chi ha proposto il materiale o la tecnologia) ed in seconda battuta i professionisti. Quasi mai la committenza. Per questo motivo evitate che possano mettere bocca nelle vostre scelte; allo stesso tempo facciamo in modo che ognuno svolga il proprio compito senza che vi siano interferenze. In particolare mi rivolgo ai posatori o alle imprese: se scegliete, automaticamente progettate, state molto attenti a ciò che proponete e non abbiate paura di fare commenti scritti su quanto progettato; se non lo fate, automaticamente lo accettate e ve ne prendete la responsabilità.

Per concludere vi lascio con una riflessione: diffidate di quelli che “è il miglior prodotto del mondo” o “non ha mai fallito” … <<Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, in errore perseverare>> – Qualsiasi uomo può cadere in errore, solo l’insipiente persevera in essa. (Cicerone – Filippiche XII 2, 5)

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

La guaina bituminosa, questa bistrattata (e sconosciuta?)

La guaina bituminosa, questa bistrattata (e sconosciuta?)

 

Quante volte avete sentito dire: <<ma non si preoccupi, noi usiamo altre tecnologie, mica la carta catramata, quella è vecchia e non funziona>>.

Si sente sempre più spesso. E’ vero? Ci sono davvero sistemi miracolosi? Davvero non è possibile avere un tetto che non perde con la cara e vecchia guaina?

 

Per prima cosa spieghiamo una regola vitale: non esiste un materiale panacea che va bene ovunque. Ci sono solo situazioni che vanno studiate. La cosa migliore è trovare qualcuno che sia in grado di discernere tra un materiale e l’altro. Se avrete la pazienza di leggere vi spiegherò quali sono i piccoli segreti dei materiali che comporranno il Sistema Impermeabile della vostra copertura, qualunque essa sia.

 

E’ vero che la guaina non funziona?

 

La risposta è NO! La guaina bituminosa funziona benissimo! Prima che vi dicano che non ci sono prove di quanto duri questo sistema di creare impermeabilizzazioni o che la guaina bituminosa faccia marcire il legno, sappiate che i testi più antichi spiegano come usare la pece di bitume per impermeabilizzare navi e tetti; tra questi vi è la Bibbia. Penso che una referenza migliore non possa esistere! Se poi siete tra coloro che non la considerano un libro degno di nota, ci sono le tavolette di argilla babilonesi che spiegano come realizzare i giardini pensili dell’antica Babilonia.

Insomma, il bitume è il più antico materiale usato per impermeabilizzare le strutture. Perché?

 

Perché il bitume funziona bene?

 

Il bitume è un materiale che ha vari punti a suo favore: innanzitutto è il rifiuto della raffinazione del petrolio; è l’ultima frazione che si ottiene dopo aver tolto tutto quanto possiamo togliere dal petrolio per gli usi più interessanti. E’ un modo per riciclare un materiale che altrimenti verrebbe buttato in chissà quali modi.

Il bitume è un materiale che cambia il suo comportamento in base alle temperature: quando fa molto caldo ha un comportamento particolarmente plastico, quando fa molto freddo è particolarmente elastico. Quindi quando lo scaldiamo lo possiamo modellare come ci pare (ma serve il fuoco), facendo sì che mantenga la forma data, e quando si raffredda tende a tornare sempre alla forma che gli è stata data.

Attenzione, tende…… non è sempre così ma se ci ricordiamo di progettare molto bene sia i dettagli sia la posa di questo materiale, possiamo dire che problemi non ce ne saranno.

Grazie a questa sua caratteristica, il bitume è prefabbricabile nelle forme più incredibili e che possono esserci utili! La più comune è quella del rotolo che viene scaldato con il fuoco sul tetto. Questo rotolo non è fatto solo di bitume (è l’ingrediente principale) ma contiene additivi che rendono il bitume più o meno reattivo, più o meno plastico, etc.; soprattutto possiamo dargli un rinforzo con caratteristiche di resistenza meccanica incredibile: l’armatura!

 

Esistono i sistemi miracolosi?

 

“Allora se queste caratteristiche sono così interessanti, perché ci sono persone che dicono che non funzionano?”

Mi spiace dirlo ma il motivo è che devono vendere il loro sistema, quello per cui hanno investito migliaia di Euro, e questo non è di tipo bituminoso.

Purtroppo non venendo scelto il sistema impermeabile da un progettista specializzato, spesso ci dobbiamo fidare di qualcuno che ha interesse ad usare solo quello che è il prodotto o la tecnologia posseduta.

Ogni tecnologia ha un suo indirizzo di utilizzo specifico; possono sovrapporsi ma ognuno ha le sue indicazioni di posa che vanno seguite rigorosamente. Tra queste vi è l’umidità del supporto che quasi mai viene rilevata prima della posa.

Come abbiamo detto non esiste un sistema panacea ed altrettanto non esiste un’azienda che è in grado di usare tutte le tecnologie! NON ESISTE! Inutile che il personaggio che avete di fronte si spertichi in spiegazioni di corsi fatti, si seminari seguiti, di anni e anni di test… semplicemente non è vero!

Ci sono applicatori che governano più sistemi. Tutti? Nessuno! Semplicemente perché è impossibile!

Quello che possiamo trovare è qualcuno che ci spieghi perché usare una tecnologia piuttosto che un’altra e sia in grado di progettare un sistema impermeabile che possa garantire la sua funzionalità nel tempo.

 

Quindi possiamo creare un sistema a tenuta con la guaina bituminosa?

 

Certamente! Ricordo che il sistema bituminoso è il più antico che abbiamo a disposizione! Se ha funzionato per circa 5000 anni, non vedo perché non dovrebbe funzionare oggi!

Di cosa abbiamo bisogno perché funzioni?

Senza entrare nel dettaglio tecnico (che è noioso, lasciatelo a noi) possiamo dire che per usare la guaina dobbiamo avere alcuni requisiti: un supporto liscio, asciutto, pulito e solido; una pendenza minima dell’1% (sapete, sono le stesse caratteristiche richiesta da qualsiasi materiale per impermeabilizzazione); un progetto che spieghi come usare la guaina e la scelga (anche questo vale per gli altri materiali); un prodotto realizzato con molto bitume, una buona armatura e dei polimeri di ottima qualità (anche questo vale per gli altri materiali); un applicatore che sappia leggere un dettaglio e lo sappia realizzare (anche questo vale per gli altri materiali).

Tutto questo non è difficile da trovare, soprattutto se il committente pretenda che quanto scritto nel progetto venga realizzato pedissequamente.

 

Come possiamo conoscere il buon posatore o il buon tecnico?

 

Lo scrissi già in un altro articolo: con la domanda più fastidiosa del mondo, <<Perché?>>.

Chi vi propone una tecnologia, un sistema, un dettaglio applicativo, una metodologia di posa, deve sapervi anche spiegare perché e deve spiegarvi il perché di tutto quanto sostiene a favore della sua tecnologia contro le altre.

Se poi non vi fidate del vostro giudizio, perché in fondo voi fate un altro mestiere, potete affidarvi ad uno dei pochissimi studi tecnici che ha le impermeabilizzazioni nel DNA.

Come trovarli?

Semplicemente controllate chi ha la parola IMPERMEABILIZZAZIONE nell’oggetto sociale e avete fatto tombola!

L’iper specializzazione nel mondo dell’edilizia è e deve essere il futuro! La consulenza specializzata è fondamentale per non dover rifare i lavori tante volte con perdite di tempo, costi ignoti, spese legali, etc.

 

Basta fare i lavori per essere a posto?

 

E con questo vi devo dare una brutta notizia: non esiste alcuna struttura che dura in eterno. Cosa vuol dire? Semplicemente che se non poniamo una piccola attenzione periodica al nostro coperto impermeabilizzato, prima o poi questo si rovinerà e ricomincerà a perdere. Dobbiamo fare manutenzione.

Per sistemare le cose basta avere un piano di manutenzione. Non è necessario avere una cosa estremamente tecnica e puntualizzata (se poi lo volete noi siamo qui per questo), a volte basta semplicemente mantenere pulita la copertura!

La pioggia aiuta molto ma bisogna ricordarsi di pulire i fori degli scarichi almeno un paio di volte l’anno (se abitate in un bosco di conifere molto più spesso), bisognerebbe non lasciare residui sulla copertura quando vengono fatti lavori, basterebbe controllare se nei punti nevralgici si sono create delle criticità. Se trovate problemi, chiamate il vostro applicatore di fiducia e fategli sistemare il problema! Spenderete meno e avrete un sistema impermeabile longevo e funzionante e smetterete di avere problemi ogni 10 anni!

 

Come fare per avere un buon lavoro?

 

Per avere tutte le informazioni necessarie ad avere un buon lavoro sul vostro tetto, dovete rivolgervi a chi fa di mestiere le scelte tecniche. Sembrerà di parte ma non sono vostri interlocutori iniziali gli impermeabilizzatori o i venditori. I primi sono quelli che potrebbero realizzare il lavoro progettato ed i secondi sono coloro che collaborano con i progettisti specializzati per dagli gli strumenti per eseguire le scelte.

Il rispetto dei ruoli permetterà un buon lavoro al prezzo giusto, senza spendere inutilmente i vostri soldi.

Voi spendete il giusto una sola volta, chi realizza i lavori li esegue correttamente dedicandosi solo al suo lavoro (che è piuttosto difficile), i progettisti progettano e scelgono solo il meglio per il cliente, i produttori si dedicano a prodotti performanti e non a quelli economici. Tutti vincono, nessuno perde.

 

Allora perché facciamo il contrario?

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

L’impermeabilizzatore che uccise la musica

“the day the music died” – Il giorno in cui morì la musica, così recita il termine di ogni strofa di una celebre canzone di Don McLean, successivamente ripresa anche da Madonna: “Miss American Pie”.

Il 3 Febbraio 1959 avvenne un incidente aereo dove persero la vita Buddy Holly e Ritchie Valens e la canzone fu iniziata immediatamente dopo la tragedia.

Altri momenti hanno meritato dire: “la musica era morta”; la morte di John Lennon, ad esempio, la morte di Luciano Pavarotti e di tutti quelli che sono nel vostro cuore e non possono più cantare per voi.

Eppure c’è un momento in cui un impermeabilizzatore ha veramente ucciso la musica senza se e senza ma.

Nel 2008 un magazzino della Universal era in fase di ristrutturazione, stavano impermeabilizzando la copertura con guaine bituminose posate a fiamma.

Come da norma statunitense, gli operatori, che finirono alle 3 del mattino, rimasero fino alle 4 in attesa che il manto appena posato si raffreddasse e non ci potessero essere principi d’incendio.

Già, perché negli States ci sono delle regole particolarmente rigide per chi posa il Waterproofing layer che sia in bitume polimero o in resina o sintetico, mentre in Italia no!

Torniamo a quel tragico giorno: poco prima delle 5 del mattino la copertura del Building 6197 prese fuoco. C’erano vecchi fondali, set cinematografici (sembra anche uno di Ritorno al Futuro) e, in un angolo appartato di circa 200 mq, un enorme quantitativo di incisioni originali! I master delle canzoni più famose che tutti abbiamo amato: Billie Holiday, Chuck Berry, Muddy Waters, Bo Diddley, Etta James, John Lee Hooker e Buddy Guy. Andarono perdute – sempre per quello che sappiamo – i master delle prime registrazioni di Aretha Franklin, altri di Louis Armstrong, Duke Ellington, Ella Fitzgerald, e probabilmente tutti quelli di Buddy Holly.

Andarono perduti anche i master di John Coltrane, Count Basie, Dizzy Gillespie, Max Roach, Sonny Rollins, Charles Mingus, Ornette ColemanAlice Coltrane, Ray CharlesBenny Goodman, Cab Calloway, B.B. King, Joan Baez, i Mamas and the Papas, Joni Mitchell, Cat Stevens, Elton John, i Lynyrd Skynyrd, Eric Clapton, gli Eagles, gli Aerosmith, gli Steely Dan, Iggy Pop, i Police, i R.E.M., i Guns N’ Roses, Queen Latifah, Mary J. Blige, i Sonic Youth, i No Doubt, i Nine Inch Nails, Snoop Dogg, i Nirvana, Tupac Shakur, Eminem.

Mio personale gusto non piango l’ultimo ma tutto quanto distrutto non ha prezzo è un danno per l’intera cultura dell’umanità; un po’ come se avesse preso fuoco il Louvre o i Musei Vaticani. Per la musica quel luogo era il più grande museo del mondo.

Colpa della guaina posata a fiamma? No, non credo. Le responsabilità si sono rimpallate a destra e sinistra ma nessuno è stato accusato formalmente; sembra che si sia trattato proprio di un incidente.

Dove sta allora il problema? Il problema siamo noi! Noi che viviamo in questo mondo e non crediamo in noi stessi! Noi che impermeabilizziamo le coperture di musei, di ospedali, di ponti, di palazzi, di opere grandiose, case di persone e non crediamo nella nostra importanza e nella nostra preparazione

Noi siamo il problema del nostro settore! Basta continuare a lottare inutilmente contro i mulini a vento del prezzo basso, del portare via un lavoro al concorrente, di diffamare la concorrenza, della scelta del prodotto miracoloso, del voler fare in fretta.

Non funziona così!

Le impermeabilizzazioni sono importantissime sono una delle parti fondamentali delle costruzioni e sono le meno regolamentate in assoluto!

Ah, prima che venga detto: i libri, le raccolte sono dei mezzi utili per imparare ma non sono le regole! Perchè lo stato italiano non le ha dettate!

Ma anche impegnarsi a livello polito che senso avrebbe se prima non decidiamo di mettere un blocco all’entrata nel nostro settore a chi veramente fa ciò che deve essere fatto?

Oggi per diventare impermeabilizzatore bastano i 16 Euro che la Camera di Commercio chiede come bolli (più le spese che divergono da una CCIAA all’altra); poi con un cannello da 25,00 Euro ed un furgone sgangherato abbiamo fatto l’impermeabilizzatore perfetto.

Non ci credete? l’altro giorno mi ha chiamato un impermeabilizzatore (così si è definito lui) che non ha la casella e-mail! Ma se hai un’impresa è obbligatoria la PEC e per avere la PEC devi avere una casella e-mail….. Ah, Google la regala, non costa nulla!

Questo è il punto, chiunque può entrare in questo mondo, basta fare un prezzo leggermente più basso per prendere il lavoro a chi si organizza, studia e investe nella propria attività.

Ecco perché un titolo così provocante a questo articolo: forse il roofer americano non ha avuto colpa di quanto è successo ma se fosse successo in Italia la colpa ci sarebbe stata eccome!

Vi lascio dandovi un compito per i vostri momenti di relax: pensate a chi siete! Non siete l’ultima ruota del carro a meno che non lo vogliate voi!

Le immagini sono state prese dall’articolo sull’evento che trovate a questo indirizzo: https://www.ilpost.it/2019/06/15/incendio-universal-master-musica/

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

La manutenzione delle coperture

LA MANUTENZIONE DELLE COPERTURE IMPERMEABILI



Mi occupo di manutenzione ordinaria e straordinaria da quando ho memoria. Anche se non proprio come la intendete voi, da sempre faccio questo.

Mi ricordo quando mio papà mi veniva a prendere all’asilo per “andare a lavorare”. Ero il bambino più felice del mondo.

Cosa faceva mio papà? Il muratore? No! Il tecnico? No! Il carpentiere? No! Lui faceva pulizie! Ha fondato l’impresa di pulizie La Petroniana insieme a mia mamma (oggi Petroniana Facility Management).

Sapevate che le pulizie sono la forma più antica di manutenzione di un immobile? Pensateci, avete mai visto una casa sporca e fatto finta di niente? Avete mai visto un ufficio puzzolente e fatto finta di niente?

No! Nulla di tutto ciò! Siete tutti schifati, magari senza farlo vedere, dalle condizioni igieniche di una struttura perché è normale esserlo! Non tanto la polvere, quando lo sporco vero! Quello che si annida negli anfratti e ti entra nel naso con prepotenza.

Allo stesso tempo vi sentite rassicurati se sentite odore di disinfettante. Probabilmente vi darà fastidio ma sapete che quel posto è stato igienizzato e vi mettete a vostro agio anche se la sedia che vi propongono è realmente sporca.

Bene, perché questa sensazione non l’abbiamo mai quando vediamo un edificio? Perché non abbiamo la stessa sensazione di schifo se il tetto perde? Non ho una risposta chiara su questo punto, penso che sia perché riteniamo che le nostre case debbano essere eterne (ce l’hanno fatto credere per decenni) e che la manutenzione non serva. Eppure le pulite!

LA MANUTENZIONE CE L’HO NEL SANGUE

Oggi l’azienda di famiglia è passata in mano a mio fratello (che sta facendo un lavoro egregio) ma la manutenzione ce l’ho nel sangue! Nelle mie vene passano piani di attività periodiche e nelle arterie la progettazione di quello che ci sarà da fare.

Proprio grazie a mio papà, ma anche a mamma non dimentichiamola, ho imparato a gestire le periodicità delle attività da svolgere. È stato facile passare da una pulizia dei vetri trimestrale ad una pulizia dei canali di gronda semestrale. La differenza è decisamente minore di quello che sembra. Già, perché in fondo la pianificazione non ha un settore specifico ma è uno strumento in mano alle persone!

Allora usiamola! Cerchiamo di conoscere le strutture, cerchiamo di conoscere le problematiche, cerchiamo di conoscere i materiali che usiamo! Così avremo in mano il futuro SANO dei nostri edifici.

LO SCONTRO CON LA REALTA’

Questo mio modo di vedere si è scontrato spesso con la realtà.

Appena entrato nel mondo delle impermeabilizzazioni, non capivo assolutamente nulla.

Ero passato da miscelare prodotti a base di acido muriatico per pulire i pavimenti industriali a dover vendere dei rotoli di guaina bituminosa che non avevo mai visto prima.

Mi sono fatto aiutare, ho studiato tutto ciò che riuscivo a trovare, ho cominciato a scrivere io stesso, ho frequentato assiduamente i cantieri e le case degli applicatori e mi sono fatto spiegare come funzionavano le guaine, mi sono lanciato nelle nuove tecnologie che scoprivo: la bentonite, le resine, il butile, l’EPDM ed il TPO per planare bellamente sui cementizi.

Ho cominciato a capire che il settore di provenienza non l’avevo abbandonato per sempre ma mi dava un plus che gli altri non avevano. Io sapevo veramente cos’era la manutenzione ordinaria. Io la facevo!

Così, piano piano con l’aiuto di amici dentro la materia, ho fatto partire un meccanismo interno che mi ha fatto come la manutenzione ordinaria si potesse sviluppare nell’edilizia.

SCRIVERE UN LIBRO SULLA MANUTENZIONE

Ci ho messo un po’ di tempo, non lo nego, ma un anno fa ho chiamato Mauro Ferrarini (Maggioli Editore) dicendogli che avevo un’idea per un nuovo manuale della collana di Patologia Edilizia: la progettazione della manutenzione.

Nei primi istanti è rimasto interdetto; me lo vedo che lontano dalla cornetta strabuzza gli occhi chiedendosi di cosa stia parlando. Soprattutto quando gli dico che per me la manutenzione ordinaria è una cosa decisamente diversa da quella che è indicata nella normativa vigente. Mi avrà dato del pazzo… o peggio.

Mi dice: mandami una bozza di indice ed una spiegazione.

Scrivo, ci ho messo meno che scrivere questo articolo. L’argomento lo padroneggio nella mia mente bacata e avevo assolutamente bisogno di esprimermi! Non mi basta parlarne, volevo che tutti sapessero qual era la mia idea e come poterla seguire.

È piaciuta. Soprattutto perché si aspettavano che scrivessi quali materiali usare per fare le manutenzioni o che tipo di cannello è meglio per la guaina o pennello per la resina. Invece ho parlato di cos’è la manutenzione ordinaria. Ho spiegato che per creare un buon piano di manutenzione è necessario che si conosca a fondo la materia e che in edilizia non capiamo nulla di questo settore.

Non a caso mi sono rivolto al mio settore d’origine ed all’industria. Loro sì che ne capiscono e ne hanno fatta una scienza.

Scrivo, scrivo, scrivo ma la mente non è libera. Purtroppo mentre scrivevo il libro ed aprivo il mio studio tecnico, dovevo aiutare mio papà che si stava avviando lentamente verso il suo ultimo viaggio. Per fortuna lo finisco prima che questo avvenga. So che gli piaceva perché gli leggevo dei brani di quello che scrivevo e lui, con grande fatica, ricordava di quando era lui a creare i piani di manutenzione e seguiva le squadre che dovevano realizzarli.

I PRIMI CONSENSI IMPORTANTI

Proprio in itinere, sono stato invitato a tenere un intervento al primo convegno nazionale di Patologia Edilizia che si tenne a Maratea (città spettacolare!!!). In quella sede ho avuto l’onore di conoscere il professor Bassi, docente di Estimo al Politecnico di Milano.

Durante una pausa del convegno, gli chiesi cosa pensava del mio progetto e gli raccontai come avevo in mente di spiegare il problema della progettazione della manutenzione. Gli chiesi anche se mi avrebbe scritto la prefazione al libro.

Vi confesso che mi aspettavo un no sdegnato, un professore universitario che è abituato a parlare di questo argomento, troppo onore. Invece mi ha spiazzato (questo perché i preconcetti sono sempre sbagliati) regalandomi un SI entusiasta. Quello che ha scritto lo potete leggere nelle prime pagine del libro!

Io sono lusingato ed onorato di aver avuto la sua prefazione e lo ringrazio dal profondo del cuore.

Ora il libro è in vendita e sono sinceramente angosciato per come possa andare e come possa essere accolto.

LA DISAPPROVAZIONE

Gli scontri che ho dovuto affrontare, mentre scrivevo i miei pensieri sui social networks, hanno lasciato strascichi e sono sicuro che ci sono persone che non vedono l’ora di criticarlo pesantemente.

Bene, non mi sono tirato indietro allora e non lo farò adesso. So cosa ho scritto, so da dove viene e so che ci ho messo l’anima per cercare di scrivere nel modo più semplice possibile un’idea così complessa.

IL SISTEMA DI MANUTENZIONE

Processo per la progettazione della manutenzione delle coperture, un passaggio fondamentale per riuscire a creare un buon piano di manutenzione.

Ho provato non a dettare regole su come redigere il piano di manutenzione, ma creare un ambiente di lavoro, una sorta di Sistema Operativo dove i progettisti possono entrare e creare il progetto manutentivo a loro immagine, non a mia!

Non ho creato procedure standardizzate. Quelle sono fasi operative e non credo, sinceramente, che un geometra, un ingegnere o un architetto abbiano bisogno dell’abbecedario per progettare. Ho creato un luogo dove dare forma alle loro idee (che poi è quello che ho fatto per me) e dove possano analizzare i problemi che devono essere affrontati.

Certo, ci sono tabelle, certo ci sono schemi ma quello che mi preme di più è condensato nell’appendice finale dove c’è la proposta di una normativa legata alla Progettazione della manutenzione.

Mentre la scrivevo mi rendevo conto che non era legata alle sole coperture ma poteva valere per qualsiasi parte dell’involucro edilizio, tanto che, lo noterete sicuramente, ad un certo punto del libro ho smesso di parlare di coperture è ho cominciato a parlare di edificio!

Questo è il bello di un ambiente di lavoro. Ti crea le condizioni per lavorare a 360°, non per fare solo quel singolo e specifico lavoro!

Spero vivamente di aver dato un pezzettino di quell’entusiasmo che ho ereditato dai miei genitori per questo lavoro. Spero vivamente che si possa intavolare un dialogo costruttivo tra le parti coinvolte per cominciare a pensare di avere edifici sicuri e non tetti che bruciano per mancanza di manutenzione o per errata manutenzione.

Vi lascio augurandomi che questo mio solito sproloquio non vi abbia annoiati ma vi invogli a pensare che la parola MANUTENZIONE non è una minaccia ma un’opportunità e che farla bene non alza i cosi ma li abbatte notevolmente!

Un saluto ai miei soliti 15 lettori che stimo per la perseveranza e l’affetto che hanno nei miei confronti.

Categorie
Blog

I FALSI PROFETI – GARANZIA E VITA UTILE DEI SISTEMI POLIURETANICI ROOFING.

Questo articolo, scritto dall’Arch. Mario Monardo, mi è stato gentilmente concesso per la pubblicazione sul blog.

Mario, oltre ad essere un amico, è un tecnico con i fiocchi che non ha problemi a raccontare la verità e a parlare di tecnica.

La cosa simpatica è che io e lui abbiamo avuto, in momenti diversi e con argomentazioni diverse, la stessa idea per il titolo: “i falsi profeti”; dopo aver letto questo articolo vi invito a leggere quelle che scrissi tre anni fa: attenzione ai falsi profeti (potete cliccare sopra il titolo per leggerlo)

ATTENZIONE AI FALSI PROFETI – GARANZIA E VITA UTILE DEI SISTEMI POLIURETANICI ROOFING

Arch. Mario Vincenzo Monardo
Copyright 2019 – Tutti i diritti riservati all’autore

Invecchiamento, resistenza ai raggi UV, durabilità, sono alcuni dei parametri tecnici più importanti a cui devono rispondere i prodotti impermeabili liquidi per coperture roofing e in particolare i sistemi poliuretanici. Per il loro utilizzo occorre eseguire adeguate preparazioni dei supporti e corrette metodologie di posa, pertanto, per l’impiego di tali sistemi oltre alla conoscenza delle regole applicative occorre possedere una buona competenza in ambito chimico a fronte delle reazioni e delle problematiche a cui possono essere soggetti questi particolari elastomeri.

Naturalmente un sistema impermeabile deve essere in grado di garantire non solo l’impermeabilità della struttura ma soprattutto la sua durabilità in termini di anni.

La falsa informazione

Ed è proprio sul termine “durabilità” e “garanzia” che si basa la falsa informazione utilizzata da numerose aziende e dai loro rappresentanti moltissimi dei quali si spacciano per tecnici, promotori tecnici, specialisti di linea ma che di tecnico e di specialista hanno ben poco testimoniato dalla loro scarsa conoscenza di problematiche tecniche e chimiche.

E’ interessante sapere cosa raccontano diverse aziende ai clienti, agli applicatori ed ai progettisti in merito all’impiego dei sistemi poliuretanici.

Le frasi che vengono maggiormente utilizzate sono le seguenti…… “il nostro sistema è garantito 10, 15, 25 anni, ecc” e per avvalorare tale tesi sulle schede tecniche e sulla documentazione di diversi prodotti vengono esposte delle tabelle o alcuni loghi che riportano dati relativi alla durabilità e garanzia del sistema.

Oppure, in alternativa …. “con il nostro sistema è possibile realizzare facilmente e velocemente impermeabilizzazioni durature e sicure con una durata minima del sistema di 25 anni”!!!….

Dichiarazioni di effetto, estremamente convincenti per chi non conosce bene i sistemi roofing, anche perché queste informazioni distorte e non veritiere sono molto spesso supportate dalla pubblicità e dal marketing di diverse aziende ritenute molto specializzate nel settore delle impermeabilizzazioni.

Tanti anni addietro, lo statunitense Carl Sagan, famoso astronomo, astrofisico e astrobiologo, scomparso nel 1996, dichiarava:

La pubblicità insegna alla gente a non fidarsi del proprio giudizio. La pubblicità insegna alla gente ad essere stupida”.

Ed è proprio da questa meravigliosa citazione di Sagan che affronterò il tema della garanzia/vita utile di un sistema impermeabile poliuretanico.

Per l’impermeabilizzazione di coperture, terrazzi e balconi il mercato propone una serie di prodotti poliuretanici e guaine liquide che vengono applicati spesso privi di armatura (solitamente un mat in fibra di vetro), in spessori variabili da 1,5 – 2,5 mm. Sistemi privi di uno strato di finitura UV resistente (top coat) e in grado di garantire, secondo molti venditori e tecnici aziendali, veri poeti dell’edilizia, una durabilità della copertura trattata fino a 25 anni. 

Si tratta di indicazioni errate.

L’opera di persuasione attuata da diverse aziende per mezzo della pubblicità e del marketing risulta essere molto efficace al punto che numerosi applicatori, ritenuti competenti e specializzati, a precisa domanda sulle motivazioni per le quali applicano questi sistemi secondo errate indicazioni rispondono testualmente….”vendo o applico questo prodotto perché l’azienda mi fornisce la garanzia di 10, 15, 25 anni”…..

Facciamo allora un po’ di chiarezza!!! 

I prodotti impermeabili per coperture roofing come i poliuretani o le guaine liquide rispondono alla ETAG 005 (“Guideline For European Technical Approval Of Liquid Applied Roof Waterproofing Kits”). Le linee guida ETAG sono definite dall’EOTA, acronimo di European Organisation for Technical Assessment. L’EOTA è l’Organizzazione Europea per le Valutazioni Tecniche nell’area dei materiali da costruzione, con sede a Bruxelles ed ha il compito di sviluppare e adottare i Documenti Europei di Valutazione (European Assessment Documents, EADs) utilizzando le conoscenze tecniche e scientifiche dei suoi membri. L’EOTA coordina l’applicazione delle procedure stabilite per richiedere le Valutazioni Tecniche Europee (European Technical Assessment, ETA). Si assicura che gli esempi di “Best Practices” vengano condivisi tra i suoi membri, al fine di promuovere una miglior efficienza e fornire un miglior servizio all’industria. I membri dell’EOTA sono tutti i Technical Assessment Bodies (TABs) designati dagli stati membri dell’unione europea e dell’area economica della comunità europea.

I principali parametri tecnici individuati dalla ETAG 005 per la classificazione dei prodotti impermeabili liquidi sono i seguenti:

  • expected working life (vita lavorativa prevista);

  • climatic zone of use (zona climatica di utilizzo);

  • user loads (carichi dell’utente);

  • roof slopes (pendenze del tetto);

  • minimum surface temperatures (temperature superficiali minime);

  • maximum surface temperatures (temperature superficiali massime).

Nella ETAG 005 non viene mai utilizzato il termine garanzia bensì solo ed esclusivamente expected working lifeossia “aspettativa di vita lavorativa” del sistema impermeabile cosa ben diversa rispetto ad una vera e propria garanzia, termine che i falsi profeti utilizzano per abbindolare i loro clienti giocando sulla loro scarsa conoscenza della materia!!!

La durabilità di un sistema impermeabile, non garanzia, dipende dal rispetto delle regole di posa e dalla relativa attività manutentiva da eseguire sul sistema.

In conclusione….. LA GARANZIA DI 25 ANNI SUI SISTEMI POLIURETANICI PER COPERTURE NON ESISTE!!!

Scopo di questo articolo è evidenziare l’errata informazione tecnica che viene fornita dai tantissimi venditori-rappresentanti o promotori tecnici-specialisti di linea di diverse aziende in merito ai prodotti impermeabili per coperture. Solitamente si tratta di prodotti poliuretanici pronti all’uso (i veri prodotti monocomponenti) che molto spesso vengono tagliati con plastificanti a base di oli di scarto per ridurne i costi ed ottenere prezzi al di sotto della quotazione della materia prima di un “vero” formulato poliuretanico.

Prodotti low cost

Per dimostrare ciò, basterebbe eseguire una semplice analisi spettrometrica IR su diversi prodotti poliuretanici per accorgersi che il quantitativo di matrice legante poliuretanica (la materia nobile del prodotto) presente nel formulato si aggira tra il 7% e il 15% contro una percentuale che dovrebbe essere non inferiore al 40% secondo le formule standard consigliate dai più importanti fornitori al mondo di materie prime (Bayer, Huntsman, Basf e Dow) a cui tutti i produttori di prodotti poliuretanici roofings si rivolgono.

Basti pensare a tutti quei formulati poliuretanici che possiamo definire “low cost”, e non sono pochi, che dopo la loro applicazione subiscono fenomeni di idrolisi nel giro di alcuni mesi o pochissimi anni in funzione della loro esposizione.

I formulati “low cost” si degradano più velocemente ma allo stesso tempo sono quelli che si possono riparare più facilmente grazie all’incremento della loro permeabilità (porosità strutturale rilevabile dopo cicli di invecchiamento in ambiente esterno). A prova di ciò vi sono numerose ricerche pubblicate sulle analisi di matrici polimeriche effettuate prima e dopo l’invecchiamento mediante indagini con microscopio elettronico a trasmissione (Transmission Electron Microscopy – T.E.M.) e/o microscopio a forza atomica (Atomic Force Microscope – AFM).

E’ sovente trovare su diverse schede tecniche frasi del tipo …..il sistema è stato studiato per poter essere applicato, su sottofondi molto umidi oppure ……il sistema è resistente ai ristagni e ai raggi UV oppure …..il sistema offre elevata resistenza all’invecchiamento….!!!!

Non conoscere il fenomeno della scarsa resistenza al ristagno d’acqua dei sistemi poliuretanici soprattutto se trattasi di formulati poliuretanici “low cost” e non conoscere nemmeno cosa sia l’Effetto Lente (Lens Effect) è molto grave per non dire vergognoso soprattutto se a proporre la vendita e l’errato impiego di questi sistemi sono i fatidici promotori tecnici o specialisti di linea di quelle aziende ritenute depositarie del sapere tecnico!!!

Ad ulteriore dimostrazione di come siano del tutto false le indicazioni di garanzia e durabilità pluriennale dei sistemi roofing a vista, soprattutto se privi di adeguati strati protettivi (top coat) UV resistenti bisogna parlare della resistenza ai raggi ultravioletti dei sistemi impermeabili roofing. La resistenza ai raggi ultravioletti viene definita come l’abilità di un materiale a resistere alla radiazione UV o alla luce solare.

In merito alla prova di invecchiamento accelerato di un sistema impermeabile poliuretanico basta leggere la EOTA TR 010 (“Exposure procedure for artificial weathering, edition May 2004”), Procedura di esposizione per agenti atmosferici artificiali.

Lo scopo dell’EOTA TR 010, suddivisa in 3 allegati, è quello di fornire le specifiche procedure per l’esposizione agli agenti atmosferici artificiali dei provini dei sistemi impermeabili liquidi da applicare su coperture. Vengono indicate due diverse serie di condizioni di esposizione, definite come “condizioni M” e “condizioni S”, in base alle diverse zone climatiche di utilizzo in Europa.

Il test di invecchiamento accelerato riproduce in pochi giorni o settimane i possibili danni causati dall’esposizione del sistema impermeabile all’azione dei raggi solari per mesi o anni. I campioni, posti ad una distanza di 20 cm da una lampada standard OSRAM Ultra-Vitalux (ultraviolet high pressure lamp, 300 W, 220 V) in grado di riprodurre lo spettro solare, vengono esposti alla luce all’interno di una camera climatizzata (55°C, 85% U. R.) per 24 ore. Si valuta quindi il cambiamento di colore del campione in termini di delta E.

A pag. 8 dell’EOTA TR 010 si cita testualmente …..”this calculation method represents a very approximate means of estimation…..” ossia “questo metodo di calcolo rappresenta un mezzo di stima molto approssimativo”.

Pertanto, i valori di invecchiamento riportati nella EOTA TR 010 sono puramente approssimativi e non reali. Basti pensare che i quanti di energia delle sorgenti di invecchiamento utilizzate per le prove non sono per nulla paragonabili ai quanti energetici che agiscono nella realtà atmosferica del nostro pianeta e non possono sostituire la realtà di un sistema roofing esposto in ambiente esterno.

Le aziende produttrici di sistemi poliuretanici per coperture roofing utilizzano specifici test di invecchiamento accelerato per certificare fino a 10, 15, 20 o 30 anni la resistenza ai raggi UV di uno specifico prodotto.

Qual’è la validità di una prova di invecchiamento accelerato condotta in laboratorio su campioni, dove vengono simulati in pochi giorni o settimane i possibili danni causati dall’esposizione per anni del sistema impermeabile ai raggi solari?

I test d’invecchiamento artificiale hanno senso?

L’invecchiamento (ageing, secondo l’espressione anglosassone) è un problema che riguarda soprattutto i sistemi impermeabili liquidi per coperture roofing e dipende dagli effetti della luce, che provoca il viraggio di colore dei materiali ed una minor resistenza meccanica degli stessi.

I valori ricavati dai test di invecchiamento artificiale sono poco attinenti al comportamento che i sistemi impermeabili poliuretanici subiscono realmente su una copertura sotto l’azione delle diverse condizioni atmosferiche.

Il sole rappresenta una sorgente ricca di raggi UV, tanto che l’esposizione alle diverse radiazioni, associata alla temperatura, all’umidità ed agli inquinanti presenti nell’atmosfera altera, e non poco, i materiali, soprattutto i sistemi impermeabili a vista, attraverso complesse reazioni. Infatti, sui raggi UV e sulla loro azione non abbiamo una piena conoscenza e non vengono fornite informazioni corrette!!!

Sappiamo che da tempo i livelli di UV stanno rapidamente aumentando a causa delle immissioni continue di aerosol nell’atmosfera e in molti si sono accorti che il sole ha modificato la sua intensità……“l’incidenza di tumori della pelle causati dalle radiazioni solari crescono di anno in anno così come molte varietà di vita vegetale stanno mostrando segni di stress in numerose aree del mondo.

Le radiazioni ultraviolette (UV) si trovano nella regione invisibile dello spettro elettromagnetico, comprese tra 100 nm e 400 nm (nanometri). In base a diverse lunghezze d’onda vengono classificati in UV-A, UV-B e UVC dalla CIE (Commission Internationale de l’Eclairage).

Viene riportato da più fonti che le radiazioni UVA e UVB sono quelle che raggiungono la Terra mentre le radiazioni UVC vengono bloccate dall’ozonosfera.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Heath Organization) e per altri organismi come il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), non più del 5% del totale delle radiazioni UV che raggiunge la superficie della Terra dovrebbero essere radiazioni UVB. L’altro 95% dovrebbero essere normali raggi UVA. Sempre secondo queste agenzie le radiazioni UVC dovrebbero essere pari a zero.

Non è così!!!! Nessuno lo dice ma le radiazioni UV più dannose sono quelle UVC ed UVB.

Da misurazioni dei livelli di UV effettuate nel nord della California è stato rilevato un livello di radiazioni UV incomprensibilmente elevato, peggiorativo rispetto a quanto riportato in diversi studi e indicato da diverse fonti e organizzazioni. È stato rilevato un particolare un aumento esponenziale delle radiazioni UVB. Grazie alla loro elevata energia, il potenziale delle radiazioni UVB è eccezionalmente alto ed è in grado di causare danni biologici alle piante, agli animali e agli esseri umani.

Le radiazioni UVB (rappresentano la forma più letale delle radiazioni UV) sono arrivate quasi al 70% del totale in grado di raggiungere la superficie del nostro pianeta! Ciò significa che l’esposizione totale alle radiazioni ultraviolette è notevolmente aumentata, peggiorando ancora i livelli complessivi dei raggi UVB. Ma il caso studio condotto in California ha mostrato, anche, livelli significativi di radiazioni UVC che di solito sono filtrati dallo strato di ozono, a circa 100.000 piedi nella atmosfera.

Il test condotto nel nord della California ha rivelato che il 70% e oltre delle radiazioni UV in arrivo è attualmente nella gamma tra UVB e UVC e non il 5% o meno, come viene riportato da organizzazioni e organismi internazionali oltre che da molti media. Questo si traduce in un aumento di quasi il 1400% di raggi UVB come percentuale della radiazione UV totale.

E quali sono i danni provocati dai raggi UVB e UVC sui sistemi impermeabili per coperture roofing??? Nessun test riportato nelle schede tecniche di diversi prodotti è in grado di rispondere a questa domanda.

Diventa, pertanto, estremamente aleatorio parlare di durabilità di un sistema impermeabile a fronte di test di invecchiamento accelerato ai raggi UV condotti in laboratorio e non in un contesto reale.

I veri test di invecchiamento accelerato, parametrici alla realtà, fanno riferimento ad altre tipologie di prove che vengono eseguite solo in ambito militare come più volte enunciato dall’Ing. Roberto Madorno.

In conclusione, l’invito è quello di non affidarsi ai valori riportati in numerose schede tecniche di prodotti, dati ricavati da prove di laboratorio che nulla hanno a che fare con la realtà del cantiere e con il reale comportamento all’esterno di un sistema impermeabile.

Le migliori schede sono quelle che accanto ai dati parametrici del prodotto forniscono precise e dettagliate indicazioni sulla preparazione del supporto, sulla corretta applicazione del sistema ma soprattutto sugli interventi di controllo e manutenzione da effettuare periodicamente sullo stesso.

Oggi, sull’impiego dei sistemi impermeabili poliuretanici si riscontra una disinformazione tecnica evidente, da parte di chi produce, di chi vende e, spesso, di chi deve applicare.

Purtroppo, clienti, applicatori e progettisti corrono dietro ai loghi aziendali, al marketing e alle favole abilmente raccontate dai rappresentanti o dai loro pseudo tecnici.

Tutti dovrebbero ragionare con la propria testa cercando sempre di comprendere cosa viene loro proposto.

Operiamo in un mondo in cui la conoscenza tecnica è schiava della pubblicità e del marketing aziendale. Un mondo in cui molti tecnici o venditori incompetenti di fronte a regole tecniche specifiche e a normative ben chiare ed evidenti proseguono nella diffusione di errate e false informazioni.

A tal proposito una meravigliosa citazione di San Tommaso d’Aquino: “L’idiota considera falso tutto quello che non è in grado di comprendere”.

Arch. Mario Vincenzo Monardo

Biografia dell’autore

Laureato presso la Facoltà di Architettura di Roma a Valle Giulia, l’architetto Mario Vincenzo Monardo, si occupa da oltre 20 anni di problematiche legate al settore delle impermeabilizzazioni.

Tecnologo esperto in danni e difetti delle costruzioni, ha lavorato per importanti aziende, nazionali ed internazionali, del mercato dei materiali per l’edilizia ad alta tecnologia come Sika, Basf, Fassa Bortolo, Volteco, Krypton Chemical, Mapei.

È relatore in numerosi corsi e seminari tecnici presso gli Ordini Professionali (con rilascio di crediti formativi), riguardanti la progettazione e l’applicazione dei sistemi impermeabili.

Da giugno 2017 ricopre il ruolo di Product Manager della linea impermeabilizzazioni nell’azienda Fassa Bortolo.

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

Ditra o non Ditra?

Buonasera a tutti.

Alcune sere addietro, io (Mario Monardo) ed Arcangelo Guastafierro, abbiamo intrapreso una piacevole conversazione in merito ad alcuni sistemi impermeabili per coperture piane presenti sul mercato e che vengono proposti come panacea di tutte le problematiche.

Una bellissima frase recita: “Niente è come sembra anche se il sembra a volte è bellissimo”…..

Si tratta di una citazione meravigliosa che descrive perfettamente l’attuale universo dell’edilizia e in particolare il fantastico mondo degli applicatori, categoria dove spesso si utilizza questo o quel prodotto perché .…si è sempre fatto così, ha sempre funzionato così e soprattutto è costato pochissimo.

Sempre più frequentemente, parlando con molti posatori di diverse regioni, ci siamo accorti che in tantissimi utilizzano prodotti o sistemi senza conoscere perfettamente ciò che applicano o peggio ancora ignorandolo completamente. Sembra assurdo ma è proprio così e come esempio a tal riguardo parliamo di un prodotto denominato col marchio commerciale di Ditra-25 della Schluter®. Per molti si tratta di un sistema impermeabile da usare per coperture piane, terrazze e balconi anche perché questo è quanto viene indicato e riportato sulla scheda tecnica.

Quanti sanno esattamente come deve essere applicato il Ditra-25 sulle coperture piane, sulle terrazze e balconi?

Quanti hanno letto attentamente la scheda tecnica del Ditra-25?

A pagina 5 della scheda (documento tecnico ufficiale), alla voce “Terrazze sopra vani/“coperture piane”, viene riportato:

Nel caso di tetti terrazzati situati al di sopra di vani (abitati, di servizio o similari), è sempre necessario realizzare una “copertura piana” con corretta pendenza, seguendo le norme vigenti in materia (in Italia UNI 8627 etc.) ed eventuali regole di buona pratica. Dove è da attendersi una differenza di temperatura fra esterno ed interno è da installare a regolare d’arte una barriera al vapore, già in pendenza, sulla quale posare un pannello isolante termico correttamente dimensionato e una impermeabilizzazione (“elemento di tenuta” – ai sensi della UNI 8627). Sopra l’impermeabilizzazione viene applicato il sistema di drenaggio e di protezione (Schlüter®-TROBA o Schlüter®-TROBA-PLUS). Prima della posa del pavimento posare un massetto per la ripartizione del carico. Sulla superficie del massetto si posa a colla Schlüter®-DITRA 25 per separare il pavimento dal massetto e per proteggere il massetto dall’umidità. Schlüter®-DITRA 25 in questo caso funge principalmente da guaina di separazione e neutralizza le tensioni che si formano frequentemente tra il sottofondo e il pavimento in seguito alle notevoli escursioni termiche che si manifestano sulle terrazze”.

Escludendo le frasi di rito che vogliono sottintendere una corretta realizzazione della stratigrafia di sottofondo, analizziamo alcuni passaggi del testo sopracitato per evidenziare degli aspetti che riteniamo fondamentali.

  1. ”Dove è da attendersi una differenza di temperatura fra esterno ed interno […]” Non è importante ciò che è scritto ma ciò che è sottinteso. Quali sono le strutture che non presentano un delta termico tra interno ed esterno? Semplice. I balconi e basta!!! Al massimo qualche vecchia autorimessa degli anni ’50…. ma null’altro!

  2. ”[…] è da installare a regolare d’arte una barriera al vapore, già in pendenza, sulla quale posare un pannello isolante termico correttamente dimensionato e una impermeabilizzazione (“elemento di tenuta” – ai sensi della UNI 8627)”. La lingua italiana non può essere travisata, in quanto semplice e lineare! Insomma c’è scritto che in questo caso il prodotto che viene definito impermeabilizzante necessita di uno strato a tenuta diverso (DIVERSO!!!!) al di sotto???? Allora a cosa serve questo DITRA-25? Ma soprattutto perché viene definito un impermeabilizzante? Ah, ovvio, è scritto più avanti: Prima della posa del pavimento posare un massetto per la ripartizione del carico. Sulla superficie del massetto si posa a colla Schlüter®-DITRA 25 per separare il pavimento dal massetto e per proteggere il massetto dall’umidità. Schlüter®-DITRA 25 in questo caso funge principalmente da guaina di separazione e neutralizza le tensioni che si formano frequentemente tra il sottofondo e il pavimento in seguito alle notevoli escursioni termiche che si manifestano sulle terrazze”.

Pertanto dopo aver letto questo paragrafo della scheda tecnica si è compreso quale deve essere la stratigrafia da eseguire su una copertura piana prima di utilizzare il sistema Schlüter®-DITRA 25. Purtroppo moltissimi applicatori/posatori, e lo sappiamo per certo, pur posando questo prodotto non utilizzano una simile stratigrafia per impermeabilizzare terrazzi e coperture piane.

Pertanto in caso di problematiche e contenzioni cosa accade?

Se vale quanto riportato nella scheda tecnica (documento tecnico ufficiale) del Schlüter®-DITRA 25 riteniamo che la stragrande maggioranza dei lavori non sia corretta…

Lasciamo a Voi ogni ulteriore commento in merito.

Un sincero saluto a tutti da parte nostra e un augurio di buon lavoro con la speranza di un Vs. attivo contributo nella discussione che abbiamo avviato.

arch. Mario Monardo

geom. Arcangelo Guastafierro

Categorie
Blog Impermeabilizzazioni

Giardini pensili

Oggi si parla di giardini pensili per i grandi vantaggi che può dare, indubbi, grandiosi e permanenti. Purtroppo ci dimentichiamo che per funzionare il giardino pensile ha uno strato che è più importante di tutti gli altri: l’impermeabilizzazione.
Questa permette di vivere comodamente nei locali sottostanti il giardino, permette di proteggere la struttura portante dagli effetti disgregativi dell’acqua e convoglia tutte le acque in eccesso verso i punti di scarico progettati.

E’ pressoché ignorata, come sempre.

Ho trovato molti documenti sullo studio di giardini pensili, tutti fanno riferimento ad un sacco di norme UNI, studiate e scritte appositamente dai produttori dei terricci o degli strati intermedi, o a consuetudini, ho trovato anche una tesi di laurea datata 2011 (quindi piuttosto recente), tutti questi documenti hanno un’unica caratteristica in comune: si sbaglia sempre quando si parla dello strato impermeabilizzante.

Proviamo a chiarire qualche punto:

  • l’impermeabilizzazione può essere una qualsiasi di quelle che possono essere usate in copertura (bituminosa, sintetica, resina);
  • L’adesione al supporto non è necessaria, diciamo che è realizzata in base alle caratteristiche del sistema impermeabile scelto. E’ invece necessaria l’adesione totale nei risvolti verticali.
  • >L’additivazione antiradice serve solo per i manti bituminosi. E’ necessario controllare che ogni tipologia di saldatura sia eseguita correttamente;
  • Le tensioni che si possono verificare sono minimali (salvo la presenza di giunti di dilatazione… ma questi sono progettati appositamente e si sa esattamente come, quanto e quando si muoveranno) in quanto il manto non è sollecitato dalla radiazione solare se non nelle piccole parti esposte dei risvolti verticali.
  • La stratigrafia normata prevede vari strati di sbarramento che provvederanno a proteggere ulteriormente il manto impermeabile dall’attacco delle radici: tessuti di drenaggio, manufatti di raccolta d’acqua.
  • Il bocchettone di scarico deve essere ispezionabile anche quando il giardino pensile sarà finito, Quindi è necessario che fuoriesca dal giardino stesso. Per questo ci sono manufatti appositi che permettono lo scolo delle acque non solo in piano ma anche sul tubo verticale che esce dal giardino.
  • La capacità antiradice di un manto è relativa. Questa funziona se le essenze piantate non sono dotate di apparati radicali particolarmente profondi. E’ inutile piantare un Cedro del Libano (non preoccupatevi, l’hanno fatto in tanti) in un giardino pensile di 50/70 cm di profondità. Prima o poi le sue radici passeranno tutti gli strati, compreso il solaio in calcestruzzo armato.
  • >La manutenzione deve essere eseguita ugualmente, anche se il manto non è a vista.

Possiamo dividere i giardini pensili in due macrocategorie: quelli intensivi ed ornamentali, sono quelli che vediamo e viviamo all’interno delle costruzioni; quelli estensivi normalmente utilizzati in coperture non praticabili.

Una delle mode che riguardano la piantumazione è quella di usare il Sedum. Questa piantina, ne esistono centinaia di specie, si adatta quasi a qualsiasi situazione, fiorisce in tanti modi diversi, quindi regala un panorama veramente interessante.

Questa piantina, però, ha anche una caratteristica particolare: come dice un mio amico: ha tanta voglia di vivere. La porta a radicare in qualsiasi posizione, Gli basta una goccia d’acqua ed un pezzo della pianta e germoglia ovunque.

SEDUM. – Genere di piante Dicotiledoni Archiclamidee della famiglia Crassulacee. Sono erbe annue o perenni con o senza getti sterili, con foglie carnose piane o cilindriche. Fiori riuniti in cime o in corimbi più o meno addensati: calice di 4-9 sepali, corolla di 4-9 petali bianchi, gialli, rossi o verdi, stami in numero uguale o più spesso doppio dei petali, ovario apocarpo di 4-9 carpelli, ciascuno con numerosi ovuli biseriati. Frutti a follicolo. Comprende 140 specie delle regioni fredde e temperate dell’emisfero boreale e dell’America Centrale, 1 del Perù.

In Italia vivono una trentina di specie che abitano i vecchi muri, i luoghi sassosi e pietrosi dal mare ai monti. Alcune (come S. maximum, S. telephium, S. fabaria, S. anacampseros, rupestre, album, ecc.) furono usate come rinfrescanti, diuretiche e vulnearie. Il S. acre era usato come febbrifugo e contro l’epilessia e il cancro.

(Treccani, enciclopedia on-line)

Come potete vedere la piantina, tanto belle e tanto carina, potrebbe creare un serio problema alle nostre città nel prossimo futuro! Infatti questa pianta si attacca ovunque. Provate a guardare nelle crepe del manto d’asfalto, nelle pietre di rivestimento come il travertino, nei cordoli dei marciapiedi o nei gradini presenti nelle nostre città.

Perché, invece di usare piante come queste non facciamo dei giardini aromatici? Ci sono piante che sono adattissime a stare su giardini pensili… e se proprio dovranno invadere le nostre città, almeno ne avremo una pianta utile anche a profumare le nostre città puzzolenti!

In sostanza sollecito i nostri architetti, quelli più sensibili all’argomento, a non tralasciare lo strato impermeabile, se non sanno come fare a progettarlo chiedano ad un progettista specializzato (se proprio non ne trovate potete contattarmi) e, soprattutto, facciano dei tetti verdi dei veri giardini pensili e non una fucina d’infestazione.

Categorie
Blog

Ometti in canottiera con il cappello di carta di giornale

Avete mai letto le note legali di una scheda tecnica? Vi consiglio vivamente di farlo prima di utilizzare un qualsiasi prodotto. A dire il vero dovreste sempre leggere tutta la scheda tecnica, perché conoscere i dati di un prodotto è fondamentale affinché il lavoro venga eseguito o progettato correttamente.

oggi, però, vorrei soffermarmi sulla parte finale di quasi tutte le schede tecniche: le note legali.
Riporto di seguito una annotazione generica che si trova in tutte, o quasi, le schede dei prodotti impermeabilizzanti:

La ditta tal dei tali garantisce che le informazioni della presente scheda sono fornite al meglio della sua esperienza e delle sue conoscenze tecniche e scientifiche; tuttavia non può assumere alcuna responsabilità per i risultati ottenuti con il loro impiego in quanto le condizioni di applicazione sono al di fuori di ogni suo controllo. Si consiglia di verificare sempre l’effettiva idoneità del prodotto al singolo caso specifico. La presente annulla e sostituisce ogni scheda precedente.

Se la leggete accuratamente vedrete che è una semplice formula che vuole deviare ogni tipo di scarico di colpa improprio verso il produttore, o rivenditore, del materiale. Ci sta! Il produttore, o rivenditore, non può controllare tutto ciò che viene fatto e come viene usato esattamente il prodotto; può consigliarlo, può guidarlo ma, ovviamente, non può decidere in vece dell’utilizzatore.

Quindi la responsabilità è sempre del posatore. Se questi segue tutte le regole dettate dal produttore, o rivenditore, può stare tranquillo e dormire sereno.

Eppure c’è un’azienda che ha deciso di imputare al proprio cliente ogni tipo di responsabilità; anche sulla veridicità dei dati scritti in scheda tecnica. Si tratta di Sika e, per quanto mi è dato sapere, lo fa solo in Italia! Sapete perché? Lo spiega molto bene l’ing. Gorgati in uno dei suoi libri:

“Perché dunque agli impermeabilizzatori viene chiesto di più? Perché devono essere responsabili di errori di costruzione o progettazione (e produzione aggiungo io ndr) verificatisi al di fuori di ogni loro controllo? La risposta è semplice! L’impermeabilizzatore è sempre stato un ometto in canottiera, col secchio di bitume caldo nella mano sinistra e lo spazzolone nella destra, un cappello fatto con carta di cemento, completamente digiuno di qualsiasi nozione di sicurezza delle costruzioni o di diritto”

(“Dialogo dei massimi sistemi ovvero tutto quello che avreste voluto sapere sul tetto e non avete osato chiedere” – Romolo Gorgati – BE.MA. Editrice – 1983). Questo è l’impermeabilizzatore medio italiano! La descrizione calza a pennello. Ma se l’ing. Gorgati pubblicava questo libro all’inizio degli anni ’80, questo non giustifica che ancora oggi vi sia questa visione. Eppure gli stessi produttori, come vedremo tra poco, continuano a scherzare sulle loro teste e a cedere…. o meglio concedere, quasi fosse una benedizione, responsabilità ai poveri ometti in canottiera e cappello in carta di cemento.

Cosa scrive Sika nelle sue schede tecniche italiane:

I consigli tecnici relativi all’impiego, che noi forniamo verbalmente o per iscritto come assistenza al cliente o all’applicatore in base alle nostre esperienze, corrispondenti allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e pratiche, non sono impegnativi e non dimostrano alcuna relazione legale contrattuale né obbligo accessorio col contratto di compravendita. Essi non dispensano l’acquirente dalla propria responsabilità di provare personalmente i nostri prodotti per quanto concerne la loro idoneità relativamente all’uso previsto. Per il resto sono valide le nostre condizioni commerciali. Il contenuto della presente scheda si ritiene vincolante per quanto sopra ai fini della veridicità del contenuto, solo se corredata di apposito timbro e di controfirma apposti presso la ns. sede e da personale delegato a quanto sopra. Difformità dall’originale predetto per contenuto e/o utilizzo non implicherà alcuna responsabilità da parte della società Sika. Il cliente è inoltre tenuto a verificare che la presente scheda E GLI EVENTUALI VALORI RIPORTATI siano validi per la partita di prodotto di suo interesse e non siano superati in quanto sostituiti da edizioni successive E/O NUOVE FORMULAZIONI DEL PRODOTTO. Nel dubbio, contattare preventivamente il nostro Ufficio Tecnico.

Estratto della scheda tecnica del Sikalastic 152 edizione 13/06/2016

Analizziamo quanto c’è scritto frase per frase:

<<I consigli tecnici relativi all’impiego, che noi forniamo verbalmente o per iscritto come assistenza al cliente o all’applicatore in base alle nostre esperienze, corrispondenti allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e pratiche, non sono impegnativi e non dimostrano alcuna relazione legale contrattuale né obbligo accessorio col contratto di compravendita.>>

Ehhhh???????

Cioè, se un rappresentante di Sika (per rappresentante intendo una persona che abbia la capacità di rappresentarla giuridicamente parlando) mi scrive come usare un suo prodotto, questo non vale nulla?????????????????? COME NON VALE NULLA!!!!!!!!!!

Notate la NON sottile differenza con la dicitura che usano tutti! Qui si scaricano dalla responsabilità di aver risposto alle vostre domande! A questo punto chiunque usa un prodotto Sika si prende la totale responsabilità della scelta che ha fatto, indipendentemente da qualsiasi circolare, mail, lettera, raccomandata, perizia giurata che sia uscita da Sika.

<<Essi non dispensano l’acquirente dalla propria responsabilità di provare personalmente i nostri prodotti per quanto concerne la loro idoneità relativamente all’uso previsto. Per il resto sono valide le nostre condizioni commerciali.>>

Nulla questio: il progettista e l’applicatore devono capire che la responsabilità della scelta è solo in capo a loro!!!

<<Il contenuto della presente scheda si ritiene vincolante per quanto sopra ai fini della veridicità del contenuto, solo se corredata di apposito timbro e di controfirma apposti presso la ns. sede e da personale delegato a quanto sopra.>>

Partiamo bene e finiamo malissimo: la scheda tecnica che ho letto, scaricata proprio ora (Giovedì 13/04/2017 alle ore 08:50 circa) non ha alcun valore perché non riporta l’apposito timbro e la controfirma (“Controfirmare: Porre su un documento, un decreto, un atto pubblico, un titolo di credito, la propria firma accanto a quella di altra persona, per convalida o controllo” – Treccani vocabolario on-line) apposti presso la sede di Sika dal personale delegato. Quindi devo andare nella sede di Sika (quale? In Italia o la sede del gruppo? Non è specificato), chiedere di un rappresentante delegato alla firma delle schede tecniche, farmi mostrare sia le proprie credenziali, sia la delega che deve essere autenticata da un notaio (non vorrei che fosse un falso… no si sa mai), farmi stampare l’ultima versione della Scheda stessa, e farla controfirmare da questa persona. Ok, ma l’altra firma, quella principale, chi la deve mettere? Un altro delegato a rappresentare l’azienda. Insomma un agente di Equitalia non sarebbe così tenace da arrivarci in fondo.

<<Difformità dall’originale predetto per contenuto e/o utilizzo non implicherà alcuna responsabilità da parte della società Sika.>>

Teoricamente non ci sarebbero problemi su questa parte della nota se non fosse che è molto difficile arrivare ad avere una scheda tecnica valida vista la burocrazia esistente…. quindi “lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”.

Il cliente è inoltre tenuto a verificare che la presente scheda E GLI EVENTUALI VALORI RIPORTATI siano validi per la partita di prodotto di suo interesse e non siano superati in quanto sostituiti da edizioni successive E/O NUOVE FORMULAZIONI DEL PRODOTTO. Nel dubbio, contattare preventivamente il nostro Ufficio Tecnico.

Questa è una perla! Notare che i le parti in maiuscolo vogliono rafforzare il fatto che normalmente non dovreste avere queste responsabilità! Ovvio che queste note sanno tanto di clausole vessatorie, neanche tanto nascoste! Il testo ci dice che chiunque compri il prodotto Sika deve fare una serie di analisi che confermino che i dati riportati sono veri! Quindi, se volete comprare uno o due sacchi di Ceralastic o di Sikalastic 1K dovrete spendere qualche migliaio di Euro per andare in un laboratorio autorizzato (non basta quello che vi fate in cantina) e far eseguire tutta una serie di test per garantirVI che la LORO scheda tecnica sia corretta.

Ah, questo vale per ogni tipo di lavoro che i loro agenti vi passano! (loro vi fanno il prezzo con il cliente, loro decidono cosa usare, voi lo pagate…. e zitti!!!) Questo vale, soprattutto, per il solo cliente Sika! Il consiglio, a questo punto, è quello di comprare il prodotto in rivendita in modo da addossare tutta la responsabilità sul rivenditore. Eh, già! Perché il rivenditore ha degli obblighi verso il proprio cliente che, normalmente, non cerca di scaricargli addosso! Quindi, cari rivenditori o applicatori, che comprate direttamente da Sika, sappiate che ogni qual volta usate, vendete, posate, traslocate, gestire, pallettizzate, progettate etc, con i prodotti Sika vi verrà addossata ogni singola responsabilità su quanto LORO hanno fatto con il prodotto in questione.

Ma Sika è così ovunque?

Sapete, io ho sempre ritenuto che fosse un’azienda al top a livello mondiale! Infatti ho scoperto che questa dicitura è presente solo sulle schede italiane (per quanto ho potuto leggere sul loro sito). Ad esempio negli USA le note legali sono completamente diverse:

la traduzione dovrebbe essere questa:

“prima dell’utilizzo di ogni prodotto Sika, l’utilizzatore DEVE SEMPRE leggere e seguire le avvertenze e le istruzioni contenute nei documenti del produttore che sono disponibili on-line su …….. o chiamando il dipartimento del servizio tecnico di Sika al….. Nessun contenuto in qualsiasi materiale Sika (si intende documento, immagino) solleva l’utilizzatore dall’obbligazione di leggere e seguire le avvertenze e le istruzioni per ogni prodotto Sika come esposto nella presente Scheda Tecnica, etichetta di prodotto e Scheda di sicurezza prima dell’uso del prodotto”

Estratto scheda tecnica Sikalastic 390 USA.

Beh, sembra che siano note legali normalissime….. e soprattutto ben poste in evidenza e non scritte in caratteri minuscoli!

Quindi cari clienti Sika (perché negli USA siete utilizzatori, in Italia clienti) sappiate che per questi signori, ma solo quelli italiani, siete solo degli “ometti in canottiera con il cappello di carta di cemento”.